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RIFLESSIONE. PAOLO RUMIZ COLLOQUIA CON SERGE LATOUCHE SULLA DECRESCITA

RIFLESSIONE. PAOLO RUMIZ COLLOQUIA CON SERGE LATOUCHE SULLA DECRESCITA

Attenti, c'e' una parola nuova in orbita. Ha solo sei anni, gli stessi
dell'emergenza terrorismo. E' stata lanciata quasi per caso nel marzo del
2002, a un incontro dell'Unesco a Parigi. Oggi vola alta, indica una rotta
luminosa in un caos di disastri, surriscaldamenti climatici, emergenze
immondizie, epidemie. Il suo nome e' "decrescita", e pare abbia un grande
effetto pedagogico e liberatorio. Mobilita, diventa passepartout, propizia
il contatto fra nuclei di resistenza, costruisce reti. Il suo scopo e'
rallentare, offrire alternative credibili alla tirannia dello spreco. Il suo
slogan: vivere con meno e' facile. Persino divertente.
Nome Serge, cognome Latouche, nazionalita' francese. Il profeta del nuovo
verbo globale vive tra Parigi e una vecchia casa in pietra rimessa a posto
con le sue mani sui Pirenei Orientali, sotto il Pic Canigou, l'ultimo
"paracarro" prima del grande ammaraggio dei monti nel Mediterraneo. Si
sposta rigorosamente in treno e spende molto del suo tempo in giro per
l'Europa a organizzare le pattuglie disperse del consumo virtuoso.
Affascina, racconta, scrive pamphlet, fustiga l'economia globalizzata e la
sciagurata "teologia del Pil". Insiste, soprattutto, sul lato "conviviale"
di un'austerit" intelligente.
Gia' in treno, andando da lui, la diga si rompe. Appoggio un suo libro sul
tavolinetto – titolo Come sopravvivere allo sviluppo – e i vicini di
scompartimento si avvicinano, come attirati da una calamita. Pendolari
trentenni, titolari di lavoro precario. Chiedono di dare un'occhiata,
leggono avidamente. Dentro c'e' scritto che il collasso e' questione di
trent'anni. Diecimila giorni, roba da conto alla rovescia. Il petrolio si
esaurisce, gli oceani si innalzano, centinaia di milioni di uomini dovranno
spostarsi, il clima impazzisce, l'aria si avvelena, la sterilita' maschile
aumenta anno dopo anno. Tutto converge verso la stessa "deadline", il 2030 o
giu' di li'.
I pendolari insistono, chiedono chi sia Latouche, vogliono sapere di lui,
danno inizio a una discussione. Sono bastate poche righe di quel libro a
svelare la paura sommersa piu' diffusa degli italiani. "Macche'
criminalita'", dicono, "ci parlano di zingari e rumeni per non farci
riflettere seriamente su queste cose". Hanno mangiato la foglia, ma non si
accontentano di un megafono di protesta. Cercano una guida, qualcuno capace
di rassicurare e tirarli fuori dal vicolo cieco. Chiedono soprattutto parole
di buon senso.
E' esattamente cio' che trovo quando incontro il mio uomo. Colui che ho di
fronte, accanto a un piatto di stoccafisso e una bottiglia di Montepulciano
d'Abruzzo, e' l'esatto contrario dell'eco-fanatico imbonitore di folle.
Latouche e' un tipo semplice, tranquillo, asciutto, segaligno e robusto come
un ramponiere. Il suo volto e' segnato da rughe, ha capelli grigio-ferro e
l'occhio da aquilotto. E' arrivato zoppicando con un gran sorriso,
appoggiato al lungo bastone che e' il suo emblema di viandante. "Che vuole,
cher ami, ho le ginocchia calcificate e le piante dei piedi consumate dal
troppo camminare. Ma e' giusto cosi'…, non e' mica giusto lasciare al buon
Dio un fisico in perfetta efficienza. No?".
Pensi che abbia formule da svelare: invece spiega che basta concentrarsi
sulla qualita' della vita. Dobbiamo liberare l'immaginario, reso schiavo di
un feticcio apportatore di sventure. La parola sviluppo. Basta dire ai
politici che, rinunciando alla mistica della crescita, non perderanno
elettori, al contrario. Far capire alla gente che, scegliendo la decrescita,
non torneranno all'eta' della pietra, ma solo a quarant'anni fa.
"I poteri forti ci ricattano, tengono in ostaggio la nostra immaginazione.
Ci dicono che con la decrescita scendera' su di noi la tristezza di
un'infinita quaresima. Non e' vero niente. Invertire la corsa ai consumi e'
la cosa piu' allegra che ci sia". Questo e' del resto il tema del suo
prossimo libro in uscita in Italia a meta' marzo per Boringhieri: s'intitola
Breve trattato sulla decrescita serena. Latouche ce l'ha a morte anche col
terrorismo mentale degli ecologisti annunciatori di penitenza. Sorride sotto
la barba: "Ah, il masochismo protestante, il senso del dovere, i dieci
comandamenti… Ma no! La sola regola e' la gioia di vivere".
Quarant'anni fa, si diceva. Il disastro e' cominciato allora. E' li' che si
e' scatenata la corsa allo spreco. In quarant'anni il nostro impatto
negativo sulla biosfera e' triplicato, e non smette di crescere. Sembra
impossibile, no? In fondo, non mangiamo il triplo, non facciamo il triplo di
viaggi, non usiamo il triplo di vestiti… Come si spiegano questi numeri da
apocalisse?
Semplice. Nella nostra vita ha fatto irruzione l'Usa e Getta, l'obsolescenza
programmata dei beni. Una follia. Il trenta per cento della carne dei
supermercati va direttamente nella spazzatura… Un'auto e' vecchia dopo tre
anni, un computer peggio ancora… E se non li cambi sei "out"… Viviamo di
acque minerali che vengono da lontanissimo, in mezzo a sprechi energetici
demenziali, con l'Andalusia che mangia pomodori olandesi e l'Olanda che
mangia pomodori andalusi…
E che dire delle bistecche, che quarant'anni fa avevano il sapore dei
pascoli. Oggi sono gonfie di mangimi alla soia, coltivata a migliaia di
chilometri di distanza, in campi ricavati dai disboscamenti dell'Amazzonia.
"Una volta ero un divoratore di carne. Oggi la mangio col contagocce. Ma non
per negarmi qualcosa. Lo faccio per divertirmi a scoprire le nuove frontiere
del mangiare. Il mio amico Carlo Petrini dice che un gastronomo non
ecologista e' un imbecille, e un ecologista non gastronomo e' una persona
triste. Ci pensi: e' verissimo".
Per i rifiuti la regola base del benessere non cambia. "Inutile fare come i
tedeschi, per i quali la raccolta differenziata e' diventata ossessione.
Basta comprare diversamente, vivendo in modo conviviale. Non c'e'
inceneritore che tenga… Il miglior rifiuto e' quello non prodotto… E
attenzione, lo dico agli amici italiani, l'assedio da immondizie non e' una
questione napoletana. E' una questione mondiale, il libro di Saviano lo dice
chiaro. Gli Stati Uniti mandano in Nigeria ottocento navi al mese di rifiuti
tossici non riciclabili".
Affrontiamo in letizia lo stocco, il pane e il vino, e il discorso di
Latouche e' come una litania francescana che ti obbliga a sillabare senza
paura l'abc della rinuncia. Le e-mail, per esempio. "Scrivo spesso lettere a
mano, ma non per tornare alla candela e alla pergamena. Lo faccio per il
semplice piacere di dimostrare a me stesso che posso camminare senza le
protesi artificiali imposte dal sistema, in modo atossico. Intendo la posta
elettronica, e tutto il resto. La mia e' una forma di allenamento al digiuno
dalla tecnologia. Un tecno-digiuno".
E poi la bici. "Non la uso perche' si deve, ma solo perche' e' bello. Se
nella mia casa in montagna pedalo chilometri ogni mattina per procurarmi i
croissant per la colazione, significa che mi fa vivere meglio, punto e
basta. Incontro persone, parlo, imparo, e la giornata comincia col piede
giusto. Ivan Illich, grande fustigatore dello spreco, diceva che questo
mondo ad alto consumo di energia e', inevitabilmente, un mondo a bassa
comunicazione fra uomini. Ecco, la bici e' il simbolo del contrario. Una
vita a bassa energia genera alta comunicazione".
Non parliamo dei telefonini. "Potrei dire che fanno male, che per costruirli
si usa un minerale rarissimo e altamente tossico; o che dietro a ogni
cellulare c'e' il sangue delle guerre tribali fomentate dall'Occidente in
posti come il Congo. Invece dico solo questo: senza telefonini si vive
meglio. L'ansia cala. L'allegria aumenta. Non hai piu' il Grande Fratello
che ti sorveglia. Uno lo capisce anche senza sapere niente di economia e
scomodare la geopolitica".
Sviluppo: l'imbroglio e' contenuto gia' nella parola. Nasconde lo
sfruttamento e la rapina; lo sradicamento in massa di individui, la morte
delle diversita', l'evidenza di un'umanita' apatica, infelice, obesa,
precaria, insicura e, a ben guardare, anche piu' povera. "L'idea di sviluppo
resiste ostinatamente all'evidenza del suo fallimento. Per questo ha smesso
da tempo di essere una cosa scientifica. E' diventato mistica, mitologia,
religione. Un feticcio imbroglione che anestetizza le sue vittime. Il vero
oppio dei popoli".
Ci dicono che per uscire dalla crisi economica dobbiamo lavorare di piu'.
Diventare cinesi. Che la Cina vada al disastro e affoghi nell'inquinamento,
sono obiezioni irrilevanti. Si va avanti lo stesso. "E' da questa cecita'
che dobbiamo liberarci", dice il francese. Si', ma allora qual e' il modello
giusto? "Anni fa ho incontrato un contadino laotiano. Stava seduto sul bordo
di un campo e non faceva nulla. Gli ho chiesto: che fai? Ha risposto:
ascolto il riso che cresce. J'ecoute le riz pousser. Ritroviamo il piacere
della vita, prima dell'ansia di fare".
E' cosi' ovvio: una societa' che ha come solo scopo lo sviluppo economico e'
come un individuo che vuole solo essere obeso. Eppure la gente ha lo stesso
paura di cambiare, teme di perdere il benessere. "Qui gli allarmi degli
ultimi decenni, cose come Chernobyl o l'epidemia di mucca pazza, sono stati
utilissimi. Hanno posto interrogativi alla gente. Fanno il gioco del partito
della decrescita. Per questo, piu' che immaginare La Grande Catastrofe
Finale, preferisco costruire una pedagogia delle piccole catastrofi
intermedie. Non c'e' niente di meglio per far capire alla gente l'apocalisse
che verra'".
E la lentezza? "La guerra della Valsusa contro la linea ferroviaria ad alta
velocita' e' sacrosanta ed e' stata un pilastro nella storia del partito
della decrescita. Era il dicembre del 2005, trentamila persone si erano
schierate sotto la neve contro i bulldozer e io ero in tv, a 'L'infedele' di
Lerner, a commentare in diretta. Ecco, proprio allora si e' creata la
saldatura tra quella battaglia concreta e la teoria della decrescita. E' li'
che i movimenti sono usciti dalla foresta e hanno cominciato a saldarsi tra
loro. Quello anti-Tav, quello contro il megaponte di Messina o la centrale
di Civitavecchia".
Latouche ne e' certo: i poteri forti temono la pubblica opinione. Per questo
ci tengono all'oscuro. Nell'Unione Europea hanno bloccato tutti i referendum
sulle grandi opere e gli ogm, perche' sanno benissimo che la gente voterebbe
contro, come e' successo in Svizzera. Jose' Bove' ha dovuto fare lo sciopero
della fame perche' il governo francese, per timore di reazioni popolari,
mantenesse la promessa moratoria sugli organismi geneticamente modificati.
"Se un politico andasse in tv e dicesse: signori, stiamo viaggiando su un
treno senza conducente, da domani dobbiamo cambiar vita… Se quel politico
desse nuove regole di comportamento virtuoso alla nazione, non ho dubbi che
sarebbe ucciso nel giro di una settimana".
E' un segno di paura. Per questo l'economia globale accelera invece di
rallentare. Per questo le immondizie diventano montagne, il fossato fra
ricchi e poveri si allarga, le banlieues si incendiano. Per questo la corsa
alle ultime risorse diventa rapina, guerra, e il sistema entra nel tunnel
dell'assurdo. "Assurdistan" lo chiamava Illich. E poiche' paura e consumi
aumentano in parallelo, ecco che la costruzione di un partito della
decrescita diventa una gara di velocita', una corsa contro il tempo.
"Quarant'anni fa sono andato a lavorare in Africa come esperto di sviluppo.
Volevo redimere il continente dalla sua arretratezza. Ma ero anche
affascinato dai popoli africani. Studiavo appassionatamente quelle stesse
culture che con l'economia contribuivo a distruggere. E' stato li' che la
contraddizione mi e' apparsa chiara. Ed e' stato li' che ho perso la fede.
Da allora ho combattuto, sentendomi un predicatore nel deserto. Oggi, per la
prima volta, vedo che le cose stanno cambiando. I nuclei a economia
sostenibile si moltiplicano. Nelle citta' conosco interi palazzi che si
organizzano in modo ecosostenibile. Lo sento, ce la faremo".

(dal sito del quotidiano "La Repubblica" del 24 febbraio 2008, "Decrescita:
Latouche, la felicita' con meno")