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Tonino, salvaci!

Per chi è corto di memoria, per chi ha fette d'insaccato sugli occhi, per chi non si stura gli orecchi da un po' pubblico questo articolo del gennaio scorso a firma di Bruno Dardani. Magari qualcuno comincerà a farsi qualche domanda. Se, poi, si va all'argomento inceneritori, MOSE e Ponte di Messina… (SM)

Il ministro attacca la dittatura delle minoranze. Prime perplessità della Commissione Ue sull'infrastruttura

«Alla fine, per sbloccare le grandi opere ci vorrà un'azione di forza. Una volta gestito il consenso, una volta compiute le scelte, lo Stato deve essere in grado di farle rispettare e di realizzare ciò che è nell'interesse pubblico. Anche con la forza».

 Il canto del cigno (anche se ammiccando precisa di non considerarlo tale) del ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro si consuma sul palcoscenico di Assolombarda,

e riserva i per altro attesi fuochi di artificio. Di fronte a una platea che lo considera «amico» della Lombardia e delle infrastrutture, Di Pietro si sgancia in modo clamoroso dai colleghi di governo: da Bianchi («se avessi atteso il suo piano della logistica non avrei concluso nulla»), ma specialmente dalla sinistra radicale e dagli ambientalisti. « In Italia – denuncia Di Pietro, riferendosi in particolare al caso Tav- esiste la dittatura delle minoranze, ovvero non più di una decina di persone… e farò i nomi a tempo debito e nelle sedi opportune, che bloccano la realizzazione delle grandi infrastrutture. Sono quelli che portano truppe che nulla a che vedere hanno con le legittime aspettative del territorio».

Appena scottato dall'annuncio della sospensione (voluta dai sindaci della Val di Susa e avvallata da funzionari) del tavolo per il monitoraggio della Torino-Lione, ma anche dalla parallela conferma di una analoga sospensione del tavolo per Milano, Di Pietro parla della necessità di una «rivoluzione culturale» sul tema delle infrastrutture, ribadisce la continuità della sua azione rispetto a quella del precedente governo ma anche la totale discontinuità nei confronti di chi le grandi opere non le vuole.

Arriva persino a sottolineare come nell'elenco dei corridoi europei, figuri ancora il Berlino-Palermo e che per questo si è rifiutato di mettere una pietra tombale sul Ponte sullo Stretto, fra l'altro scongiurando sia la chiusura della società per il Ponte, sia il pagamento della penale al consorzio internazionale. In conclusione lasciando una nona aperta a chi potrebbe anche pensarla in modo diverso rispetto agli elettori dell'Unione che hanno votato un programma di non realizzazione dell'opera.

Di Pietro lancia accuse a destra e a manca, anche all'informazione sulle grandi opere che rende possibile la costruzione di vere e proprie bolle informative che poi «magari spingono l'Unione europea ad aprire procedure d'infrazione». Citazione quantomai tempestiva, questa del ministro delle Infrastrutture visto che proprio da Bruxelles rimbalzano in queste ore due notizie allarmanti: in tema di procedure d'infrazione il gabinetto di Barrot avrebbe già pronta una nuova lettera relativa ai sovrapprezzi Anas, destinata secondo molti ad avere ripercussioni anche sulle Autostrade Lombarde; dall'altro starebbero crescendo in ambienti comunitari proprio le perplessità sulla Torino-Lione.

II progetto bis (quello che prevede una deviazione da Venaus a Bussoleno) messo a punto frettolosamente per essere presentato alla Ue, non ha valutazione di impatto ambientale, non è stato sottoposto al confronto con gli stackholders e a fatica può essere considerato un preliminare. E mentre l'opzione originale di transito nella bassa Val di Susa, si basava su un tracciato apparentemente condiviso (con transito a nord di Torino) , il nuovo tracciato (che prevederebbe l'ingresso in Torino via Orbassano) non sarebbe che uno schizzo, o, se si vuole, una pura idea progettuale.

Per un'altra infrastruttura ferroviaria (il Terzo valico), la Mobility conference di Milano, ha registrato un nuovo intervento negativo dell'amministratore delegato di Ferrovie, Mauro Moretti: pur annunciando con malcelato piacere che anche' porti del nord Europa hanno strade e ferrovie totalmente congestionate, ha precisato che il problema del porto di Genova non sono le infrastrutture (e quindi i terminal o la nuova linea ferroviaria) ma le imprese che formano un sistema di intermediazione da tagliare. «Per questo – ha detto Moretti, riaffermando la titolarità delle ferrovie a dare lezioni di impresa – abbiamo partecipato e vinto la gara per la gestione del terminal di Voltri».

(di Bruno Dardani da Libero Mercato 29-01-2008)

Esilarante la vignetta di Fontes: non avremmo saputo fare di meglio…