È stato detto che “la democrazia è la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre forme che si sono sperimentate finora”. L’aforisma, notissimo, non è mio ma di Winston Churchill.
Ormai la maggior parte di noi italiani ha passato la sua vita in un regime che mi piacerebbe definire democratico senza dover chiudere tra virgolette l’aggettivo, ma ho paura che, a furia di deviazioni dal significato filosofico del concetto, piccole o meno piccole, occhiute o involontarie, la parola democrazia si stia svuotando del significato che le è proprio.
Sia come sia, in democrazia ognuno deve essere libero di esprimere le proprie opinioni senza altra censura che non sia quella del diritto alla pari libertà altrui e – ma questo non rientra nelle prescrizioni – magari del buon senso e della dignità.
E tra le libertà che la democrazia, quella vergine, deve concedere c’è quella di azione, fatti salvi i limiti di cui sopra.
Così, ognuno deve essere in diritto
di scegliersi un percorso di vita e deve essere in dovere di risponderne in primo luogo in solitudine alla propria coscienza.
Quando, ormai undici anni fa, il caso o chissà che ci fece piombare in mano una scoperta scientifica, noi, mia moglie ed io, sentimmo che non potevamo far finta di niente: quella scoperta avrebbe potuto aiutare gli scienziati a capire situazioni fino a quel momento incomprese, e questo avrebbe potuto portare a dare una mano a chi di quelle situazioni soffriva. I bambini innanzi tutto.
Fu così che mollammo tutto e, con le difficoltà che non ripeterò qui, essendo state descritte ormai mille volte, ci dedicammo anima e corpo alla ricerca specifica.
Che abbiamo dovuto mendicare per procurarci l’attrezzatura di minima è un fatto fin troppo noto e che una parte della carità abbia avuto caratteristiche pelose è un fatto che si è palesato in tutta la sua scoppiettante evidenza. Può risultare curioso che, per aiutare qualcuno, ci siamo attirati le antipatie di quel qualcuno stesso ma, del resto, ogni bagnino sa che, quando si tenta di salvare un annegando, è l’annegando che tira sottacqua il potenziale salvatore.
Per motivi che sono d’interesse sociologico e, in qualche caso, psichiatrico, in questo inizio di millennio caratterizzato dalle comunicazioni via Internet pullulano salottini mediatici in cui trovano posto psicopatici che vanno sostituendo i più concisi decoratori e poeti delle porte dei gabinetti pubblici, e lì, nella cosiddetta “rete”, la miseria che affligge questi malati ha modo di estrinsecarsi.
Io non ho tempo di frequentare quei siti, ma è un vero peccato perché in quella letteratura si trovano delle rivelazioni degne del lettino di uno psichiatra a si ha una visione magari allarmante ma certo spietatamente veritiera della natura umana. Così è solo quando qualche amico mi mette sotto il naso certe “prelibatezze” che io mi dedico per qualche minuto a quella lettura.
Ultimamente, finite le distrazioni dell’estate, io sono tornato di moda. La moda è qualcosa di così intollerabilmente brutto che siamo costretti a cambiarla ogni sei mesi, diceva Oscar Wilde, ma, evidentemente, stiamo imparando a riciclare. E, allora, ecco che torno io.
Forse qualcuno ricorderà che il 1° novembre scorso io scrissi, anzi, riscrissi, su questo blog che l’Università di Modena ha bisogno di un microscopista elettronico. Un giovane di buona volontà riprese il messaggio e lo propose al blog di cui è partecipe, ma ecco qui la reazione: Il meet up di XXX sceglie di non impegnarsi a fianco del dott. Stefano Montanari a causa delle accuse ricevute dallo stesso; allo stesso modo il meet up non è un agenzia di lavoro; per ora l'argomento non verrà trattato. Ci scusiamo con YYY ma la discussione verrà chiusa.
Ho tolto i riferimenti per l’ovvia pietà umana che un personaggio del genere non può non suscitare.
Caro frequentatore di blog e di questo censore, mi rivolgo a lei da uomo ormai vecchio che ha sbagliato tantissimo nella sua vita illudendosi di dare una mano ad un mondo che non ha alcuna intenzione di essere salvato. E che ha pure sbagliato sopravvalutandosi nel ritenersi capace di volare più alto di certe miserie. La lezione è stata dura: ho perso e non ho scusanti. Il mondo vuole che la ricerca, almeno una certa ricerca imbarazzante da tanti punti di vista, sia imbavagliata e lei, in questo, ha compiuto un atto che le varrà tanti plausi. La cosa è assicurata, visto l'ambiente di lavoro che lei frequenta e i personaggi con i quali si associa.
Mi piacerebbe sapere, però, da sconfitto che riconosce di aver perso, quali accuse mai saranno quelle che mi sarei permesso di rivolgere al vostro gruppo. E che cosa mai c’entri il giovane microscopista che non volete trovi lavoro, peraltro non presso il mio laboratorio dove, come lei m’insegna, vengono perpetrate turpitudini, ma presso un ente pubblico onorevole quale un’università che lei dovrebbe conoscere piuttosto bene.
Mi chiedo anche, con tutto il dovuto rispetto, che cosa abbia fatto lei per dare una mano a questo mondo. Non parlo di risultati: mi basterebbero le intenzioni.
Sappia, comunque, che il mio laboratorio degli orrori è aperto anche a lei e a tutti i suoi compagni di salotto. Le porte sono aperte per vedere, il che vi risparmierebbe di dover sviare l’argomento quando qualcuno vi metterà sotto gli occhi i fatti (già evidenti se solo si avesse l’onestà di osservarli), chiedendovi ragione di certe affermazioni sulle quali è davvero arduo trovare riscontro oggettivo. E, venendo di persona (la strada è breve), magari vi si risparmierà qualche imbarazzo quando ci sarà chi vi chiederà ragione di come mai si presti incondizionata fede a qualcuno, sconosciuto e senza credenziali però, in fondo, divertente per il gioco che vi permette di giocare, ma si rifiuta di andare alla fonte.
E le porte sono addirittura spalancate a tutti gli uomini di buona volontà che sceglieranno di chiudere la bocca per aprire il cervello e il cuore.
Insomma, questo è un invito a smettere di guardare da terra chi naviga e a tirarvi su le maniche.
Io avrò anche perso, ma almeno ci ho provato.
Comunque, pure ormai sconfitto dai politici, dai media, da Veronesi e da lei che sta così fattivamente contribuendo a stringere ancora un po’ il bavaglio, non mollo ancora e, se non mollo, questo è anche per lei che, senz’altro molto più giovane di me, si troverà a percorrere un mondo che potrebbe non essere dei più agevoli. Io non provo rancore: in fondo siamo compagni di viaggio.
Immagine da: http://kenoath.files.wordpress.com/2008/01/try-hard.jpg