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modernità dell’impresa

 C’è un sassolino che mi vorrei togliere dalla scarpa, visto che mi dà grande fastidio. La questione riguarda la teoria della “modernità” che viene associata naturalmente al mondo dell’impresa, mentre sindacati e sinistra vengono considerati conservatori e fuori dal tempo, perché difendono (male) i lavoratori dalla precarietà e dalla flessibilità. Naturalmente il quadretto è sapientemente dipinto e propagandato dal 90% della stampa e della TV che è di proprietà delle suddette categorie imprenditoriali.Ma se andassimo al sodo e giudicassimo solo i fatti, e non attraverso la monopolistica propaganda, avremmo delle sorprese e ne elenco solo qualcuna.Oggi viene considerato “moderno” delocalizzare le attività produttive dove  il costo del lavoro è più basso, e già questo ci parla della grande ingiustizia nel vedere  capitale prodotto dal lavoro italiano finire all’estero e non reinvestito dove è stato prodotto, ma anche questa emigrazione di capitale produce sconquassi.Abbiamo notizia che le oltre 20mila imprese a capitale italiano presenti in Romania (nel distretto di Timisoara) sono pronte a traslocare in Ucraina, Bielorussia, Moldova, dove un’ora di un dipendente vale 1,19 Euro, mentre in Romania la paga oraria è arrivata a tre Euro.Non vi aspettate che la “libera stampa” italiana parli del disastro sociale che queste “moderne” scelte produrranno nella società rumena, ma è veramente duro sentire parlare di modernità della globalizzazione e di ruolo sociale del mercato quando si fanno operazioni spietate, senza scrupoli, destabilizzando intere nazioni, seguendo solo profitto e sfruttamento dei lavoratori, che sono i nuovi schiavi da prendere e gettare via appena ottengono qualcosa di più di salario.E questo sta accadendo in tutto il mondo a cura proprio delle forze economiche più avanzate che esercitano questo ruolo di neocolonialismo.La evidente “modernità” sarebbe l’esatto contrario: ossia creare lavoro stabile nel nostro paese, con metodi di produzione moderni e puliti, legati ai bisogni dell’Italia e dell’Europa, cercando di produrre in questa area tutto ciò di cui abbiamo bisogno, integrandoci a livello europeo, senza competere con i folli mercati internazionali che lasciano dietro di sé macerie sociali, rifiuti tossici,trasporti costosi e inutili,precarietà,  e insostenibilità per l’ambiente. Per giudicare folle e insostenibile la attuale globalizzazione basterebbe saperne qualcosa, fotografare le situazioni che si creano, mettere in evidenza i guasti prodotti, comparare questo sviluppo distruttivo con le affermazioni degli scienziati che ci dicono che abbiamo già passato il livello di guardia.Fra le “moderne” attività promosse dal capitalismo, illuminato e liberale, abbiamo quelle strategie sul reperimento delle materie prime, sulle concessioni di taglio delle foreste, sulle concessioni di pesca, sulle estrazioni di petrolio e minerali, che è accertato non portano alcun beneficio alle popolazioni (come dimostra la Nigeria poverissima che galleggia sul petrolio) perché ottenute in modo diretto dalle compagnie multinazionali dalle gerarchie al potere, avendo cura di corromperle con fiumi di denaro versati in banche compiacenti. Sfruttamento della mano d’opera a basso costo e reperimento delle materie prime attraverso la corruzione sono le vere basi materiali e culturali del capitalismo moderno, che si muove con le sue logiche antichissime, fatte di schiavitù, prepotenze, minacce militari. Ma il disastro ambientale, che questa logica produttiva sta producendo, impone a tutti noi di rivedere in profondità il ruolo della politica, nuova e autorevole, che deve poter limitare lo strapotere dell’economia e indirizzarla verso un corso sostenibile con limiti precisi dettati dalle valutazioni degli scienziati che devono collaborare con la politica per fissare tali limiti. Oggi siamo in mano a incompetenti avidi e cinici, industriali e politicanti, che vogliono assolutamente lasciare le cose come sono e continuare nella loro opera distruttiva della natura e trattare gli uomini come merci al loro servizio. Il nodo è questo. Se l’economia non viene regolata da governi politici autorevoli e saggi, che decidono tenendo presente prima di ogni cosa il fattore ambientale, il futuro è nero per tutti.