La correlazione tra aumento delle concentrazioni di polveri fini e ultrafini ed aumento corrispondente di eventi cardiovascolari è ben conosciuta da decenni.
Già Seaton (Lancet, 1995) aveva indicato come le polveri sottili determinino un aumento della viscosità del plasma, un aumento della coagulabilità, un aumento della formazione di trombi e di conseguenza di eventi ischemici cardiaci. Nel 1997 Peters, sempre su Lancet, presentava i risultati di uno studio un ampio studio cross-sectional in Germania con una chiara dimostrazione di come la viscosità plasmatica fosse associata con una maggiore severità delle patologie cardiovascolari: l’analisi di campioni di sangue prelevati durante un episodio di inquinamento durato 13 giorni nel 1985 aveva indicato un aumento del rischio di viscosità plasmatica superiore al 95° percentile rispetto al resto del periodo.
Sempre Peters, nel 2001, pubblicava su Circulation i risultati di uno studio identico a quello in corso a Bologna, su 772 pazienti, in cui livelli aumentati di PM10 e PM2,5 risultavano associati ad un aumento di rischio di 1,5 volte rispetto ai valori più bassi registrati nella stessa città.
La ricerca in corso dei colleghi emiliani non aggiunge nuove conoscenze di base, ma definisce con maggiore precisione l’impatto in una città italiana ed è interessante per le valutazioni che fa del rischio di reinfarto (un aumento del 2% di un secondo evento in relazione ad un aumento delle concentrazioni di 10 g /m3 ), dato questo relativamente nuovo nel panorama internazionale.
La stima di circa 900 decessi in più all’anno deriva dai dati pubblicati
dello studio MISA2 (che ha presentato una stima di 884 casi di mortalità annui in eccesso (stima metanalitica) nelle sole 11 città in studio (in Italia in complesso sono evidentemente di più) rispetto ad un valore limite di 20 g/m3 previsto come limite comunitario da raggiungere nel 2010. La stima è leggermente superiore se si usa la somma delle stime MISA2 città specifiche (920 decessi). Si tratta comunque di stime di effetti a breve termine (che cioè si esplicano nel giro di alcuni giorni dagli incrementi degli inquinanti); le stime di effetti combinati, a breve e a lungo termine sono decisamente superiori; una valutazione dell’OMS sugli impatti nelle città italiane, la cui presentazione pubblica è prevista il 15 giugno prossimo, fornirà stime decisamente rilevanti per quanto riguarda gli effetti a lungo termine, che solo in parte comprendono gli effetti a breve termine già studiati.
Si sa che dopo pochi minuti dall’inalazione del particolato atmosferico questo è rilevabile nel nostro organismo. La figura seguente (Nemmar et al. Circulation 2002;105:411.) mostra la distribuzione di particolato marcato nei vari organi del nostro corpo dopo 45 minuti dall’inalazione:
Ma le prospettive più sconvolgenti (Sun et al, JAMA, Dec 2005) vengono da alcuni studi condotti su animali esposti all’inalazione di particolato fine (PM;2,5) nella stessa misura degli esseri umani (in pratica all’aria di New York, peraltro più salubre di quella di Torino). Gli effetti dell’esposizione sono peggiori di quelli di una dieta particolarmente ricca di grassi animali. La formazione di placche arteriosclerotiche dnell’aorta delle cavie esposte ad aria non filtrata (seconda colonna) mostra la differenza.
Nella prima colonna a sinistra sono con dieta poco grassa e aria filtrata.
Nella seconda colonna da sinistra con dieta poco grassa e aria carica di PM 2,5.
Nella terza colonna da sinistra con dieta grassa e aria filtrata.
Nella quarta colonna da sinistra con dieta grassa e aria carica di PM 2,5un chiaro effetto peggiorativo dell’aterosclerosi, che ben si correla con quanto evidenziato sui vasi cardiaci dei pazienti nello studio condotto a Bologna.
Purtroppo bisogna dire che i dati medi di particolato a Bologna dove si è fatta la ricerca sugli infarti sono minori di quelli registrati a Torino o Milano, anche se entrambe fanno parte della pianura padana, cioè di una delle aree più inquinate del mondo.