Ciò che ci siamo detti ieri sera

In calce, un P.S delle 21 e 10

Tutti i giovedì sera parlano gli avvocati e tutti i venerdì sera parlo io in diretta con chi è iscritto a Free Health Academy. E ieri era venerdì.

Gli argomenti trattati sono stati più di uno e, fortunatamente, c’è stato anche chi ha introdotto discussioni che non avevano a che fare con il tormentone del Covid, ormai unico interesse di una popolazione di monomaniaci allevati con cura per essere tali.

Comunque, ieri sera si è parlato molto di Covid e, per qualche minuto, di Michèle Rivasi, la parlamentare europea francese che, pur con limitazioni che squalificano e mortificano la Comunità Europea ormai marcescente, è riuscita a dare una breve occhiata a un contratto che noi europei, a nostra insaputa, abbiamo sottoscritto con un produttore di sedicenti vaccini. C’è davvero di che andare in massa Bruxelles per accompagnare con dolcezza alla porta i nostri “rappresentanti” perché abbiamo bisogno di altra qualità.

Poi si è parlato dell’“incidente” di Rovereto. Secondo il quotidiano L’Adige, un foglio tutt’altro che tenero verso i biechi anti-vax, il personale sanitario dell’ospedale locale è stato “vaccinato” con dell’acqua. A questo punto mi è impossibile non domandarmi, se si vuole classificare quale incidente qualcosa di grottesco, come il “vaccinatore” non si sia accorto che riempiva ripetutamente la siringa succhiando non dalla bottiglietta etichettata comicamente “vaccino” ma dal bottiglione della soluzione fisiologica. E non posso non avanzare il sospetto che tutti i tromboni di regime abbiano ricevuto lo stesso tipo d’iniezione nel corso delle loro esibizioni da circo di bassa lega. Non così per il popol bue, quello che fa ore di fila per ricevere la magica pozione e poi qualche “disturbo” lo avverte. Non così per la farmacista di Ravenna (49 anni e 4 figli) morta dopo un breve coma a ridosso dell’essersi fatta “vaccinare”. A margine, ho fatto notare come, ovviamente, sia impossibile pretendere che il flacone multidose resti sterile.

E si è parlato del curioso caso dello stato d’Israele, il paese più “vaccinato” al mondo per il contratto stipulato con un produttore dell’elisir, eppure, secondo l’Università di Oxford, il paese con il maggior numero di contagiati in rapporto alla popolazione:  un paese, stando ai dati ufficiali, con una mortalità doppia rispetto al resto del mondo. In aggiunta, il TG24 di Sky riferisce che in una sola giornata Israele ha avuto oltre 10.000 casi di positività: un numero interessante, considerando che la popolazione è, e non di poco, inferiore a quella della Lombardia.

Poi, ancora, si è fatto notare come il farmaco sia spacciato per vaccino quando vaccino non è, trattandosi palesemente di una terapia genica. Molto goffamente (e sulla goffaggine basta ascoltare una mortificante trasmissione di Radio Maria, ormai diventata strumento di penetrazione di regime), si sta cercando di distorcere la definizione di vaccino in barba alla farmacologia e agli stessi vocabolari, per includere tra i vaccini qualcosa di quanto mai differente. Il motivo di questo raggiro è presto detto: se il prodotto fosse valutato per quello che effettivamente è, occorrerebbe una sperimentazione che richiede tempi lunghissimi, grandi investimenti di denaro e passaggi a dir poco irti di difficoltà. Quanto al successo di tutta quella fatica, nessuno potrebbe giurarci. Spacciandolo per vaccino, invece, niente di tutto ciò, e un prodotto privo di sperimentazione e di cui si sa poco o, meglio, quasi nulla, viene addirittura sponsorizzato dallo stato non senza ricorso alla violenza. Credo che chiunque possa sospettare qualcosa, e il rifiuto di dare risposte da parte del regime e perfino di prestarsi a dibattiti con le regole della scienza è qualcosa che risponde in modo esauriente ai sospetti. Ma c’è la legge… Sì: la legge parla di vaccino quando questo farmaco vaccino non è. Dunque, se anche si volesse sottostare ad una legge pur se di legale non c’è nulla, la cosa sarebbe di fatto impossibile, non esistendo il vaccino.

Da ultimo, tra gli altri argomenti, ho risposto alla solita domanda “che cosa possiamo fare?” La mia risposta è stata ovvia: “Dobbiamo fare massa critica,” e Free Health Academy è nata per questo. A quel punto, sullo schermo del computer è comparso il commento di un(a) partecipante all’incontro. Costui (o costei) sosteneva che per fare massa critica l’iscrizione all’accademia dovrebbe costare meno.

Rendo noto che per far funzionare l’accademia occorrono lavoro e denari. Rendo noto che la partecipazione quotidiana costa decisamente meno di quanto non costi una sigaretta o la metà di quanto non costi un caffè al bar. Rendo noto che noi che portiamo avanti l’iniziativa lo facciamo a costo di sacrifici personali. Se qualcuno reputa che rinunciare a una sigaretta al giorno o a un caffè ogni due giorni sia un sacrificio troppo pesante e non valga la partecipazione all’accademia, è pregato, se mai è iscritto, di cancellare l’iscrizione perché noi dobbiamo sì fare numero se pretendiamo efficacia ma non possiamo trascinarci appresso della zavorra. Nel contempo, prego chi, standosene al di fuori della nostra iniziativa, continua a tempestami di domande (cui spesso ho risposto centinaia di volte) pretendendo risposte tagliate su misura, consulenze sanitarie (c’è chi mi manda decine di pagine di documenti) e persino legali, il tutto reputando con l’arroganza del milordino che sia mio dovere rispondere e suo diritto ricevere risposte, di fare quello che una vecchia canzone bolognese canta: “ch’al vâga a rånper äl scâtel pió in là!” Il che, tradotto in volgare, suona “vada ad importunare altrove.”

P.S. delle ore 21 e 10 – Rispondo in modo cumulativo: le donazioni sono umilianti. Se sono stato costretto a ricorrere a quel metodo è solo perché non ci era più possibile tenere in piedi la ricerca anche a ritmi più che ridotti. I discorsi basati sullo stato che dovrebbe finanziare la ricerca indipendente non hanno una gamba su cui reggersi. Lo stato non ha niente a che fare con il bene comune (si veda, uno tra i troppi esempi possibili, il boicottaggio delle nostre ricerche sulla leucemia) e, se vogliamo sopravvivere, noi e i nostri figli, dobbiamo organizzarci in modo acconcio, senza violenza e forti di dignità e cultura.

Lo so che in Italia si fanno le rivoluzioni solo se non c’è sciopero degli autobus, se c’è la garanzia di rincasare per cena, se non gioca la squadra del cuore e se non c’è il Festival di Sanremo. Mi astengo dal commentare le difficoltà d’iscrizione e passo il tutto a chi si occupa della questione (naturalmente non sono io). Poi, a ostacoli appianati, vedremo che cosa accadrà. Magari qualcuno vorrà che io vada a prenderlo a casa per accompagnarlo all’ufficio postale.

Sull’andare in piazza, prescindendo dalla mia idiosincrasia per qualunque forma di violenza e dal fatto di sapere perfettamente che politici e magistrati d’infischiano bellamente di manifestazioni simili, ricordo a chi mi legge che siamo in Italia, e l’Italia è ampiamente nota per essere “la terra dei morti” (A. de Lamartine https://www.stefanomontanari.net/un-popolo-senza-dignita/) e quella dell’“io speriamo che me la cavo” dove il centro dell’universo è quell’io. Noi abbiamo raccolto degli avvocati non per rovesciare il governo farsescamente tragico che ci siamo dati ma, molto più modestamente, per aiutare chi, per sé e per i propri figli, non vuole sottostare alle vessazioni imposte.

Se il nostro sforzo non interessa, siate gentili: non raccattate scuse di cui non c’è alcun bisogno e toglietevi di mezzo.