No: non sono stato colto di sorpresa. La via imboccata era quella ed è a binario unico. Gli psichiatri lo sanno e gli storici pure.
Qualche giorno fa Giuseppe Grillo, “il Giuse” ai vecchi tempi, da anni Beppe per affari, indisse un concorso a punti, non so bene a quale fine perché non ho indagato, i cui vincitori avrebbero ricevuto come premio quello di pranzare con lui. Al di là delle battute ovvie sulla tirchieria leggendaria del paziente e a quelle relative al conto che sarà presentato ai premiati ad ammazzacaffè consumato, mi viene da sorridere. Il ragionier Grillo è talmente gonfio d’aria, è talmente ignaro della differenza che corre tra comico e ridicolo, da presumere che la sua compagnia rappresenti qualcosa cui ambire. Come d’abitudine, parlo di cose che conosco, e io la compagnia del Nostro la conosco fin troppo bene. Se non si hanno interessi sociologici o medici, se non c’è entusiasmo per le pratiche masochistiche, assicuro che ci sono poche compagnie più sgradevoli. Comunque sia, credo che la corsa ad aggiungere un posto a tavola sia iniziata, il che non depone a favore dell’equilibrio di almeno un po’ dei nostri connazionali.
Mi rendo conto che il passo successivo nel decorso tradizionale della patologia, pur non cadendo inaspettato, è stato più rapido del previsto. Forse la necessità di rastrellare anche gli ultimi sempliciotti in vista delle elezioni in arrivo ha spinto ad accelerare. La novità è quella dei processi popolari, una novità certo non proprio tale e rilavata infinite volte con il Perlana di tutte le dittature in cui i quattro psicopatici che comandavano la giostra strepitavano di farlo in nome del popolo. E non esistono entità sociologiche più prone ad essere gabbate di quanto non sia il popolo preso nel suo insieme. Così, senza originalità, il dittatore di plastica Beppe I ripropone nientemeno che i tribunali dove qualche seminfermo di mente, nell’occasione rigorosamente passato al setaccio dal Partito per certificarne l’affidabilità, giudicherà da par suo chiunque gli stia sulle scatole. Poi “deciderà la rete” se la morte sarà cosa sbrigativa o se all’imputato, recapitato al cospetto della corte già munito di sentenza preventiva di condanna senza che lo s’incomodasse facendogli perdere tempo, spetterà il diritto ad altre attenzioni preventive.
Tra il 1934 e il 1945 lo zio ideale del nostro generalissimo allestì e fece funzionare con la solerzia e l’efficienza dell’allora germanico alleato il Volksgerichtshof, la corte tribunalizia popolare da cui pochi avevano la ventura di uscire vivi; e Stalin non fu da meno e così Robespierre. Ma riportare l’elenco dei sostenitori di questo metodo di sfoltimento della popolazione fastidiosa diventerebbe lungo e noioso. Mi limito a ricordare che, travolti dall’entusiasmo dei propri seguaci che, magari, pensarono pure di far loro piacere, ci fu chi tra i fondatori, capitato per lui a sorpresa al cospetto di quei giudici paladini della democrazia, ci lasciò le penne.
Naturalmente in Italia molto finirà in burletta, soprattutto perché da burletta è il Giusa, ma l’aver riesumato l’idea è cosa pericolosa. Tra i moltissimi raggirati consenzienti che porteranno il loro sì alle stelline ci potrebbe essere qualcuno psicologicamente un po’ più instabile del resto della mandria che potrebbe vestirsi da eroe e arrivare a combinare qualche guaio.
Va da sé che questa ennesima espressione d’itaGlianità accresce la mia vergogna rispetto ad origini territoriali che, in tutta coscienza, non avrei mai scelto.