http://www.unimondo.org/content/view/full/53829
inceneritori zero – da greenpeace.it
Rifiuti Zero, non è un'utopia ambientalista, è parte integrante della nuova rivoluzione industriale avviata dai paesi più avanzati, in particolare Giappone e Stati Uniti, negli anni '80. La parola d'ordine di questa rivoluzione è "Qualità Totale", in una visione "olistica" del sistema produttivo e "Rifiuti Zero" è parte di questo progetto. In base a questi nuovi valori guida, ogni tonnellata di rifiuti messi in discarica o inceneriti è la misura del fallimento e della inefficienza del sistema produttivo, equiparabile alla presenza di un difetto in un prodotto immesso nel mercato. E che "Rifiuti Zero" sia la nuova frontiera dei paesi industrializzati sta nei fatti.
E' comunque opportuno ricordare che questa scelta è anche il risultato di decenni di battaglie legali e culturali condotte, anche negli Stati Uniti, da comitati di cittadini, associazioni ambientaliste, associazioni a difesa dei consumatori, ricercatori indipendenti. A riguardo, significativo è quanto avvenuto nel New Jersey tra gli anni
'80 e '90, durante i quali, nonostante l'opposizione di numerosi comitati di cittadini, lo Stato Federale promuoveva la costruzione di diversi inceneritori. Questa scelta si dimostrò presto un disastro economico per il concomitante successo del riciclo e del compostaggio che sottraeva materiale da bruciare e per l'apertura di nuove discariche "low cost" negli Stati vicini che rendevano più economico esportare i rifiuti; ma il colpo di grazia venne dalla Corte Suprema quando questa aboliva le sovvenzioni statali agli inceneritori che, a questo punto, furono costretti a chiudere, ma prima chiesero, ed ottennero, il pagamento dei danni, per inadempimento degli accordi contrattuali: due miliardi di dollari, pagati dai contribuenti!
Situazioni analoghe si crearono in numerosi altri Stati, con la chiusura di diversi inceneritori e la cancellazione di centinaia di nuovi impianti in progetto, fallimento sottolineato dal Wall Street Jornal che, nella edizione dell'11 Agosto del 1993, in un suo lungo editoriale (http://www.village.it/italianostra/wsjincen.html) dissuadeva i suoi lettori ad investire negli inceneritori. A questo punto la risposta al problema rifiuti negli USA prendeva due strade, per diversi anni divergente: la California, con S. Francisco in testa, seguita da Los Angeles e San Diego, con la risoluzione del 13 novembre 2001, adottava l'obiettivo "Rifiuti Zero", preceduta, tre anni prima dalle città di Seattle e Portland.
Come conseguenza in queste città si è rinunciato alla realizzazione di inceneritori e si è puntato, in collaborazione con le aziende private, al riciclaggio e al compostaggio, con forme di raccolta differenziate domiciliarizzate anche in grandi centri urbani quale quello di San Francisco, che nel 2002 riciclava il 62% dei suoi materiali post consumo.
Importanti risultati nel riciclaggio sono stati raggiunti anche da Los Angeles (46%) e Seattle (43% nel 1999). Attualmente negli USA il riciclo e il compostaggio è il destino finale del 36% dei MPC e solo il 16 % è incenerito.
Negli ultimi anni, negli USA si è compreso che il riciclaggio ed il compostaggio da soli non sarebbero bastati per risolvere il problema dei rifiuti, di qui il progetto "Rifiuti Zero" che ancora una volta vede il significativo ruolo dei cittadini organizzati per vincere le resistenze delle amministrazioni pubbliche e delle potenti lobby dello smaltimento.
Ma a fianco di un vasto movimento di opinione pubblica a favore di questa politica si trovano anche numerose aziende (tra queste la Xerox) che hanno compreso come una politica di riprogettazione dei prodotti, finalizzata all'utilizzo di materiali riciclati come materie prime, ma ancor di più al riuso degli oggetti, sia la via vincente in un mercato competitivo in cui energia, materie prime e smaltimenti saranno sempre più costosi.
Una scelta diversa è stata quella di New York che fino ad alcuni anni fa, ha trovato più economico esportare fuori dallo Stato i suoi rifiuti. La città di New York, con otto milioni di abitanti, che arrivano a 12 milioni nelle giornate lavorative con i pendolari che lavorano in città, produce enormi quantità di rifiuti:13.000 tonnellate di rifiuti al giorno dai settori residenziali ed istituzionali e 9.900 tonnellate di scarti putrescibili, carta e imballaggi riciclabili dal settore commerciale. A questi rifiuti si aggiungono quantità ancora maggiori di macerie e scarti di lavori di demolizione prodotti dall'attività edile.
Dal 1970, fino a pochi anni fa, l'amministrazione di New York ha fatto resistenza passiva all'attivazione di una seria politica di riciclo e non ha nascosto la sua propensione a realizzare diversi inceneriori , per complessive 2000 t/giorno. La forte e qualificata resistenza dei comitati di cittadini che ha messo in difficoltà esperti profumatamente pagati, ha affossato questa ipotesi e oggi New York non ha più nessun inceneritore e non ha nessuna intenzione di realizzarne di nuovi. Sin dal 1997, quando fu annunciato che la discarica sull'isola di Staten era prossima alla chiusura, New York ha affrontato il problema esportando i suoi rifiuti a discariche ed inceneritori al di fuori dello stato, semplicemente perchè allora questo era il metodo più conveniente.
Nel 1996 il sindaco Giuliani, mal consigliato, affermava pubblicamente che il riciclo era "una moda capricciosa" e tagliava i fondi stanziati per il riciclo. Anche il suo successore Bloomberg per un pò ha pensato che la discarica
sarebbe stata più economica del riciclo. Se questo poteva essere vero durante il governo Giuliani, anche negli USA i costi di trasporto e smaltimento a discarica sono aumentati (del 91% a partire dal 2000) ed attualmente ammontano a 100 $ alla tonnellata. Le associazioni dei cittadini di N.Y. tornarono alla carica con nuovi conti, forti anche dell'appoggio di diverse aziende di riciclo che proprio a New York avevano avviato fiorenti attività, quali la VISY, che a Staten Island ha realizzato una cartiera da 125.000 tonnellate/anno che tratta carta da macero al 100%, la Hi-Rise Recycling Company che realizza caditoie condominiali per la raccolta differenziata, la City Green Company che raccoglie e composta gli scarti umidi prodotti da hotel e ristoranti, la Great Harbor Design Center che ha realizzato a Brooklyn un impianto che produce materiali da costruzione utilizzando vetro e cemento riciclato.
E queste sono solo alcune delle 4.257 aziende che, a New York hanno puntato sul riciclaggio dei materiali post consumo quale occasione di lavoro per 43.624 persone. I nuovi conti, ma ancor più i nuovi contratti a lunga scadenza con i riciclatori (che assicurano costi certi e molto più bassi) hanno convinto il sindaco Bloomberg che "Rifiuti Zero" può essere anche il futuro di New York.
E il 3 Giugno del 2004 ad una audizione della Commissione presieduta dai consiglieri comunali Serrano, Avella, Barron, Brewer, Comrie, DeBlasio, Fidler, Gerson, Katz, Liu, Martinez, McMahon, Monserrate, Moskowitz, Quinn, Rivera, Weprin, Felder, Jackson, Nelson, Gennaro, Koppell, Stewart, Lopez, Perkins e Palma è stata presentata la risoluzione N°174 che invita la Citta di New York ad adottare una politica di Rifiuti Zero da raggiungere a lungo termine, grazie ad una autorevole e perseverante direzione e finanziamenti certi.
Se son rose..
E che fine hanno fatto quei "ferri vecchi" che ormai negli USA sono diventati gli inceneritori che in quel paese nessuno vuole più, principalmente a causa dei loro costi stratosferici? Come spesso è già successo, fin dal piano Marshall nell'immediato dopo guerra, sono riciclati nei paesi del terzo mondo.