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Uranio: non l’assassino ma il mandante

D’improvviso la tragedia dei soldati malati delle sindromi cosiddette del Golfo e dei Balcani è diventata interessante per l’opinione pubblica e, come sempre accade in circostanze simili, ognuno dice la sua in base non si sa bene a quali conoscenze e competenze. Va da sé che tra chi dice la propria ci sia anche qualcuno che ha interesse a che certe informazioni arrivino nella maniera che fa più comodo per raggiungere certi obiettivi. Noi non abbiamo alcun vantaggio a manipolare i dati, ci occupiamo del problema da anni e questo nostro interesse puramente scientifico ci ha portato ad esaminare i reperti bioptici (o autoptici quando il proprietario di quei tessuti non c’era più) di un’ottantina (ma il numero è in crescita costante) di militari prevalentemente italiani, ma qualcuno anche francese, canadese o statunitense. Ciò che abbiamo trovato in tutti questi tessuti malati, e non solo nei tessuti ma in qualche circostanza anche nello sperma, è stata della polvere inorganica di dimensioni variabili da qualche micron (millesimo di millimetro) giù fino a qualche decina di nanometri (un nanometro è un milionesimo di millimetro). La chimica di queste particelle, una chimica spesso insolita quando non del tutto nuova, è caratteristica di materiali non biodegradabili e non biocompatibili. Da che l’esistenza di queste malattie è cominciata a trapelare, l’uranio impoverito usato in una certa classe di bombe e proiettili è sempre stato indicato tra i maggiori imputati come agente d’innesco delle malattie dei soldati, eppure noi di questo uranio non abbiamo mai trovato traccia nei tessuti. Nella sua forma impoverita dell’isotopo chiamato 235, l’uranio ha una radioattività piuttosto bassa, comunque, se presente nell’ambiente, non sufficiente per provocare malattie come quelle tipiche delle “sindromi”. Altra cosa potrebbe essere se l’uranio impoverito in forma di particella fosse presente in discreta quantità nell’organismo ma, come detto, noi questo uranio non lo abbiamo trovato. A questo punto qualcuno ha voluto credere che questo mancato ritrovamento assolvesse l’uranio, il che non corrisponde alla realtà. Nei fatti, le armi che si servono di questo metallo ne impiegano pochi chilogrammi e quei pochi chilogrammi sono sufficienti, una volta colpito il bersaglio, a far vaporizzare tonnellate di materiale, un materiale la cui composizione dipende ovviamente dal bersaglio. Questa specie di vapore ricondensa entro pochi secondi sotto forma di polveri

finissime, queste polveri se ne stanno sospese in aria per tempi anche lunghissimi e chi è presente in zona non può evitare d’inalarle insieme con l’aria che respira. Sono proprio quelle le polveri che noi troviamo nei reperti patologici. Il perché non abbiamo mai trovato l’uranio è semplice: come dovrebbe risultare evidente facendo la proporzione tra i pochi chilogrammi di uranio e le molte tonnellate di polvere che questi pochi chilogrammi producono, si tratta di quantità davvero minime del famigerato uranio rispetto a tutti gli elementi chimici che sono coinvolti nell’esplosione e, dunque, trovarne traccia è ben più improbabile di quanto non sia trovare il classico ago nel pagliaio. Naturalmente non è detto che uranio non ce ne sia. Anzi, la sua presenza nell’organismo è assolutamente probabile, ma il problema è solo la quantità. A questo punto, se tutto quanto spiegato fin qui è stato compreso, risulterà chiaro che l’uranio non è l’agente patogeno, ma senza l’uranio un’esplosione di quella portata così devastante sia per massa di materia coinvolta sia per temperatura, una temperatura che supera la bellezza di 3.000 °C, non sarebbe potuta avvenire. E per quanto riguarda la temperatura, bisogna sapere che più questa è alta, più piccole e di gran lunga più aggressive per l’organismo sono le particelle prodotte. Dunque, per chiarire al di là di ogni dubbio, l’uranio è sicuramente colpevole della patologia, essendo l’elemento che provoca la formazione dell’agente patogeno che è la polvere finissima. Insomma, non l’assassino ma il mandante, per riciclare un’immagine che abbiamo già usato decine di volte in libri, articoli e interviste in ogni mezzo di comunicazione, sempre sperando di non essere più o meno volontariamente fraintesi. Può essere interessante, pur senza destare sorpresa, notare come le malattie non siano limitate ai militari dispiegati, ma colpiscano ugualmente anche ai civili che vivono nelle zone teatro di guerra, così pure come a chi risiede o lavora nell’intorno di certi poligoni di tiro dove si svolgono esercitazioni belliche. A parer nostro, è piuttosto improbabile imputare quelle malattie alle vaccinazioni multiple e alla somministrazione di certi farmaci sperimentali cui i militari possono essere stati sottoposti, e questo perché non tutti coloro che si sono ammalati le hanno subite, non tutti gli eserciti ne hanno usato gli stessi cocktail e con le stesse modalità, e, in genere, i civili coinvolti non sono stati sottoposti a vaccinazione né mai hanno assunto quei farmaci. Stessa cosa si può affermare per l’esposizione a certi preparati chimici con i quali alcune tende e teloni di camion sono stati irrorati. Certo, vaccini, farmaci e sostanze velenose possono aver ricoperto il ruolo di concausa in qualche modo facilitando il manifestarsi della malattia, ma non di più. Dunque, stando alle nostre indagini, l’uranio è colpevole, anche se non con i meccanismi, peraltro mai dimostrati, sostenuti da qualcuno. Da ultimo, non va dimenticato come le polveri fini e finissime, comunque prodotte, siano patogeniche, come ormai dimostra un’amplissima letteratura scientifica.

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