C'è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d'antico… Così scriveva oltre un secolo fa Pascoli in una sua stupenda poesia.
La stessa sensazione di novità mista all’antico, anzi, ad un déjà-vu ormai quasi stucchevole, arriva in questi giorni da Torino.
Tempo fa ci fu chi denunciò al tribunale locale la fin troppo ovvia pericolosità per la salute insita nel progetto di costruzione di un inceneritore di rifiuti di enormi dimensioni come quello del Gerbido. In un paese ideale quel ricorso alla giustizia sarebbe stato perfettamente inutile per il semplice fatto che nessuno avrebbe mai pensato di far sparire i rifiuti bruciandoli, considerata la palese assurdità di un’idea così balzana condannata da secoli di scienza e dall’economia. Ma noi non siamo un paese ideale, come ben c’insegnano le apparizioni televisive di venditori da fiera camuffati da scienziati, da tecnici e da politici, il tutto veicolato da professionisti della bufala mediatica. Allora il falò dell’immondizia ci viene spacciato come non solo il toccasana di una situazione fortemente voluta in cui si è riusciti ad annegare la Penisola nei rifiuti, ma addirittura come soluzione unica. Di più, anzi: con i vostri rifiuti, accendiamo le vostre lampadine. Dunque, più porcherie producete, più luminose saranno le vostre case. È questo, più o meno, che si sta insegnando in molte scuole, dalle elementari in su fino, tristissimamente, alle università che sfornano a getto continuo una classe dirigente da far accapponare la pelle.
Dunque, stante la situazione, a Torino c’è chi, tra i cittadini, si deve prendere la briga d’impugnare la penna e interessare il tribunale competente (competente per territorio, intendo).
Il tribunale, però,
archivia il tutto, magari anche un po’ annoiato da queste istanze che non hanno glamour. La ragione addotta è confusa ed è figlia di un’assoluta, vistosa mancanza di conoscenza in merito. Si fa persino ricorso ad affermazioni, fedeli o malintese che siano, di personaggi che mai nella loro vita hanno avuto occasione di dare un’occhiata a tessuti aggrediti dalle polveri di cui gl’inceneritori sono ovvi quanto mastodontici produttori. Né, peraltro, quei personaggi avrebbero avuto la competenza di capirci qualcosa, anche avessero battuto il naso su immagini di microscopia elettronica la cui evidenza le fa indegne di discussione per chi abbia anche solo qualche infarinatura in merito.
Così, chi aveva denunciato si oppone all’archiviazione. E che fa la giustizia? Risponde che la vigente normativa non considera le “monoparticelle” (sic!) e che non appare “essersi formata uniformità di opinioni”. Non essendoci uniformità di opinioni – riporta il documento di archiviazione – esistono opinioni diverse. Insomma, c’è chi dice che respirare e mangiare polvere non fa bene e chi, invece, è convinto del contrario.
A questo punto, non avendo conoscenza nemmeno superficiale del problema (vedi l’accenno a fantasiose “monoparticelle”), il magistrato del paese ideale non può che decidere che l’inceneritore non si fa, se non altro in attesa che chi le nanoparticelle le rifiuta (se si tratta invece di “monoparticelle”, allora siamo d’accordo che, non esistendo, non fanno male), e chi al contrario le appetisce si mettano d’accordo. E invece, no: aspettando di avere certezze, beccatevi quella roba e statevene tranquilli e rilassati. Se, poi, vi ammalerete, figlierete bambini malformati o schiatterete, che cosa pretendete? La legge non accenna al problema.
Il sensus communis? La diligenza del bonus pater familias? Sconosciuti al portalettere.
Ma a Torino non ci si ferma qui.
Or non sono che pochi giorni che nell’antica capitale risuona un’altra voce di pari levatura.
Un tale onorevole Agostino Ghiglia, già membro a Roma della Commissione Ambiente e consigliere comunale a Torino, rende tutti partecipi di una sua meditazione. Stante il fatto che ogni inverno il Comune spende non meno di sei milioni e mezzo di Euro per sgomberare le strade dalla neve, da uomini pratici che siamo, andiamo direttamente alla radice del male: non facciamo nevicare. Come si fa? Niente di più semplice: si spara contro le nuvole una mistura di azoto liquido, ioduro d’argento in cristalli e polvere di cemento. Una ricetta che pare avere riscosso grande successo in quel paradiso terrestre che è la Cina.
Che succederà al microclima sparando liquido intorno ai 200 gradi sotto zero (l’azoto bolle a – 195 °C), l’Onorevole non ce lo dice. Né ci dice che cosa succederà al sale d’argento che, cristallino o idrolizzato che sia nei suoi due elementi, tornerà dolcemente verso il suolo venendo nel lento tragitto inalato per poi essere mangiato con frutta, verdura e cereali una volta che sarà caduto. Quanto, poi, al cemento, una bella miscela di alluminati e silicati insolubili, non biodegradabili e non biocompatibili, sono certo che i torinesi reagiranno con entusiasmo alla prospettiva di ospitarlo nei loro organismi che, magari, usciranno dall’esperienza ancor più rocciosi di quanto genetica e tradizione non vogliano.
Ecco: questa è la magistratura e questa è la politica di casa nostra. Ognuno è fabbro della propria fortuna – ammonivano i latini – e i popoli non sono da meno.