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Tibet: olimpica occasione

Tibet: olimpica occasione  a cura di Paolo De Gregorio  -21 marzo 2008-   Lo sport e le Olimpiadi, decantati con molta retorica dal “pensiero unico” come momento di pace e affratellamento fra i popoli, in realtà sono, se solo di restasse ai fatti fuor dalle invenzioni retoriche, occasioni di rimarcare i nazionalismi, e l’evento si presta sempre, vista la grande copertura mediatica, a iniziative di tipo squisitamente politico. La “rivolta tibetana” si inserisce certamente come scelta di tempo all’interno di questa cornice globale e tende a mettere in difficoltà la Cina, che invece voleva usare i giochi per aumentare il suo prestigio e i suoi successi economici. Personalmente non ho alcuna simpatia, né per i monaci buddisti (che fanno politica appoggiati dall’Occidente che vuole mettere piede in Tibet), né per un paese che si definisce comunista pur praticando uno sfrenato capitalismo, ma vedo con chiarezza, sullo sfondo di questa vicenda, il proposito di limitare l’influenza cinese in quell’area geopolitica, naturale evoluzione di una integrazione economica tra paesi vicini in cui però la Cina avrebbe il ruolo principale. Il moribondo egemonismo USA con i suoi tiepidi alleati europei, tiene in piedi una mostruosa forza militare, continua a fare guerre (che perderà), continua ad accerchiare la Russia con basi militari (la più grande proprio in Kosovo), al solo scopo di rallentare l’inevitabile processo di multilateralismo che è ormai in atto, inarrestabile, e genererà un mondo non più succube di una sola superpotenza, ma un mondo multilaterale con potenze “regionali” come Cina, India, Europa, Russia, America Latina, Giappone, in cui l’America del Nord conterà solo come gli altri.La pratica di interferire in ogni angolo del mondo per mantenere l’egemonia imperiale, che altro non è che imporre la legge del più forte, presto non sarà più possibile proprio per la forza dei suoi competitori, e la crisi del dollaro come moneta di riferimento globale certifica la fine di una epoca storica. Anche in questo caso non sarà l’etica né la voglia di pace a determinare la fine dell’imperialismo, ma, come accaduto per il Regno Unito, i costi insostenibili dell’egemonismo militare saranno determinanti per smantellare questo inutile apparato. Per di più nazioni anche piccole e povere sono in grado di resistere a qualunque colonizzazione e credo che a conti fatti sia meglio rassegnarsi a comandare solo a casa propria. Non sarebbe male che il Dalai Lama e i monaci buddisti, così formalmente pacifisti, avessero questa visione d’insieme del mondo e riconoscessero che oggi la più grande operazione di PACE  è far finire l’egemonismo USA. Paolo De Gregorio

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