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Sono scappato in Irlanda

Fonte: movimentozero [scheda fonte: http://www.ariannaeditrice.it/scheda_fonte.php?id=156 

 

Gli italiani in Irlanda sono ad oggi circa 6 mila e aumentano di anno in anno. L’Irlanda è uno degli ultimi baluardi dello sviluppo economico europeo, è la terza nazione per reddito pro capite in Europa, dopo Lussemburgo e Norvegia. Va da sè che il Pil non è, e non sarà mai, il valore assoluto che stabilisce la qualità della vita, ma l’arretramento italiano in termini di reddito pro capite, nascite e servizi, è ormai una situazione andata in metastasi. 

La ragione per cui gli italiani sono costretti a spostarsi in Irlanda o altrove è unica: la ricerca di un buon lavoro e di uno stipendio dignitoso. Nonostante l’Italia sia costituzionalmente una Repubblica fondata sul lavoro, l’articolo 1 è diventato una affermazione irritante e fuori luogo. Se è vero che solo se lavori esisti, qualcosa non va come dovrebbe. In Italia non è più possibile avere un briciolo di potere d’acquisto, un minimo di stabilità e dignità professionale. I lavoratori sono in mano a sciacalli, che grazie al grimaldello della legge Biagi, approfittano della flessibilità per rendere il lavoratore poco più di uno schiavo.

Le storie sono sempre le stesse: giovani neolaureati che vengono rimbalzati per anni da una azienda all’altra con salari imbarazzanti e contratti che scandalizzerebbero gli inventori del Monopoli. La differenza tra la concezione del lavoro tra Italia e Irlanda è la stessa che passa tra un dittatore e un feudatario. Il primo opprime e schiaccia i propri sudditi, il secondo costruisce ed intreccia rapporti saldi e rende i propri sottoposti risorse indispensabili. La sensazione è la stessa per tutti: lasciata la penisola ed arrivati alla nuova meta, ci si rende conto che il trattamento è diverso, che gli abusi delle politiche sul lavoro italiane – che vengono spacciati per indispensabili –  non sono altro che furberie. In Irlanda esistono i contratti di lavoro temporaneo, ma vengono usati con estrema cautela e chiarezza, mentre in Italia stanno diventando l’unica modalità e possibilità di somministrazione del lavoro.

Alla valigia di cartone si è avvicendato un trolley, probabilmente acquistato in qualche discount per una manciata di euro. Alla nave stiva che traghettava i nostri connazionali in America, un volo low-cost. Il nostro Paese così rimane in mano ai grandi vecchi, alle eminenze grigie dell’industria e agli ex piduisti, che, con il favore degli elettori, costruiscono i presupposti per il suo decesso. In tutto questo, c’è qualcosa di profondamente sbagliato, soprattutto quando sei costretto ad emigrare dal tuo Paese non per una guerra o per un’epidemia di peste nera, ma per poter campare, come ho fatto io.

Per ripararsi dalla pioggia d’Irlanda basta un ombrello. Per salvarsi dall’affondamento della nave Italia servirà ben altro.  

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