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se l’arpa stona

Mi rendo conto del fatto che non posso stare simpatico all’ARPA, l’ente che si occupa della salute dell’ambiente, e qui il verbo occuparsi è usato in senso neutro, sospendendo qualsiasi giudizio. Ogni regione ha il suo gruppo di tecnici – e sono uno stuolo, quasi un esercito – molti dei quali di buon livello, che sono addetti al rilevamento di dati così come prescrive la legge, una legge in più di un caso ormai completamente priva di significato perché contraddetta dalla scienza, ma questo non fa nulla. I nostri uomini dell’ARPA sono dei soldatini che devono fare il loro mestiere, e il loro mestiere mica è discutere la legge: è osservarla. A questo punto, comincia a sorgere qualche problema. Ogni tanto, qualche soldatino viene pescato con le mani nella marmellata perché la trascrizione dei dati pare non coincidere con la versione fornita dagli strumenti. Pare. Già è successo qualcosa di non troppo chiaro qua e là e se, in contrasto con quella che è l’italica tradizione, sulla marachella non si sorvolerà con il solito insabbiamento, vedremo che cosa concluderà la Magistratura. Nelle more, tutti innocenti. C’è, poi, il mistero delle centraline di rilevamento che, curiosamente, incrociano non di rado le braccia nei momenti in cui robusti sforamenti dai pure poco significativi parametri di legge, quelli sulle cosiddette “polveri sottili”,

paiono probabili. Oppure, proprio in quei periodi, si decide di mettere in manutenzione le centraline e dell’inquinamento non esisterà traccia se non nell’ambiente e negli organismi di chi in quell’ambiente abita. Sulle carte, nulla. E poi ci sono le emergenze, quelle in cui l’Italia dà il meglio di sé. In quei momenti terribili, l’ARPA ci fa stare tutti tranquilli con il suo “non è successo niente.” Poco importa se, nella realtà, non è stata eseguita alcuna indagine: l’importante è che nessuno tema. Devo ammettere che in più di un’occasione sono stato piuttosto critico nei riguardi di atteggiamenti e di persone che dell’ente fanno parte, e questo non è piaciuto. Così come non è piaciuta la mia richiesta che ci sia qualcuno che controlli l’ARPA, che le faccia, in un certo senso, le pulci. Ed alla stessa maniera non è piaciuto il fatto che, le rarissime volte in cui sono stato invitato a manifestazioni organizzate dall’ARPA o in cui l’ARPA fosse presente, io abbia fatto notare che in quegli ambiti si esibivano dati irrilevanti, disomogenei tra loro e privi di significato scientifico. È successo a Reggio Emilia in un congressino alla Fiera, è successo a Firenze, in un’ignobile riunione della Regione Toscana in cui si è tenuto il pubblico (vale a dire i paganti) fuori della porta (alla faccia della trasparenza e abrogando de facto la democrazia) e da cui sono state fatte uscire notizie che nulla avevano a che spartire con quanto era nei fatti accaduto; è successo a Modena in una tragicomica riunione tenutasi in Comune per decidere se l’inceneritore più che raddoppiato fosse o no dannoso per l’ambiente (la decisione del raddoppio abbondante era stata presa tre mesi prima e il pdf del mio intervento, mai pubblicato dal Comune, è disponibile in questo sito); e, chiudendo qui l’elenco, è successo altrove. Ora, da quanto so, l’ARPA nei suoi vari aspetti regionali è lì, pagato da noi, solo ed esclusivamente per fornirci i dati di quanto la legge prescrive. Non si sono fatti i conti, però, con le varie psicologie. In qualche caso, non rarissimo, in realtà, i funzionari dell’ARPA non si accontentano di essere dei raccoglitori di dati sperabilmente corretti: vogliono abbigliarsi da scienziati. E qui, purtroppo, l’ARPA stona. Nessuno di quei funzionari, ahimé, è in grado di fare lo scienziato né, peraltro, la cosa è sia pur vagamente richiesta. Eppure… E allora, ecco uscire esternazioni curiose, ecco sostenere tesi basate sul “quella cosa non esiste perché io non la conosco” ed ecco, e qui casca l’asino, che molto spesso l’ARPA confeziona dati e previsioni che sembrano fatti apposta – guarda, a volte, il caso – per costituire un alibi per politici di varia levatura ma, comunque, tutti piromani, e di faccendieri che dai falò dell’immondizia (ma non solo) ricavano di che sfamare la famiglia e forse qualcosina di più. Dato che tutto questo io lo faccio notare, all’ARPA non piaccio affatto. E allora, in mancanza di possibilità di contraddirmi in maniera corretta, si è scelta la strada classica, quella che, oltre tutto, denota la più deludente mancanza di fantasia: il discredito. Una delle maniere è quella di affermare che non esiste letteratura scientifica su ciò che io dico e che il tutto è al di fuori della scienza. Naturalmente, questi signori preferiscono ignorare l'evidenza scientifica ormai inoppugnabile, i congressi a livello mondiale sull’argomento, il denaro investito, per esempio, dalla Comunità Europea per gli studi in proposito, e tutto ciò che si pubblica. Meglio ignorare e, soprattutto, fare in modo che la gente ignori. Per finire, giusto un paio di episodi ampiamente documentabili. Uno studente veneto d’ingegneria ambientale ha presentato una tesi in cui venivano citati i nostri studi. L’ARPAV (il ramo veneto dell’ente), chissà come e perché coinvolta in quella laurea, ha fatto togliere quella parte, minacciando altrimenti di non far laureare lo studente. È di ora che l’ARPAT (la versione toscana) ha censurato un mio articolo pubblicato da loro stessi, tempo fa, nel loro giornalino. Alla domanda di una persona sul perché, la risposta testuale è stata “Quanto richiesto non è più sul sito ARPAT poiché quanto affermato dal dott. Stefano Montanari, a giudizio dell'Agenzia non è suffragato da riscontri scientifici.” Fate voi.