Da tempo Roma viene definita spesso una città “in emergenza” in tema di rifiuti. Una cosa che, ovviamente, non sta né in cielo né in terra, dal momento che l’emergenza è per sua stessa definizione un fatto acuto. Quando siamo nella cronicità, si tratta di tutt’altro.
Per fortuna l’attuale sindaco ha cominciato a negare la situazione emergenziale, evidentemente dando per scontata e accettando la cronicità. Di emergenza, però, continuano a parlare i media.
L’ultima trovata, letta sulla stampa, è stata quella di associare il discorso rifiuti all’area di Santa Maria di Galeria, quella che da tempi immemorabili ospita alla periferia di Roma nord le antenne di Radio Vaticana le cui pie onde elettromagnetiche pare abbiano facilitato il viaggio verso il Creatore di un po’ di adulti e di bambini grazie alla leucemia. Non lontano, poi, c’è una sede dell’ENEA con tanto di scorie radioattive su cui non mi pare esistano ricerche riguardanti il reale impatto sanitario.
Adocchiata l’area, l’intento sarebbe quello di farci un bell’eco-impianto per l’eco-trattamento dei rifiuti. Il prefisso eco innestato in testa ad ogni parola che abbia a che fare con i rifiuti è un espediente sciocco ma efficace cui anche qui non si rinuncia.
Io non ho visto il progetto, e la cosa non sarebbe ancora definitiva, ma qualche considerazione la faccio e qualche domanda preventiva me la pongo.
La tossicologia e, ancor di più, l’ecotossicologia (e stavolta il prefisso non ha significati fuorvianti) insegnano che gli inquinanti hanno azioni reciprocamente sinergiche. In soldoni, si rafforzano l’un l’altro quanto ad aggressività. Per di più, i tempi nei quali gli effetti deleteri si manifestano variano fortemente da inquinante ed inquinante e da persona a persona. Di fatto, il luogo appetito dalle autorità romane è già sede di almeno due tipi d’inquinamento diverso e aggiungerne un terzo avrebbe conseguenze difficili da quantificare seppure facili da immaginare almeno qualitativamente. Di certo la situazione peggiorerebbe.
Prescindendo dai più che probabili cattivi odori emanati dall’impianto, prescindendo dalle possibili infiltrazioni di percolato che vengono prese per un fatto ineluttabile nel nostro paese, il gas che verrebbe prodotto sarebbe destinato alla combustione con tanto di particolato secondario prodotto, quello prevalente in atmosfera e quello che trasporta adesi inquinanti come, ad esempio, diossine e furani. Anche senza l’aiuto di altri veleni, da solo si tratta già di un eccellente cancerogeno, sempre che ci si voglia interessare solo ai cancri. Poi c’è il problema del digestato, cioè del residuo solido o semisolido destinato ad essere sparso nelle campagne facendolo passare per un concime o per un ammendante. Di fatto siamo di fronte ad un prodotto che può avere conseguenze micidiali sulle colture (per esempio, malformazioni delle piante e crescita abnorme di funghi) e sulla salute umana ed animale (per esempio, tetano e botulismo).
Ma – si dirà – dove mettiamo i rifiuti che, comunque, ci sono?
La domanda, se c’è, è tipica di un personaggio che si spaccia per uomo politico senza averne le capacità umane e culturali.
Se un sindaco vuole davvero essere una sorta di saggio capofamiglia, gravato, per di più, della responsabilità di essere la massima autorità sanitaria del comune, deve saper fare il mestiere che ha chiesto liberamente di fare. Occorre illustrare ai cittadini quali sono i pericoli che si corrono continuando a produrre rifiuti. Dunque, si deve arrivare subito a una riduzione sostanziale delle quantità. Poi bisogna insegnare a comprare solo ciò di cui c’è davvero bisogno, avendo sufficiente preparazione per sapere che cosa non è compatibile con l’ambiente e rifiutandolo. Il passo contemporaneo è quello di istituire centri di riciclaggio non da burletta ma efficienti, dove i materiali recuperati abbiano una sorte virtuosa. E, ancora, per quanto legalmente possibile ma ricordando sempre che il sindaco è penalmente, vale a dire personalmente, responsabile della salute dei suoi amministrati, va impedito che sul territorio vengano messi in circolazione prodotti deleteri per l’ecosistema.
Un sindaco che non sappia fare tutto ciò è un sindaco che non ha titolo per esserlo. È difficile farlo? Certo, ma questo non toglie che lo si deva assolutamente fare a pena del tracollo con tanto di malati al seguito. Tanto dolore e tanti quattrini bruciati con un futuro non proprio brillante da lasciare in eredità.