E vabbè: mettiamoci a ridere. Dopotutto, come dissero le “autorità” quando un’analisi, per fortuna indipendente, mostrò che le uova del Trevigiano erano piene di diossine dopo il rogo alla De Longhi, di qualcosa si deve pur morire. E, “se ci saranno dei morti, li seppelliremo” fu la frase ormai famosa di quel luminare che qualcuno definì sventatamente un imbecille e che, invece, è un faro di pragmatica saggezza.
Con un blitz quanto mai eloquente sulla prontezza di riflessi di chi veglia su di noi, chi di dovere scopre che a Roma si fanno porcherie con i rifiuti: tanti “fuori norma” e, sulla raccolta differenziata,
una pernacchia tanto lunga da fare invidia al De Filippo de “L’Oro di Napoli”. Questo con l’accompagnamento di un corposo menu di contorni fatti d’illeciti amministrativi.
Garantisti fino infondo, aspettiamo che la Giustizia (vista la maiuscola?) faccia il suo corso e, tra primo, secondo e terzo grado di giudizio, con un protagonista ottantasettenne, confidiamo che i nostri nipoti leggeranno da qualche parte il finale di questa storia che di certo non sarà insabbiata. Una storia, peraltro, che non ha nulla di originale.
Nell’ormai non più vicinissimo 2005 io tenni una delle mie tante conferenze sulle nanopatologie e il trattamento dei rifiuti entrava di diritto nelle illustrazioni. In quella circostanza mi avvicinò un consigliere comunale della città in cui mi trovavo e mi disse che da anni tentava di avere risposte sul percorso dell’immondizia senza ottenere soddisfazione. Detto tra parentesi, anche a me, consigliere comunale ormai, grazie al Cielo, in scadenza di mandato, accade la stessa, gommosissima cosa. Tornando al 2005, finita la conferenza e sfollato il pubblico, mi accompagnò all’uscita un ingegnere che lavorava all’inceneritore della zona. Molto candidamente quell’amabile signore mi disse che la raccolta differenziata, allora ai primordi, era nient’altro che uno scherzo, dato che finiva tutto nel falò di regime. Aggiunse pure che era molto apprezzata la comodità di disporre di plastica, carta e altro, tutto già accuratamente separato da quanto avrebbe avuto difficoltà a bruciare.
Da allora, fattomi attento, mi è stato impossibile non accorgermi che, non troppo di rado, differenziare i rifiuti è una beffa spiritosa e basta. Con quella farsetta si soddisfano gl’ingenui comitati ambientalisti, si mantengono belli frizzanti gl’inceneritori e si può ricavare qualche Euro per pagarsi la cena in pizzeria. Nessuna sorpresa se, ogni volta che esprimo i miei dubbi sul destino dell’immondizia, mi arrivano reazioni indignate da parte di chi siede tra poltrone e sgabelli. In fondo l’ipocrisia fa a buon diritto parte dell’armamentario del politico o presunto tale.
Prescindendo, perché irrilevante, da ciò che penso del signor Cerroni, capacissimo gestore di un progetto che si perpetua da chissà quanto tempo e, a suo tempo, autodefinitosi, magari pure a ragione, eroe, mi chiedo che cosa ce ne facciamo di organi di controllo che, evidentemente, manco ci pensano a controllare. Come mai ci si accorga solo ora dei sullodati “fuori norma” mi resta misterioso. E mi pare quanto meno curioso che nessuno si sia mai avveduto che il pur poco che i romani differenziano imboccasse strade non propriamente tracciate sulla mappa della legalità. La domanda ovvia, da cittadino certamente inesperto del mondo, è perché mai i controllori, guerci o ciechi del tutto che siano, non debbano accompagnare il signor Manlio nella sua via crucis.
Facciamo che non si tratti di malafede ma solo (solo?) d’incompetenza. Può essere, visto, almeno, quello che costatai quando, anni fa, ebbi un incontro con il massimo esponente dell’azienda che, senza che si pensi a tracce d’ironia dal mio canto, assicura la pulizia di Roma. Non so se è la memoria a farmi difetto, ma non ricordo di aver mai incrociato una persona più candidamente ignara di ciò che i rifiuti comportino sia per la salute, sia per l’ambiente, sia per il loro trattamento tecnico. Volendo essere ottimisti, quello potrebbe essere un esempio di “Italian dream”: chiunque, per incompetente che sia, può raggiungere il top. Ora chiunque si aspetti, per mera applicazione della democrazia, di essere operato di appendicectomia da un giovane geometra sognatore.
Adesso, volendo essere pratici, occorre che qualcuno che sappia davvero il fatto suo prenda il toro per le corna e, con poteri eccezionalmente dittatoriali, affronti quella che non è un’emergenza ma una malattia ormai incancrenita.
Per prima cosa è indispensabile che il sindaco si ricordi di essere la massima autorità sanitaria del comune che amministra e che, se c’è qualcosa che transita attraverso le sue responsabilità e danneggia la salute di qualcuno, è lui a doverne rispondere penalmente, sinonimo parziale di personalmente. Questo, è naturale, non si applica solo al sindaco di Roma ma indistintamente a tutti i suoi colleghi.
Contemporaneamente è ineludibile che i cittadini imparino il perché devono essere meno maiali (senza offesa per i simpatici suini che ci sono etologicamente superiori) di quanto non siano correntemente e s’impegnino a non esserlo. I rifiuti più facili da trattare (non uso il verbo smaltire perché è fuorviante) sono quelli che non ci sono e, dunque, si eviti di produrli a capriccio. Poi c’è tutto il resto, differenziata compresa che non è una soluzione ma una tecnica virtuosa solo se ne esiste un seguito intelligente.
Da questa situazione, emersa improvvisamente come usa da noi per un caso singolo ma comunissima, si esce solo se ognuno di noi farà il proprio dovere: amministratori, magistrati, controllori, tecnici, media e cittadini. Altrimenti soffocheremo pigramente nella merda.
«…e mica potemo brucià a cicoria!»Disse l’ormai scomparso Mario Di Carlo nel 2008, quand’era assessore alla Regione Lazio e dopo esser stato presidente dell’AMA («l’azienda che, senza che si pensi a tracce d’ironia dal mio canto, assicura la pulizia di Roma») [url]http://www.youtube.com/watch?v=uKhOtLt7r5Y[/url] RISPOSTA Ricordo con nostalgia una mia ormai antica conferenza presso la sede della Regione Lazio quando l’allora assessore affermò che le particelle piccine picciò sono del tutto innocue. Alla domanda sul perché, la risposta, riassumendo in quattro parole una certa romanesca verbosità, fu “Perché sono piccine picciò.” Da allora nulla è cambiato se non in peggio. Almeno il… Leggi il resto »