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Quel che resta dell’amianto

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3/3/2008 (11:26) – REPORTAGE Quel che resta dell’amianto La minaccia di un killer invisibile: centinaia di edifici in città attendono di essere bonificatiALESSANDRO MONDOTORINOCoperture, camini, tubazioni, controsoffittature, rivestimenti. Componenti diversi, con un unico comun denominatore: la presenza di amianto. Da solo o mescolato con altri materiali. A matrice friabile, il più nocivo, o compatta. Talora in condizioni degradate o pericolosamente vicine alla soglia di degrado. «Non c’è confronto con la situazione di vent’anni fa, ma guai ad abbassare la guardia. Non bisogna sottovalutare due ordini di problemi – sottolinea il procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, titolare delle prime inchieste sull’amianto in Italia -. Il primo è il degrado progressivo di un materiale diffuso praticamente ovunque, il secondo è la lavorazione con esposizione all’amianto». A 16 anni dalla legge che lo ha messo al bando, la 257 del ’92, una cosa è certa: di questo materiale, impiegato per decenni nei settori più disparati, ne esiste ancora troppo. Parecchio è stato fatto per liberarcene, molto resta da fare. Lo dimostra l’elenco degli immobili pubblici e privati – scuole, abitazioni, uffici, aree industriali dismesse – dove questo killer è in agguato: monitorato dall’Asl1 per i luoghi di lavoro e da Arpa Piemonte in tutti gli altri casi, rimosso o incapsulato non appena dà segni di deterioramento. Fanno fede le segnalazioni che approdano agli uffici della Procura, all’Asl e in redazione. L’ultima, a firma del signor Ermanno Aimone, riguarda due edifici: «La scuola di via Bardonecchia, sul fronte di via Fattori, presenta numerosi «shed» in eternit dichiarato visibilmente degradato durante un sopralluogo Arpa. Esiste poi su via Medardo Rosso uno stabilimento dismesso con coperture nelle stesse condizioni». Va da sé che spetterà agli enti preposti esprimersi anche su questi casi, e che su una materia così delicata ogni generalizzazione è fuori luogo. Come spiega Annalisa Lantermo, responsabile della struttura di vigilanza nei luoghi di lavoro presso l’Asl1, la nocività dell’amianto è subordinata a fattori diversi: «La tipologia, lo stato di degrado, e quindi la possibilità di dispersione delle fibre, la collocazione, il livello di esposizione delle persone. I casi più critici nel panorama delle 85 scuole comunali ancora da bonificare, per dire, riguardano ambienti non utilizzati». Ma la convivenza con l’amianto è un problema reale: specie nelle grandi città. «Esperti del Politecnico e dell’Inail hanno confermato che la concentrazione media di amianto a Torino è compresa tra mezza fibra e 1 fibra per litro d’aria – spiega Roberto Topino, specialista in Medicina del lavoro per l’Inail -. Per legge, il primo livello di allarme indicativo di una situazione di inquinamento è di 2 fibre/litro. Ipotizzando un volume di aria respirata di 18 metri cubi al giorno si può ritenere con buona approssimazione che a Torino un uomo respiri quotidianamente da 9 mila a 18 mila fibre di amianto». Anche il numero delle segnalazioni si presta ad una doppia lettura: indica la sensibilità maturata dai cittadini ma conferma l’ubiquità del materiale. Problema con cui ha dovuto misurarsi per primo il legislatore. La legge del ’92 prevede il censimento da parte dei proprietari degli edifici pubblici e privati. Così pure il monitoraggio ad opera degli enti preposti. Ma non l’obbligo di rimozione, affidata a ditte private che operano in pieno Far West tariffario. Quella è subordinata al degrado e quindi alla pericolosità della sostanza. Il che non soltanto sancisce la convivenza con questo materiale, ma obbliga a verifiche continue per stabilirne il livello di pericolosità. Perché anche l’amianto invecchia, come tutto il resto: e quando questo accade, uccide.