In fondo, c’era da aspettarselo. Tra i tanti, e spesso non del tutto conosciuti, effetti collaterali indotti dalle dosi equine di anestetico che l’italica politica somministra con indefessa costanza ai suoi pazienti (paganti), c’è una patologia chiamata “buonismo”. Chi ne è affetto non soffre. Anzi, vive in atarassica beatitudine e ha di sé una sconfinata autostima incoraggiata e fecondata dalla convinzione che cingere in un incondizionato abbraccio il vicino, reputandolo sempre e comunque buono, e questo indipendentemente dai fatti e dalle loro conseguenze, sia segno non equivoco di grandezza d’animo. E, allora, qualcuno di questi soggetti ha preso a male un po’ dei miei scritti, individuandoci elementi tesi a minare il concetto di gioconda bontà universale. Un punto dolente pare essere quello di qualche mia critica all’università italiana. Fatte salve le debite eccezioni, che la qualità dell’istruzione, partendo da molto prima del livello accademico, stia affondando ogni giorno di più non sfugge a nessun osservatore imparziale. Che ci siano didatti che si fanno passare, addirittura in buona fede, per ricercatori pur non avendo mai scoperto né ricercato alcunché è fatto altrettanto noto, almeno fuori dei confini. Che i nostri studenti siano vittime innocenti d’insegnanti chi ignorante, chi in malafede, chi lì per avventura è qualcosa che chiunque può constatare anche solo leggendo certe tesi di laurea premiate con il massimo dei voti. Che le carriere universitarie siano solo eccezionalmente frutto di merito è cosa che, di tanto in tanto, ci rivela perfino la RAI. Che la nostra classe dirigente, quella benedetta dalle università con il titolo di dottore (dal latino docere, vale a dire insegnare), sia a livelli culturali deprimenti è testimoniabile frequentando professori, politici e tanti professionisti, magari pagati dalla comunità. A proposito di questa Caporetto, uno fra i tanti, citerò un episodio recentissimo. A novembre si è svolto un concorso per entrare in magistratura: 43.000 candidati (va da sé, laureati) per 380 posti. Niente di nuovo. La sorpresa, però, è che ora, alla pubblicazione
dei risultati, solo 322 posti sono stati assegnati, cioè 58 in meno di quelli disponibili. Il perché è avvilente: i canditati, nella soverchiante percentuale dei casi, erano dei somari, con buona pace dei nostri malati di buonismo che non gradiscono il concetto né la parola. Somari che non conoscevano non solo la legge ma, a quanto pare, stando alle accorate parole di qualche commissario, nemmeno l’ortografia. A me, del resto, arrivano di tanto in tanto lettere di fuoco da “luminari” piccati che comunicano a base di “qual è” con tanto di apostrofo o di “qui” e “qua” ornati di accento. Tanto per completezza d’informazione, tra i candidati rottamati al concorso non c’erano solo giovanotti da poco reduci dall’università convinti di non aver buttato qualche anno della propria vita, ma avvocati, giudici onorari, funzionari della pubblica amministrazione e laureati con tanto di dottorato post laurea. Insomma, una disfatta. Una disfatta oggettiva. Resta aperto il dilemma sul perché queste cose non andrebbero non solo dette ma sottolineate in tutta la loro gravità. Nel cervello ammaestrato del buonista alberga, tra i vari segni clinici, una curiosa varietà del concetto di democrazia: chiunque ha diritto ad esprimere un’opinione. Nulla importa se chi la esprime non ha la più pallida idea dell’argomento, se ciò che afferma non sta né in cielo né in terra, se la sua cultura (dando per scontato che qualcosa esista) è in tutt’altro campo. L’importante è salvaguardare l’assoluta parità tra le voci. È così che Gianantonio Stella (lo nomino solo perché il personaggio è stato tirato in ballo da un suo simpatizzante) si concede di scrivere assurdità naïf di smaccata derivazione pubblicitaria su quelli che lui chiama “termovalorizzatori”, e lo fa spericolatamente, senza avere la minima cognizione di causa. È così che il giornalista, trasformato dalla cortesia del buonista in tuttologo, riforma la coppia con Rizzo, quella coppia così giustamente applaudita per il libro La Casta, per rincarare la dose di assurdità, magari anche in perfetta buona fede, non avendo gli strumenti culturali per capire che cosa diavolo stia dicendo lui stesso. Insomma, il buonista lascia volentieri libertà a chiunque di esprimere opinioni su dati scientifici inoppugnabili, sui principi della termodinamica, per esempio e, magari, perché no?, da domani anche sulle tabelline, visto che quella del sette è così ostica a molti. Su tutto, veltronescamente, ci sia un “sereno dibattito”. Sfortuna vuole che i nostri concorrenti, quelli che ci stanno facendo le scarpe, siano un po’ più svegli e ci facciano mangiare la polvere. In tutti i sensi.