Non so voi: io sono rassegnato.
Lo so: la rassegnazione è la peggiore e la più umiliante delle sconfitte perché riconosce la propria, manifesta inferiorità, e io sono stato educato a lottare sempre e fino in fondo. Ma so anche riconoscere quando perdo e, stavolta, con me hanno perso tutti gl’italiani che non contano niente se non come animali da reddito e come carne da voto. Ammettiamolo: abbiamo perso senza segnare nemmeno il gol della bandiera.
Non so perché, ma la vicenda della modenese Guidi mi ha sconvolto. Eppure avrei dovuto opporre il callo che, come una sessantina di milioni di connazionali, mi deve essere per forza cresciuto nel cervello. Invece, no.
Il parlamento e, ad ogni modo, la politicuzza d’assalto che vige da che Italia è Italia è da sempre terreno di caccia privilegiato per ogni soperchieria e per ogni squallore, con personaggi che, nelle rare occasioni in cui qualcuna delle loro porcherie viene a galla, ne escono di regola immacolati, spesso continuando senza scosse nel loro cursus honorum.
Noi italiani siamo ormai immunizzati anche nei riguardi del grottesco a dispetto dell’insulto che ci viene rivolto, e non ci scalfiscono per niente gli appartamenti comprati all’insaputa dell’inquilino cui sono contestualmente, sempre all’insaputa, donati. Né proviamo sconcerto davanti ai massaggi terapeutici a spese di stato o, su analogo filone e con analoghi regolamenti economici, davanti agl’incontri con professionisti/e occasionalmente di sesso aperto alla discussione, e davanti a mille altre sceneggiate che oscillano tra il demenziale e il pecoreccio. Né ci fa un baffo osservare la carriera, magari in banche o in gruppi in cui si maneggia (tanto) denaro pubblico, di consanguinei o di chi ha teneri legami d’affetto con chi conta. E, se, a disastro economico non proprio imprevedibile avvenuto, il poverino esce con una valigia piena di banconote e un’accogliente poltrona pronta per la mattina seguente, al massimo scuotiamo la testa pensando che ci sarebbe piaciuto essere al suo posto.
Sì: dal punto di vista morale siamo un popolo repellente. Non solo non condanniamo dentro di noi l’immoralità respingendola con l’orrore che merita: vorremmo essere noi a goderne i privilegi.
Callo o no, ammetto che quello che più mi fa arrabbiare è essere preso per i fondelli con le “spiegazioni”. Poco a nord del Passo del Brennero, quando qualche furbetto è beccato con le mani nella marmellata (raro, ma capita), la prima conseguenza fuori di ogni discussione è la più che probabile fine della sua carriera. Almeno questi hanno per genetica la dignità di ammettere la loro malefatta, una cosa che da noi non usa. Non usa perché da noi la dignità semplicemente non esiste e il rispetto per il prossimo è segno inequivocabile di debolezza. Così, ecco la valanga delle scuse più grottescamente tragicomiche e incredibili che, inevitabilmente, trovano sostegno nei colleghi di furfanteria, giù fino al supporto di una parte della popolazione, cioè del gregge decerebrato a dovere cui quella che noi chiamiamo politica sa per certo di poter contare.
Però, per essere pratici, che fare? Ora noi, per ragioni su cui, a causa dello schifo che provo, non intendo discettare, abbiamo addirittura permesso che si violentasse volgarmente la Costituzione riempiendo il parlamento, su fino alla massima carica dello stato, solo di personaggi cui nessuno ha mai dato un solo voto: usurpatori a rigor di legge, onorevoli e senatori cui inchinarsi, pagati profumatamente e dotati di privilegi da satrapi all’atto pratico. Nelle condizioni in cui siamo abbiamo perfino rinunciato senza un battito di ciglia all’unico potere efficace di cui disponevamo: quello del voto. Noi facciamo la fila alle urne semplicemente per porgere sul proverbiale piatto d’argento a partiti sempre più occasionali, sempre più fluidi per composizione e sempre più improbabili il nostro placet ai loro comodi. Comodi che non coincidono mai con quelli della comunità, sia chiaro. Poi, per stare all’attualità, quando c’è da decidere se mettere, anche se fra chissà quanti anni, la parola fine alla devastazione del nostro mare con quelle porcherie conosciute oggi sotto il nome di “trivelle”, si va in quattro gatti facendo mancare il quorum, per idiota che sia il limite. Dopotutto, personaggi come la signora Serracchiani (quella dei quattrini tolti alla sanità, quella dei quattrini convogliati a festival e pubblicazioni oggettivamente non di particolare interesse, quella dell’entusiasmo regalato alla ferriera ottocentesca che inquina Trieste) incitano il popol bue a non andare alle urne per il referendum che potrebbe mettere a rischio gl’introiti molto futuri dei petrolieri (qualcosa a che fare con la dottoressa Guidi?). E, allora, ci sarà chi, il 17 aprile, penserà di agire secondo la “disciplina di partito” restandosene a casa e regalando l’ennesima possibilità di fare i summenzionati comodi loro ai furbetti di turno. Che fare, mi chiedevo. La mia risposta è niente: non c’è niente da fare se è il malato stesso a desiderare la malattia.
Insomma, oggi chi conduce il Bel Paese fa semplicemente gli affari propri, magari, quando c’è l’occasione, collegati a quelli di chi poi saprà essere loro grati, e, come beffarda ciliegina, lascia cadere, al momento del bisogno, una logorrea di scuse che meriterebbero il ricorso a pene corporali in mancanza d’altro e, invece, sono sceneggiate di sicuro successo.
Una preghiera rivolta non so bene a chi: qualcuno ci Guidi fuori di qui.