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Oh: stupore!

È opinione popolare che il saggio non si stupisca di nulla e che chi si stupisce abbia l’animo del bambino.

Io, alla mia ormai veneranda età, non sono diventato saggio e continuo a stupirmi.

Ieri sera ho tenuto una conferenza in quel magnifico paese toscano che è Pietrasanta, ennesimo simbolo di un’Italia martoriata dalla spregiudicatezza ignorante dei politici, dall’ingordigia inconsciamente suicida degl’imprenditori, dall’avvilimento dei professori che si prostituiscono e fanno da palo alla rapina, e dalla mancanza di dignità dei media.

Non più di una sessantina di persone era presente, tutte, a dire il vero, talmente interessate da restare fino all’una e mezza. Niente di nuovo: la ripetizione pedissequa di ciò che avviene di norma.

A conferenza terminata, a decine di domande fatte, sono stato avvicinato da un grillino

locale che si era portato appresso un piccolo fascio di stampe scaricate da Internet il quale, con grande cortesia, mi ha posto le sue domande non a proposito delle ricerche che conduciamo in laboratorio, ma sul noiosissimo argomento del ratto del microscopio.

Il primo stupore mio è quello di dover rispondere ancora alle stesse obiezioni che mi si pongono da mesi, obiezioni rigorosamente infondate, frutto di successo della lunga preparazione di qualcuno i cui interessi non coincidono con quelli di ambiente e salute, men che meno con quelli della ricerca, cui ho risposto con una pazienza che non mi conoscevo decine di volte su questo blog, tramite mail private, tramite interviste riportate su YouTube e Arcoiris e tramite conferenze pubbliche.

Niente da fare: le prove contro di me sono schiaccianti. Ciò che si trova su Internet è necessariamente vero.

La Bortolani mi ha querelato e, dunque, sono colpevole. Indipendentemente dal fatto di non aver mai ricevuto notizia della querela, io sarei colpevole di che? Ovvio: di ciò di cui mi accusa la Bortolani. Di Che si tratta? Ingiurie. Prove? Nessuna, ma che importa?

Sono stato io a scegliere che il microscopio andasse all’Università di Urbino. Se la cosa non trova alcun riscontro nei fatti semplicemente perché trattasi palesemente di un’invenzione della signora Bortolani per dare una pur goffa giustificazione ad un atto sulla cui moralità non mi permetto di entrare, non per questo non trova credito. Prove di quella scelta? Nessuna, ma che importa?

Non è vero che il primo microscopio ci fu scippato. Tornò solo dove doveva stare: all’Università di Modena. Beh, in realtà, l’Università di Modena non c’entrava per nulla e mai avanzò pretese su quell’apparecchio. Chi ce lo sottrasse fu un personaggio cui le ricerche della dottoressa Gatti davano ombra perché di nanoparticelle avrebbe voluto occuparsi lei. Purtroppo per fare le cose non basta un titolo burocratico o essere amico dell’amico ma servono anche le capacità. Altrimenti si è dei devastatori e basta. E così fu in quel caso. Tutto riportato sul mio libro Il Girone delle Polveri Sottili e ridetto centinaia di volte senza possibilità di smentita. Certo, se le fonti d’informazione restano quelle dei grillini…

E che dire di “Gianni”? “Gianni”, ex dipendente del laboratorio Nanodiagnostics, dice che noi non sappiamo fare ricerca e che, addirittura, la dottoressa Gatti raccatta da terra i campioni che le cadono, maldestra com’è. Chi è “Gianni”? Nella vita di tutti i giorni è un infelice che si era spacciato per microscopista elettronico mentre invece era un controllore di qualità di pezzi meccanici. Dunque, ciò che gli compariva dinnanzi ficcando un campione biologico sotto il microscopio gli riusciva misterioso. La dottoressa Gatti se l’era preso all’Università di Modena con un contratto a termine perché aveva necessità urgente di un microscopista (necessità che resta perché di microscopisti non se ne trovano), ma, visto che “Gianni” non era in grado di capire che diavolo gli si chiedesse di fare, fui pregato di ospitarlo per qualche giorno nel laboratorio Nanodiagnostics per vedere se i nostri ragazzi riuscivano a fargli entrare qualcosa in testa. Dunque, solo un ospite e non certo un dipendente. Il risultato fu che, un po’ perché la Natura era stata avara con lui, un po’ per un carattere presuntuoso e un po’ perché la voglia di lavorare non faceva parte del suo bagaglio, i ragazzi mi dissero che si trattava di un caso senza speranza. Così lo restituimmo al mittente, cioè a mia moglie, che non vide l’ora di liberarsene. Ora “Gianni” fa parte dei testimoni d’accusa e compare sotto pseudonimo (qualcuno si potrebbe chiedere perché non con il suo nome) e manda scoop sconvolgenti al blog di una casalinga inquieta trasformata nell’immaginario del suo pubblico in una sorta di eroina delle inchieste pur senza che mai si sua scomodata da casa e distorcendo con l’onestà che la contraddistingue dati e parole. Prove di ciò che dice “Gianni”? Nessuna ma, ça va sans dire, che importa?

E così, continuando con analoghe, trite, tenere idiozie per parecchi minuti, si svolse l’intervista con il gentile grillino. Dopotutto, con le dovute proporzioni, i tribunali della Santa Inquisizione e quelli di qualunque dittatura funzionano esattamente così.

Il mio fanciullesco stupore proviene dalla costatazione di quanto eternamente potente sia l’arma della diffamazione. Non importa che tu abbia lo straccio di una prova e nemmeno che tu conosca i fatti, se non altro per poterli distorcere in maniera credibile: spara fango e otterrai comunque il risultato. Chi si è letto la Genesi, la storia di Giuseppe e della moglie di Putifarre, ricorderà che la tecnica della diffamazione era già applicata con successo anche nella notte dei tempi. Dunque, perché stupirsi?

Però, lasciate almeno che mi stupisca nell’incontrare giovanotti educati e di buone intenzioni così ingenui da essere convinti di avere prove rocciose in mano quando stringono solo occhiute panzane cresciute su panzane cresciute, a loro volta, su altre panzane. Come diceva Joseph Goebbels che di psicologia del popol bruto se ne intendeva quanto qualche arringatore del XXI secolo, “Ripetete una bugia cento, mille, un milione di volte e diventerà una verità.” L’Uomo, l’animale più stupido del Creato, non si pone domande, non esercita critica, ma beve ogni porcheria purché resa appetibile per la cattiveria che gli si annida dentro.

Comunque, siate gentili: se volete una discussione con me, convincete i vostri profeti ad affrontare confronti pubblici. Se i vostri profeti scappano, non è colpa mia.

 P.S. Rendo noto che una tale Valeria Rossi, per sua stessa definizione giornalista, afferma, nella sua ingenuità e tra altre stravaganze ed invenzioni circensi, che la ricerca sulle nanopatologie può essere da noi continuata ad Urbino se solo lo volessimo e non rifiutassimo un'assunzione laggiù. Ovviamente la signora, rivolgendosi ad un pubblico autoselezionato di "non addetti a i lavori" ed essendo lei stessa estranea a ciò di cui tratta, non ha capito nulla (o, forse, ha capito benissimo che basta sparare) ed ignora perfino che l'Università di Urbino non ci può "assumere". Però, se vogliamo, ci "affitterebbe" il nostro microscopio. Perché questa signora non dia un colpo di telefono ad Urbino almeno per informarsi e non rendersi ridicola resta avvolto nel più fitto dei misteri. O no?