A volte mi pare che esista una specie di telepatia planetaria che collega misteriosamente i cervelli o qualunque sensore ed elaboratore di pensiero, conosciuto o ignoto che sia, appiccicato ad ognuno di noi.
Non so perché, ma le
domande e gli argomenti d’interesse pare vadano a periodi come le piene dei fiumi. Solo che per loro non c’è nessuna pioggia a provocarle.
Comunque sia, d’abitudine io sono sollecitato non da argomenti d’interesse di qualche singolo ma su un determinato tema occasionale da persone che più disparate e lontane tra loro non potrebbero essere. Ora, da qualche settimana, mi si martella di domande, a volte quanto mai circostanziate e accompagnate da corposi documenti, a proposito dell’amianto.
Sembra impossibile, ma mi s’interroga a proposito dell’aggressività di quel minerale. Anzi, di quella serie di minerali un po’ diversi tra loro, e lo si fa anche se di questo io ho già scritto in mille occasioni. Ma una delle caratteristiche dei miei testi è quello di non essere letti da nessuno. Così mi si scrive pretendendo una risposta ad personam per non perdere tempo. Non il mio tempo, naturalmente, ché quello non conta.
Premettendo che io non sono l’ufficio informazioni, in breve: l’amianto usato industrialmente è una nanoparticella che ha le caratteristiche comuni a tutte le nanoparticelle dell’universo mondo. Vola qua e là con ben pochi ostacoli (vedi i buchi in Val di Susa), lo si respira e lo si ingerisce. All’interno dell’organismo fa guai in parte comuni a chi gli somiglia, cioè alle altre nanoparticelle, e in parte guai che gli sono più peculiari, anche se non sempre esclusivi: dall’asbestosi (questa sì che è una malattia solo sua) al carcinoma polmonare al mesotelioma pleurico a quello peritoneale a quello pericardico fino all’attacco alla membrana che avvolge i testicoli (si chiama curiosamente tunica vaginale ma le signore stiano serene perché sono anatomicamente salve).
Senza particolari raffinatezze, di questa capacità d’indurre malattia si era accorto all’inizio dell’era cristiana un personaggio piuttosto eclettico che proveniva da Como e che rispondeva al nome di Caius Plinius Secondus, ora conosciuto come Plinio il Vecchio per distinguerlo da suo nipote (nipote di zio) chiamato il Giovane anche se oggi avrebbe compiuto da un po’ i 1900 anni. Insomma, che l’amianto facesse male lo sapevamo da un pezzo, ma c’erano tanti business belli grassi in ballo che era un peccato rovinarli. Così abbiamo fatto finta di niente, falsificando dati e nascondendone altri fino a che è stato possibile. Niente di nuovo sotto il sole: oggi si fa correntemente la stessa cosa con un sacco di altri veleni. Business is business e, come diceva un luminare dell’Università di Modena, se ci saranno dei morti, li seppelliremo.
Ora, da anni, ci sono leggi e regole varie in proposito. Di fatto ce ne sono a centinaia, e queste, come al solito nella maniera più farraginosa possibile e con tutte le scappatoie del mondo, ci obbligano a censire i luoghi in cui quella roba così poco gentile si trova e ci obbligano pure in qualche modo a metterla “in sicurezza”. Prego, notare le virgolette.
Una delle cose bizzarre per le quali mi sforzo non senza impegno di restare indifferente è l’atteggiamento di un esercito di politicuzzi, di burocrati e di “controllori” (prego, ancora, di notare le virgolette) che fanno le capriole per raccontarci che non c’è niente di più mitemente domestico e innocuo dell’amianto. Questo anche quando l’amianto ce lo ingurgitiamo con l’acqua del rubinetto, un’acqua che beviamo (ma noi italiani siamo i più grandi consumatori di acque minerali del mondo) e con cui cuciniamo i cibi facendola inevitabilmente evaporare, così concentrando l’amianto che ci sta (o che ci potrebbe stare) dentro. L’amianto non fa male a nessuno. No, di più: l’amianto non c’è affatto. Domanda: Ma se l’acqua corre attraverso chilometri di Eternit che altro non è se non una non proprio simpatica mistura di cemento e amianto, non è pensabile che qualcosa di non bello esca poi dal rubinetto? Risposta: No. Domanda: Perché? Risposta: Perché lo dico io. Domanda: Ma hai controllato? Risposta: No, ma a che serve? Se te lo dico io…
C’è qualche inquietudine, è vero, ma a farci stare tranquilli ci hanno pensato gli americani. Non quelli der Kansas City di Alberto Sordi nei panni di Nando Mericoni: quelli seri, quelli che sanno tutto e che, se non lo sanno, lo inventano e poi pontificano. Che dicono, in definitiva, gli scienziati o rait ? Dicono che fino a un bel po’ di miliardi di fibre di amianto per metro cubo d’acqua (7 milioni di fibre/litro!) non ci succede niente di brutto. Come abbiano fatto i mitici ammericani a tirare fuori il valore diventato un dogma di fede non è dato sapere. In questo mondo strampalato ci sono dati e concetti mai dimostrati che, passati attraverso la dottrina infallibile di Joseph Goebbels, sono diventati indiscutibili a pena di lapidazione almeno morale. Peccato che, nel caso specifico, l’amianto non sia degradabile e resti nell’organismo fino a che questo non renda l’anima. Dopo non importa più. Ma in tutti gli anni passati a respirare, a bere e a mangiare amianto, di quelle minuscole fibre minerali abbiamo continuato quotidianamente ad accumularne, e forse questa non è una pratica che i salutisti raccomanderebbero. Ecco, allora, che i dati degli americani accolti da noi con una solenne riverenza paiono perdere ogni significato. Significato, peraltro, che non hanno mai avuto. Ma guai a chi dice che il re è nudo.