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La crisi e l’usato sicuro

“Ma cos’è questa crisi?” cantava Rodolfo Tonino, in arte Rodolfo De Angelis, nel 1933.

Il tanto vilipeso cavalier Silvio Berlusconi aveva perfettamente ragione quando,

ormai un po’ di tempo fa, sentenziò che la crisi non esiste. Impossibile non dargli ragione alla luce dei fatti, perché è solo sui fatti e non sulle chiacchiere che si ragiona. E che cosa c’è, nel caso specifico, di più fattuale dei quattrini?

Secondo quanto si sente favoleggiare, la crisi investirebbe il mondo intero e le prospettive sarebbero color della pece per tutti. Qualcuno strepita d’improvviso che la finanza e l’economia sono cose che ben poco hanno reciprocamente a che spartire, che le banche si sono fatte fuori le risorse di tutti, che abbiamo ammucchiato cemento devastando irreversibilmente il territorio e gonfiando fino a farlo miseramente scoppiare il valore delle costruzioni, che abbiamo pagato stipendi da nababbi proprio a chi era protagonista del botto e siamo addirittura a premiarli con pacchi di quattrini attribuendo loro meriti misteriosi. Poi, non contento, chi strepita aggiunge che le medicine sono, nella migliore delle ipotesi, identiche a ciò che ha causato la patologia e, anzi, non di rado sono addirittura peggiori.

Ma è vero tutto questo? No: è clamorosamente falso. Restiamo a casa nostra e prendiamo ad esempio il nuovo direttore generale della RAI, un’azienda che dovrebbe (condizionale obbligatorio) fare informazione. Lì non pare proprio che gl’intrattenitori soffrano di questa fantomatica crisi. La signora Clerici, un faro di cui la Nazione non può privarsi, godrebbe di un contrattino da 3 milioni l’anno e si sarebbe portata appresso, con pagamento a parte, pure il compagno, un valente animatore turistico tunisino. Fabio Fazio, lo sponsor del businessman Umberto Veronesi, il benemerito professor Zero, presterebbe la sua opera per un milione e mezzo l’anno. Poi c’è chi, come la signora Licia Colò, riceve il suo giusto compenso ma, per confezionare il suo programma, vende pure alla RAI i filmati che la sua casa di produzione sforna.

Ora arriva un nuovo direttore generale, un tale Luigi Gubitosi, che si propone di lavorare di scure e tagliare i compensi. Intanto si è fatto approvare uno stipendio da 650.000 Euro l’anno: ogni giorno quello che sarebbe uno stipendio mensile da acquolina in bocca per la stragrande maggioranza degl’Italiani. Crisi? Ma dove? A livello globale, poi?

Per capire che la crisi mondiale è solo invenzione basta prendere un volo low cost e andare a Parigi (costa meno che un Modena-Roma nelle tradotte odorose delle FS). Sotto la Torre Eiffel si troverà un popolo che, tra erre moscia e filoni di pane inzuppati dalle ascelle sotto cui sono alloggiati per il trasporto, festeggia incontenibilmente entusiasta l’arrivo del signor Zlatan Ibrahimovic, un ragazzone di qualche mese più giovane del mio primogenito importato da Milano con il compito di tirare calci ad un pallone, un’attività strategica in qualunque paese che possa chiamarsi civile.

Per potersi esprimere, il signor Ibrahimovic ha bisogno di un gruppo di colleghi che possa stargli degnamente al fianco e, per questo, i proprietari del Paris Saint Germain, la squadra francese di football importatrice, hanno messo nel carrello altra merce pregiata.

La Qatar Investment Authority, appunto i padroni, è una società incaricata di far qualcosa con gl’imbarazzanti surplus derivati dalla vendita di petrolio e gas naturali, prodotti che noi Occidentali divoriamo con gran lena. La domanda che echeggiava nell’Emirato, tradotta a orecchio dall’Arabo, era: “Che ne facciamo di tutti ‘sti soldi?” Sì perché, ormai, la fantasia era in fase di esaurimento. Così si sono comprati, tra l’altra minutaglia, il nostro Ibra(himovic) il quale ha detto (traduco, sempre a orecchio, dalla lingua personalissima del Nostro): “Io vengo, ma voi quanto mi date?”

Senza tirarla troppo per le lunghe, gli Arabi hanno dato un’occhiata al borsellino e hanno messo sul tavolo 14 milioni di Euro l’anno per tre anni.

“Lordi o netti?” ha ribattuto Ibra(himovic).

“Netti, Monsieur: ça va sans dire” è stata l’immediata, signorile rassicurazione.

E meno male che sono netti perché il rapinoso Monsieur Hollande ha stabilito che chi guadagna più della miseria di un milione l’anno pagherà il 75% di tasse.

“Non s’incomodi: alle tasse ci pensiamo noi, signor Ibrahimovic” hanno sorriso quelli del Qatar.

Insomma, tra una cosa e l’altra, almeno stando al GR1 RAI di stamattina lo stato francese incasserebbe una settantina di milioni, il tutto a carico dei nostri pieni di benzina. Crisi?

Ora, qui confesso il mio attimo di debolezza. Ho pensato che un tale che prende a pedate un pallone fatto con il petrolio intasca giornalmente più di un buono stipendio annuale, con la differenza che lo stipendio è tassato e a lui le tasse glie le paga qualcun altro. Ho pensato che questo è umiliante per chi lavora. Ho pensato di vendicarmi boicottando qualunque cosa venisse dal Qatar ma poi mi è venuto in mente che non ho idea di che cosa ci arrivi da quel paese a parte un non rintracciabile petrolio. Così ho cambiato idea: mi sono offerto al Paris Saint Germain. È vero, non sono proprio nel fiore degli anni, ma sono ancora quello che si potrebbe chiamare un usato sicuro, ho un discreto curriculum sportivo, parlo il francese e poi… e poi ho tanto bisogno.

1 Comment
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Francesco Michelacci
12 anni fa

Ibra
Stefano si consoli, non guadagnera’ il soldo del mitico funambolo del pallone, ma ha dato e darà a tutti, in tandem con AMG la coscienza del pericolo ” polveri sottili”.

RISPOSTA

…e per questo non siamo simpatici.