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Il microscopio se ne va

Al Rettore dell’Università di Urbino
e p. c.
          all’Associazione Carlo Bortolani Onlus

Spett. Le Università di Urbino,

come esponenti del mondo della ricerca italiana, stiamo seguendo con sincera preoccupazione la vicenda del microscopio elettronico che in questi giorni coinvolge il vs. importante Ateneo e i Dottori Gatti e Montanari.
A tal proposito, dopo aver letto diverse dichiarazioni sulla carta stampata, riteniamo doveroso osservare che l'immagine della ricerca in Italia esce ingiustamente danneggiata  da questa vicenda. In primo luogo, perchè non sono state spiegate all'opinione pubblica le ragioni per una delocalizzazione "coatta" di uno strumento scientifico, e in secondo luogo perchè siamo convinti che quanto sta accadendo abbia ragioni estranee al mondo della ricerca.

In considerazione del fatto che tale microscopio, sino ad oggi assegnato alla responsabilità scientifica della Dott.ssa Gatti, è stato finanziato con una raccolta pubblica di fondi, allo scopo di studiare le nanopatologie “a Modena", non troviamo etico decidere di spostarlo in altra sede, e per altri scopi di ricerca, senza consultazioni popolari. Se i finanziatori di questo strumento hanno ritenuto di voler finanziare una determinata ricerca, ci sembra opportuno che il loro intento non sia tradito. Avete chiesto a questi signori “finanziatori” se concordano con quanto sta accadendo?
L'impressione che si riceve da questa vicenda è quella che fattori esterni al mondo della ricerca siano intervenuti per ostacolare l'attività di Gatti e Montanari. Non si intravedono né questioni di merito scientifico, nè ragioni economiche o burocratiche. Quello che la gente comincia a pensare, ed anche noi cominciamo a credere, è che la questione non stia nella quantità dei risultati scientifici ma nel contenuto e nel significato di questi risultati.

Venendo dunque al merito, come ricercatori impegnati

anche nel campo delle nanotecnologie, crediamo che il problema dell'inquinamento da nanopolveri e le patologie da loro indotte siano argomenti di prioritaria importanza per la ricerca. Questo campo rappresenta da anni il lavoro di Gatti e Montanari, ed è anche grazie a loro se queste ricerche si sono sviluppate ed hanno raccolto grande interesse internazionale.
Ci sono oggi molte indicazioni scientifiche, ora pubblicate dall'OMS, secondo le quali l'alta concentrazione di nanopolveri che respiriamo sia tra le cause principali dell'escalation dei tumori e di nuove malattie che investono tutti i Paesi industrializzati, in particolare l'Italia, e colpiscono dai bambini agli adulti di ogni età. Il prezioso lavoro di Gatti e Montanari contribuisce a dare le prime indicazioni sulle ragioni di queste malattie.
Inoltre, rimane il profondo interesse di tutti i ricercatori, che come noi producono e lavorano sui nanomateriali, nel sapere se di questi materiali dobbiamo preoccuparci, o meno, dal punto di vista della salute. Prima di "contaminare" il pianeta con nuovi materiali prodotti con nanotecnologie, un settore in rapidissima espansione, dobbiamo capire se questi sono compatibili, e in che misura, con le forme di vita.
Si tratta di temi che hanno bisogno di risposte in tempi rapidi, e pochi ricercatori oggi se ne stanno occupando. Il problema è che non abbiamo più tempo! Anche come cittadini vogliamo sapere, prima possibile, come e perchè le nanopatologie si verificano, capirne le cause per poterle possibilmente eliminare. Per questo motivo riteniamo indispensabile che queste ricerche siano sostenute, come è stato all’epoca della raccolta fondi per l’acquisto del microscopio, anziché ostacolate, come sta accadendo con la vicenda della delocalizzazione dello strumento.

Osserviamo che il mondo della ricerca istituzionale è il primo a lamentarsi che non ci sono fondi a sufficienza per lavorare in condizioni adeguate e al pari di altri Paesi. E dunque, s'inventa ogni strada per trovare finanziamenti, dai progetti europei alle collaborazioni e consulenze con i privati, alla raccolta pubblica di fondi. Bene! Siamo forse l'unico paese europeo dove certe ricerche si possono fare solo attraverso la mobilitazione popolare, come se allo Stato non interessassero determinati argomenti, mentre all'opinione pubblica sì. Siamo arrivati all'assurdo che la ricerca sul cancro si fa con le donazioni, i programmi televisivi, l'otto per mille, etc. Curioso!
Se allo Stato non interessano determinate ricerche, pazienza! Ma ora che facciamo, si contesta uno strumento di ricerca, finanziato con raccolta pubblica di fondi? Si contesta la legittimità di un ipotetico uso privato dello strumento, e pertanto lo si vuole portare all'interno di un edificio universitario. A scopo pubblico, o privato?
Chiediamo questo perchè anche nei nostri laboratori, come in decine di altri in giro per l'Italia, c'è un microscopio elettronico che noi stessi utilizziamo, comprato con fondi pubblici, che talvolta è noleggiato a pagamento ai privati. Questo avviene in quasi tutte le Università ed enti di ricerca, che ormai oggi accettano, anzi sono ben contenti, di fornire servizi ai privati, sotto compenso. Ci teniamo a precisare che i proventi delle consulenze e dei contratti di ricerca fatti con le aziende sono poi “spartiti” nelle buste paga dei docenti o ricercatori, fino ai dipendenti amministrativi.
Oggi, quasi tutti gli enti di ricerca “intascano” qualcosa dall'uso privato di strumentazione pubblica! Cosa vogliamo fare, delocalizziamo tutti gli strumenti pubblici presso qualche ente che ci garantisce di non noleggiare la strumentazione?

Con questo abbiamo voluto sottolineare che non è il dove si mette lo strumento che fa la differenza, ma è come lo si usa, e per quali scopi.
Riteniamo che se il microscopio è stato finanziato con una raccolta pubblica di fondi, allo scopo di studiare le nanopatologie “a Modena”, tale debba rimanere lo scopo e tale la sede della ricerca, non potendo altrimenti mantenere integro e possibile lo scopo iniziale.
A meno che Gatti e Montanari non ne abbiano fatto uso improprio, differente da quanto prospettato ai finanziatori, e a noi questo non sembra proprio. Con quel microscopio si sono sempre occupati dei temi delle nanopatologie, come hanno fatto da molti anni a questa parte, pubblicando ricerche scientifiche, divulgando risultati con libri, convegni e conferenze, a disposizione della gente e dei cittadini, ovvero dei loro finanziatori.
La ditta Nanodiagnostics, presso la quale è collocato lo strumento, si occupa di nanopatologie, di consulenza e di ricerche nel settore. Dunque qual è il problema?
Forse si vuole pretendere che mantengano in vita la strumentazione a loro spese, senza cercare finanziamenti con la Nanodiagnostics? 
Ovvero, si sostiene che per le Università le consulenze verso il privato vanno bene ma per loro no?

Ci spiace, non condividiamo questo modo di tagliare le gambe ad una ricerca importante per la società contemporanea, voluta da una raccolta pubblica di fondi ed ostacolata da elementi e spiegazioni che nulla hanno di convincente.
Il coinvolgimento di un ente pubblico come l’Università, che niente ha da rivendicare su quello strumento, crediamo rechi solo un danno d’immagine alla ricerca italiana, e rafforzi ancora di più la convinzione popolare che siamo di fronte ad una ricerca scomoda per qualcuno. Forse per quei "poteri forti" che fanno dell'inquinamento e della salute un grande business?

Con l’augurio che vogliate ripensare attentamente alla vicenda, nell’interesse della ricerca italiana e nel rispetto dei cittadini finanziatori, porgiamo i nostri più Cordiali Saluti,

Fabrizio Odorici, Primo Ricercatore all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – Sezione di Bologna
Vincenzo Balzani, Prof. Ordinario di Chimica Generale al Dip.to di Chimica dell’Univ. di Bologna
Mario Compiani, Ricercatore di Chimica Fisica al Dip.to Scienze Chimiche dell’Univ. di Camerino
Luciana Malferrari, Ricercatore all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare – Sezione di Bologna
Giulio Veronese, Ricercatore all'Ist. per la Microelettronica ed i Microsistemi del CNR di Bologna