Le vostre domande

fiammiferi e danno ambientale

Egregio Dott. Montanari sono un laureando in comunicazione internazionale e il mio lavoro di tesi si intitola "la comunicazione ambientale come mezo di contrasto all'ecomafia", vorrei usare per la presentazione del mio lavoro un'esempio che legasse la capocchia di un fiammifero e i danni ambientali a lunga scadenza relativi alla sua combustione, così da paragonarlo ad esempio al rogo di centinaia di cumuli di spazzatura di vario genere (cronaca di questi giorni).  E di conseguenza legare un gesto innocuo come accendere un fiammifero, agli effetti il più delle volte invisibili a breve scadenza dei reati ambientali cosiddetti di Ecomafia, che si perpetrano sotto il nostro naso, ma di cui non percepiamo realmente la pericolosità, se non troppo tardi per la sacrosanta tutela della salute umana.

Grazie 

So per certo che nella capocchia è contenuto sesquisolfuro di fosforo, ma non sono un chimico e gradirei il suo aiuto.

RISPOSTA

Per prima cosa, trovo sorprendente che un’università assegni una tesi di laurea che in molti casi potrebbe essere autobiografica: l’ecomafia. Questo parrebbe un segnale positivo e mi piacerebbe sapere di che università si tratta. Venendo alla domanda, tutto ciò che brucia, nulla escluso, provoca la formazione di polveri e queste polveri sono, a grandi linee, tanto più fini quanto più alta è la temperatura di combustione. Come è noto, più la polvere è sottile, più è penetrante e, dunque, aggressiva dal punto di vista della salute. Volendo confrontare il fiammifero con il cavallo di battaglia degli ecomafiosi, riconoscibili perché chiamano quel cavallo di battaglia con il nome grottesco da televendita di “termovalorizzatore”, il fiammifero brucia più o meno ad 800°C, qualche centinaio di gradi in meno rispetto a ciò che avviene nell’inceneritore. Poi, c’è l’ovvia disparità nelle quantità e la differente composizione chimica di quanto entra in ballo: mentre il fiammifero è fatto di carbonio, ossigeno, zolfo, fosforo e poco altro, il carburante dell’inceneritore contiene, in modo assolutamente incontrollato checché qualcuno cerchi di darci a credere, quasi tutta la tavola periodica degli elementi. Questo significa che mentre nel primo caso la polvere che si forma (e che io non ho mai analizzato) ha una composizione tutto sommato prevedibile, nel secondo la previsione è del tutto impossibile. Dal punto di vista simbolico, il fiammifero potrebbe ben rappresentare la distratta piromania dell’Uomo, l’unico animale che appicchi il fuoco: si accende quello stecchino vagamente maleodorante e lo si fa senza rendersi conto che quell’atto simboleggia in piccolo, in piccolissimo, anzi, l’aggressione continua cui sottoponiamo la Natura. Tempo fa, per una decina di conferenze, io usai proprio il fiammifero per spiegare con quale leggerezza noi usiamo il fuoco e per spiegare che le polveri, che sono spesso, come avviene negl’inceneritori, non biodegradabili e, dunque, eterne per le nostre dimensioni mortali, originano anche da combustioni legate ad atti cui non si fa nessun caso. Ciò che avvenne fu che università, ARPA, amministrazioni locali e istituzioni in genere fecero pubblicare dai media che quel talebano di Montanari aveva acceso (appunto) una campagna, quasi una crociata, contro i fiammiferi. Così, rozzamente eppure abilmente ridicolizzato, abbandonai lo sfortunato esempio. La comunicazione: né buona né cattiva, come quasi tutti gli strumenti. Dipende dall’uso che se ne fa, e chi ha interesse a farlo la usa distorcendo notizie e dati per conseguire i fini cui mira. Chi ha letto le esternazioni del prof. Veronesi o quanto scrive Gianluigi Paragone su Libero o non ha spento la TV e ha sentito quanto recitano i tuttologi televisivi Augias, Tozzi ed Angela sa di che cosa parlo. Comunque, basta aprire un giornale o guardare un manifesto dell’Enel per accorgersi di come la comunicazione sia importante. Ma non per contrastare l’ecomafia, almeno in quei casi. Di fatto, è noto ai comunicatori che una bugia ripetuta un po’ di volte viene automaticamente accettata come verità che, per dirla con Checov, si dice alla fine trionfare sempre, ma questa non è una verità.