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Devi morire!

Nel momento attuale di quiete forzata ho letto qualcosa di quanto mi era stato segnalato da tempo dai frequentatori di questo blog, cosa che non avevo mai avuto il tempo né la voglia di fare. Pare che io sia diventato una piccola star dei siti pettegoli che infestano la rete e, in questa mia nuova veste (alla soglia dei sessant’anni cambiare d’abito dà una sensazione strana di disagio), il bersaglio di strali grondanti veleno.
Qualche anno fa qualcuno che mi rimbalzò per qualche tempo sul palcoscenico mi disse che, tra le mille e mille persone che sarebbero venute al corrente della mia esistenza, ci sarebbe stata una piccola schiera di psicopatici che si sarebbero accaniti contro di me senza nessun’altra ragione se non la loro stessa psicopatia. Evidentemente lui lo aveva sperimentato sulla sua pelle e fu facile profeta. La sorte, poi, si rivelò ironica al riguardo.
Preso atto della profezia, confesso di aver letto solo una piccola parte di ciò che mi è stato segnalato, e questo per motivi gastroenterici. Dunque, c’è sicuramente di più.
Capisco che chi se ne sta seduto nei tribunali dei bar a giudicare il mondo che gli transita davanti non ha bisogno di ragionare né, meno che mai, necessita di prove a sostegno di ciò che sentenzia. L’importante

non sono le cose che si dicono né la loro correttezza né le conseguenze di quel dire ma la vertigine che prende quei personaggi quando si ergono a giudice: qui sta il bene perché lo dico io; qui sta il male per la stessa ragione. Si troverà sempre qualcuno che applaude. E che divertimento nel dare la stura alla fantasia e nell’aggiungere ad ogni esternazione un ingrediente morboso pescato chissà come e chissà dove! Vero o falso non fa differenza. Anzi, se è falso è tutto di guadagnato perché è più plasmabile. E meglio ancora se il tutto conduce alla diffamazione del soggetto delle indesiderate attenzioni: la lapidazione, per gratuita che sia, per scelto a caso che sia il bersaglio, è sempre stata una delle terapie predilette per rammendare certe animucce un po’ lacere. Ci vuole solo il “coraggioso” che lancia il primo sasso e, poi, più si è, meglio ci si nasconde nel branco e si può infierire.
Mettiamo il caso che vi si accusi di aver mangiato un bambino. Provate a dimostrare che la cosa non è vera! Dove sono le evidenze? Mostrami i documenti che dimostrino che non hai mai mangiato un bambino! Produci un testimone che possa giurare che tu un bambino non l’hai mai mangiato!
Mettiamo il caso che una persona vi accusi di averle detto qualcosa quando non c’era nessun testimone. Come fate a provare che quella persona racconta bugie? E se ci fosse un testimone – reale o improvvisato, a questo punto non ha rilevanza – e quel testimone avesse gli stessi interessi dell’accusatore stesso? Come ve la cavereste?
Dunque, in questo Helzapoppin chiunque sia abbastanza piccino può trovare ospitalità e occasione di soddisfare il suo ego mascherandosi con la toga del giudice, magari nemmeno proprio per giudicare ma solo per condannare, che è la parte più divertente della festa. Questo potrà sempre dire con l’orgoglio del pusillanime: al massacro c’ero anch’io. O anche potrà fingere di non esserci mai stato se le cose dovessero cambiare e diventasse più conveniente cambiare faccia e, chissà, passare ad osannare la vittima.
La prima cosa che colpisce entrando in quella versione illetterata di processo kafkiano messo in rete è la classe e l’educazione del collegio giudicante. Qui trovano cittadinanza concetti come “spaccare la faccia” o altri non dissimili, a chiara testimonianza del tipo di cultura che pervade quegli ambienti.
Superato l’imbarazzo, ci si può addentrare nel merito.
Laciando da parte i ragazzotti che agitano con grottesca presunzione in pugno il pezzo di carta di una laurea fresca fresca e, dunque, “sanno” in grazia di burocrazia, alcune delle argomentazioni sono talmente ingenue da non meritare neppure il ricorso alla magistratura che mi propongo d’inoltrare per altre. Tra queste, c’è quella di chi sostiene di aver fatto tanto per me, avendo organizzato una conferenza, o delle conferenze, alle quali io partecipavo. Addirittura ci s’imbatte in qualcuno che mi rinfaccia scandalizzato di avermi concesso l’onore dell’ottenimento, o del suo tentativo, di un invito da parte del suo sindaco perché io gli spiegassi la situazione locale, o persino di avermi proposto come ospite presso l’università del posto.
Premettendo che ciò che si è fatto non era PER ME, rendo noto che a quelle conferenze io andavo a mie spese personali e che il denaro raccolto è stato in ogni occasione, quando l’occasione c’è stata, destinato in toto all’acquisto del microscopio che resta di proprietà della Onlus Carlo Bortolani di Reggio Emilia e che io ho in uso esclusivo come da accordi preliminari dichiarati urbi et orbi. Ogni altra possibilità  e proposta che si legge bizzarramente in rete sarebbe truffaldina. La proposta di questi personaggi, quella, cioè, di destinare ad altri il microscopio, significherebbe avere intrapreso una raccolta fondi pubblicizzata in una maniera e poi, ad obiettivo raggiunto, farsi beffe di quanto promesso e, con quei soldi, fare tutt'altro, con buona pace di chi ci era cascato. Se quegli accordi non erano graditi, se le nostre ricerche erano valutate una perdita di tempo quando non non peggio, bastava ignorarmi, non mettere una cassettina in cui qualcuno buttava l’elemosina e, soprattutto, non chiedermi incoerentemente interventi per tentare di tirare fuori dei guai qualcuno come si è fatto e si continua a fare con costanza ogni giorno, più volte al giorno. Insomma, se io non valgo nulla, se sono un cialtrone, se racconto bufale, perché mi chiamate in aiuto?
Con l’ormai fin troppo famoso miscroscopio, che io mantengo a mie spese, noi portiamo avanti una ricerca fondamentale per la salute e non è raro che quegli stessi personaggi che starnazzano attraverso i loro computer, spesso prudentemente nascosti dietro uno pseudonimo, mi chiedano poi, toltasi con agile ipocrisia la maschera, di lavorare (gratis, ça va sans dire) per loro, per il loro ambiente e per la loro salute. Rendo altresì noto che avere l’onore impareggiabile di parlare con il signor sindaco significa, come sempre, muovermi a mie spese e dedicare una giornata di lavoro alla causa di qualche paese soffocato dall’inquinamento, dove il cancro… dove le malformazioni… Dunque, a fare l’interesse di chi, poi, magari trova trastullo nel diffamarmi.
Non tocco il tema dell’università perché credo sia nota la mia posizione al riguardo.
Quando, poi, mi si chiede di “dare un’occhiata” a certi documenti, i giorni di lavoro (evidentemente un hobby per me secondo il “tribunale” che mi giudica) sono ben più di uno.
Qualcun altro strepita scandalizzato perché ora chiedo denaro per le mie conferenze. Rispondo ancora una volta a questi castigatori di costumi che io non ricevo un centesimo e che tutto il ricavato è dedicato a coprire, per quanto possibile (ed è una goccia nel mare), le spese della ricerca che sono enormi, checché ne scriva qualche “esperto” maestro di pensiero, peraltro perfettamente al corrente dei fatti che finge spericolatamente d’ignorare.
Invito, allora, questi signori dalla lingua lunga e dalle braccia corte a fare esattamente ciò che faccio io: dal marzo 2004 lavoro a mie spese per una ricerca sulla salute. E lorsignori? Che io ci sia riuscito o no non sta a me giudicare, ma io ci ho provato e continuo a provarci. E le verbose signorie loro? Chi vuole saperne di più, legga i miei libri o consulti i documenti della Comunità Europea o venga a trovarmi in laboratorio finché riuscirò a farlo esistere nonostante voi. Venga a vedere che cosa facciamo e chi sono le persone cui diamo una mano, e veda se ha lo stomaco per girarsi dall’altra parte senza provare almeno un barlume di schifo per se stesso. Chi è solo disponibile a pontificare forte della sua e dell’altrui aria fritta, continui tranquillamente a farlo. Sia, però, cosciente del suo squallore. Chi vuole, invece, avere diritto di parola, si tiri su le maniche e, quando avrà fatto appieno il suo dovere di uomo, parli. Almeno provarci è un imperativo morale: l’importante è partecipare.
Procedendo, c’è ancora chi strepita in rete: “Che cosa ne fanno del NOSTRO microscopio?”
Per prima cosa, il microscopio fu donato alla Onlus Carlo Bortolani solo perché lo desse in uso eterno a mia moglie e a me, e qui la vicenda dovrebbe chiudersi perché, piaccia o no, sulle liberalità non esistono diritti da parte di chi liberale è stato. Chi è venuto e mi ha messo in mano un assegno molto cospicuo, come ha fatto, tra gli altri, LA220, non lo ha certo firmato per altri motivi o perché l’apparecchio finisse altrove. Bene: nessuna di queste persone, generose come sono state, ha mai fatto sentire la sua voce dissonante. Da parte loro nessuna carità pelosa e nemmeno la richiesta – che sarebbe peraltro stata del tutto giustificata – di un briciolo di pubblicità.
Poi resta il fatto che la stragrande maggioranza di quel denaro l’ho ricavato IO con il mio lavoro, tenendo nell’anno della raccolta oltre 200 conferenze in giro per l’Italia per le quali non ho ricevuto nemmeno il rimborso delle spese sostenute. E l’ho ricavato IO facendo conoscere il mio lavoro a chi poteva darmi una mano. Questo prima che intervenisse chiunque altro, cui resterò sempre grato, a dare a quel lavoro pubblicità. Il mio libro Il Girone delle Polvero Sottili, in circolazione da tempo e i cui proventi delle vendite finiscono alla ricerca, è chiarissimo in proposito e, del resto, la cosa è nota lippis et tonsoribus. Perciò, questi personaggi che si pongono la domanda  – trovando persino chi presta loro orecchio – s’informino se non vogliono continuare a rimediare la figuraccia che stanno rimediando.
E a chi strilla a proposito della società “a scopo di lucro” dico soltanto che se c’è qualcuno, al di là delle chiacchiere stucchevolmente bavose, disposto a prenderla in mano si faccia avanti: la “società a scopo di lucro” è sua a zero Euro purché se ne assuma debiti e crediti. Unica condizione è che la ricerca continui senza intoppi.
A chi porta, poi, a prova della mia “mascalzonaggine” il fatto di non aver visto i bilanci della “società a scopo di lucro”, non posso altro che sottolineare la sua impreparazione: basta recarsi in tribunale e i bilanci sono lì, pubblici e a disposizione di chiunque abbia voglia di studiarseli.
Ancora restando al ridicolo, c’è qualcuno che si straccia le vesti a proposito di una mia presunta ansia di protagonismo. Sappiano costoro che dalla non certo desiderata notorietà che questa sfortunata vicenda mi ha attribuito, piccola o meno piccola che questa notorietà sia, io non ho ricavato altro che guai, in ogni senso si vogliano guardare le vicende, e che il mio desiderio era e resta solo quello di essere lasciato in pace ed, auspicabilmente, ignorato. Se ho accettato per un attimo di stare alla ribalta è stato solo per evitare l’annientamento di una ricerca che sta portando risultati formidabili di cui tutti godremo, e di cui qualcuno gode già, in termini di prevenzione delle malattie da inquinamento. Si sappia che nella mia vita io ho cercato di primeggiare, a fatti e non a chiacchiere, solo nel campo della maratona e lì non ce l’ho fatta perché in tanti correvano più veloci di me. Quello che faccio ora, indipendentemente dai risultati che, d’altra parte, ci sono e sono splendidi, è solo per l’orrore che provo di fronte ai malati di cancro, a chi schiatta abbandonato dalle istituzioni e ai bambini malformati di regime. Scusatemi, giudici del bar, se non ho il vostro stomaco.
Qualcun altro, sfidando l’evidenza più palese, mi accusa addirittura di avere acquisito la funzione di “tuttologo”. Beh, credo che qui ci sia veramente da farsi cascare le braccia. Chiunque abbia letto le risposte alle domande che mi vengono poste o abbia assistito ad una mia conferenza non potrà non aver notato che, quando non so rispondere, dico semplicemente che non so rispondere. Il che non è affatto raro. Da qui, da quell’affermazione ridicola, per piccina che sia, è evidente la qualità e la credibilità delle argomentazioni e l’autorevolezza di chi è, fuori di ogni regola, accusatore e giudice allo stesso tempo.
Farsescamente, poi, c’è chi ha capito tutto: io mi sono lanciato nell’agone politico e lì ci ho fatto i soldi. In quelle poche settimane che io ho – lo ammetto, ingenuamente – dedicato al sogno di poter fare qualcosa per il mio Paese anche al di fuori della ricerca, non ho ricevuto un centesimo da nessuno né esiste la possibilità che un centesimo mi sia rimborsato. In realtà, mi sono fatto due mesi abbondanti da cane. Quanto ai guadagni, lasciamo perdere perché qui si deborda ancora una volta nel campo della psichiatria.
Venendo alle mie presunte diatribe con questo o con quello che paiono suscitare tanto interessare negli sfaccendati, è bene che si sappia che io non ho litigato con nessuno. Mi riservo di avere le mie idee e le mie opinioni senza pretendere che queste siano condivise da altri, e questo è tutto. È pure bene che si sappia che certe discussioni non m’interessano perché preferisco dedicare il mio tempo a qualcosa d’intelligente e di utile.
Per il resto, prego chiunque, prima di aprire bocca o di battere infamie sulla tastiera, di mettersi davanti allo specchio e di chiedersi che cosa abbia fatto lui, il censore, per il bene comune. Ha dato? Ha preso? O non ha fatto proprio niente? O, magari, ha giocato contro? Poi, prego chiunque abbia qualcosa di cui rimproverarmi di farlo nelle sedi appropriate e con i modi opportuni: si prenda un foglio di carta e mi si denunci in maniera circostanziata alla magistratura. Il fango che ora mi si spara addosso con la più bassa delle vigliaccherie, perché la viltà e la bassezza d’animo sono le uniche forze di questi personaggi, insozza solo chi lo lancia.
Da ultimo, voglio che si sappia che io non provo nessun sentimento ostile verso queste povere persone. Anzi: sento per loro una pena profonda perché chi ha la sfortuna terribile di avere il vuoto dentro di sé non potrà altro che partorire vuoto e dolore per gli altri e anche per stesso.