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Da un naufragio del 1917 a Piero Marrazzo

E adesso tiriamo tutti un bel sospiro di sollievo: la cosiddetta “nave dei veleni”, rugginoso ospite dei fondali calabresi accusato di ogni male, non è altro che un relitto innocuo di un altrettanto innocuo piroscafo per passeggeri fatto colare a picco nel lontano ‘17 da un siluro tedesco. Parola della signora Prestigiacomo.

Tutto il chiasso di quei rompiscatole degli ambientalisti, tutta l’apprensione generata, tutte le patologie psicosomatiche dei gamberi che cambiano colore o dei granchi con le chele che non erano mai state così piccine svaniscono nel nulla. Nunc est bibendum: adesso è ora di brindare, magari con un bel Cirò puro come quello dei tempi di Orazio (Odi, I, 37, 1), sempre che non si trattasse di altro vino quello con cui il poeta invitava a festeggiare la morte di Cleopatra.

Per fortuna non ho detto nulla della nave radioattiva nel corso della mia conferenza di lunedì a Vibo Valentia davanti a centinaia di studenti e perfino al cospetto del prefetto attentissimo in prima fila. Chissà che figura ci avrei rimediato! E, ancora per fortuna, nessuna delle domande dei ragazzi – peraltro di una puntualità e di un’intelligenza che non ho mai riscontrato tra “scienziati” (scusate le virgolette) e politici – ha toccato l’argomento.

Insomma, torniamo tutti a comprare il pesce calabrese senza farci condizionare da bufale come quelle con cui qualcuno ci ha infarcito la testa e, magari, buttiamo via il mio libro Il Futuro Bruciato in cui racconto di come per decenni si sono rovesciate in mare le scorie radioattive che un luminare dell’Università di Modena tiene sotto il cuscino come portafortuna.

Tutto è bene quel che finisce bene, e cacciamo dalla mente l’ignobile sospetto che qualcuno non ce l’abbia raccontata tutta o che qualcun altro abbia imbastito a bella posta una bufala per rendere incredibile il sospetto radicato in molti che in fondo al mare ci sia materiale non proprio sanissimo.

A questo punto, lasciatemi cambiare del tutto argomento e venire ad un caso che non sarà radioattivo ma velenoso lo è di certo.

Mi riferisco alla bufera che sta investendo l’ormai ex governatore del Lazio.

Tanto per sgombrare il campo da equivoci,

io non ho mai apprezzato il personaggio né come giornalista né – e ancor meno, devo dire – come politico. Se come giornalista abbigliato da paladino catodico della giustizia non fece mai parola dei problemi ambientali relativi all’inquinamento polveroso, da politico ne combinò più di Carlo in Francia, almeno dal punto di vista dell’ecologia. Non saprei dire il perché, e non è mia competenza o capacità indagare, ma il fatto è che un bel po’ di situazioni che definire critiche sarebbe un cauto eufemismo portano la sua firma, da Albano a Civitavecchia, da Aprilia a Colleferro, e si potrebbe continuare con una sorta di bollettino di guerra fatto di rotte rovinose.

Perderlo come politico, insomma, a me pare un vantaggio, ma altrettanto e, probabilmente, ad assai maggior ragione, si potrebbe dire di una galassia di politici di ogni forma, dimensione e tessera. In verità, temo che, se si dovesse davvero partire con una campagna mirata ad incenerire gli elementi patogeni, pochi si salverebbero. Qualunquismo? Forse. Più probabilmente, una semplice costatazione.

Come ormai è fin troppo evidente, di tanto in tanto – sempre più spesso, di fatto – l’incenerimento dei patogeni avviene, e avviene proprio per mano dei loro stessi congeneri che hanno individuato, invero con poca fantasia e novità, una maniera tanto efficace quanto a buon mercato per liberarsi di un antagonista. Per sapere quale sia la maniera basta accendere la scatola ipnotica della TV o aprire le pagine odorose d’inchiostro di un quotidiano qualsiasi: il massacro personale. Non le idee, non le azioni politiche, non le malefatte, perché lì ci cascherebbero anche loro, i carnefici: la persona. Meglio, molto meglio, se c’è la possibilità di stuzzicare il torbido che sta in molti cervelli, greve pruderie a sfondo sessuale di gran lunga in testa, e approfittare della castigatezza di costumi che a tanti piace sbandierare come propria. Salvo, poi, essere pescati con le mutande calate dentro un’automobile parcheggiata al buio da un tutore dell’ordine in borghese.

Lo confesso: a me non importa un fico secco se Marrazzo trovava soddisfazione con degli androgini artificiali, così come non m’interessano le prodezze del primo ministro con quelle che ora, in maniera patinata, chiamiamo escort ma che nelle osterie e anche nei dizionari sono sempre definite altrimenti. Sbaglierò, ma per me quelli sono fatti loro e, anzi, mi annoia che mi s’intrattenga con racconti sul tema.

Da oche giulive che siamo, noi italiani ci lasciamo distrarre da ogni pappo volante e su quello puntiamo l’attenzione. Intanto c’è qualcuno che ci sfila per l’ennesima volta il portafoglio, che vende la salute nostra e dei nostri figli, che devasta l’ambiente in cui (soprav)viviamo. Il tutto nella completa indifferenza delle vittime, troppo tenacemente incollate al televisore e troppo rincoglionite dagli strepiti di chi fa da compare per prestare attenzione.