Scusate la lunga assenza, ma torno solo ora da Sydney e torno su una sedia a rotelle.
Niente di tragico: un banale incidente di corsa (a piedi) e un muscolo di una coscia che ha fatto crack. Non sarà breve, ma mi rimetterò in piedi e, anzi, mi rimetterò di corsa come sempre.
Purtroppo l’incidente mi ha impedito di muovermi, e per una decina di giorni non ho avuto accesso ad un computer. Ora, al ritorno in laboratorio e riaperto il mio computer, mi trovo quasi duemila mail da smaltire e spero che chi riceverà risposta in ritardo non si arrabbierà troppo.
Laggiù, in the Downunder come dicono loro che stanno a testa sotto come i pipistrelli, dell’Italia non hanno che qualche eco distante, ma la notizia degl’imbecilli del calcio è trapelata. Nell’immaginario australiano noi siamo quelli: un branco d’idioti il cui cervello permette solo azioni come quelle di cui non ci resta che vergognarci profondamente.
Se ricordo bene, in pieno impero bizantino non c’era il football ma c’erano le corse dei cavalli e si correva in squadre contraddistinte da colori. Anche allora c’erano i tifosi, quelli che gridano sudati con il collo gonfio, che lo sport non hanno la più pallida idea di dove stia di casa, e anche allora questi nullafacenti combinavano guai, tingendosi addirittura di politica. Niente di nuovo sotto il sole, dunque. Bene, l’imperatore di turno proibì le corse dei cavalli per alcuni anni e tutto rientrò nella più perfetta tranquillità.
E allora, perché non si possono chiudere gli stadi di calcio italiani? D’accordo: il business per qualcuno è colossale, ma siamo sicuri che l’Italia abbia proprio bisogno di miliardari che, tra l’altro, ricavano la figura fatta ai recenti europei e alle recenti olimpiadi (ma la loro pochezza di calciatori non c’entra con l’immoralità dei loro emolumenti)? Siamo sicuri, soprattutto, che l’Italia possa permettersi di schierare ogni domenica le proprie
forze di polizia per cercare, peraltro del tutto invano, d’impedire che parte del patrimonio che chi lavora paga con le proprie tasse venga svillaneggiato da questi ignobili decerebrati? Siamo sicuri di poterci permettere città sotto assedio ogni domenica? Siamo sicuri che immagini come quelle che le TV straniere sono felici di poter tarsmettere giovino alla nostra faccia?
A costo di dispiacere ai personaggi che sul calcio lucrano come satrapi lasciando a noi i cocci da pagare (non vi ricorda un po’ la vicenda Alitalia?), io chiedo un anno senza calcio, e lo chiedo da sportivo che lo sport lo ha fatto per tutta la vita e, a costo di fare una figura ridicola, vecchio e traballante come è diventato, continua a farlo tuttora con quel po’ che si può permettere. E chiedo che quei mascalzoni viziati paghino subito e al netto di sconti il giusto per le loro squallide azioni, senza che le stravaganze di qualche magistrato li rimetta subito in circolazione, per di più a maggior ragione convinti di avere tutti i diritti di fare ciò che fanno.
Cambiando del tutto argomento, ritornato, mi ritrovo qualcuno preoccupato del fatto che l’associazione che raccoglie i fondi per la ricerca sulle nanopatologie abbia qualcosa a che spartire con un noto comico. Oppure – ma qui siamo al ridicolo davvero – addirittura che il nome entomologico, bisogna ammettere infelicissimo, di questa associazione (I Grilli Onlus) cerchi in qualche modo agganci emotivi con il non nominato comico, peraltro al singolare e non onlus. Per l’ennesima volta ripeto che non esistono relazioni e ripeto ancora che sul Gryllus campestris (famiglia dei Grillidi, ordine degli Ensiferi e classe degl’Insetti) diventa per lo meno bizzarro pretendere esclusive. Sia come sia, chi vuole contribuire alle ricerche che, come detto, verteranno principalmente ma non solo sulle malformazioni fetali da micro e nanopolveri inorganiche, è il benvenuto. Chi non lo vuole fare, è esentato ufficialmente dal presentare scuse, eccezioni, difficoltà etiche, diritti accampati su nomi e personaggi, elucubrazioni più o meno campate per aria e quant’altro. E chi ha il borsellino stretto può pure stare tranquillo: dei risultati delle ricerche godrà anche lui come chi un sacrificio l’ha fatto.
Di una cosa sola prego questi signori: come dice una vecchia canzone bolognese la cui frase traduco per i forestieri: vada a rompere le scatole altrove (c’al vaga a ràmper al scàtel piò in là.)