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Azazel: chi è costui?

Non ho capito bene quale sia l’interesse principe dei miei 24 lettori (uno in meno di quelli di Manzoni per il rispetto dovuto). Se interessano le suorine e, dunque, il clero, ecco un racconto a proposito di un prete. Un racconto perché a me interessa quello e chi non vuole leggerlo, ne faccia a meno con la mia benedizione.

Visto che ho qualche credente (bigotto?) che mi onora della sua attenzione, chissà se ha idea di che cosa sia il capro per Azazel. Eppure è una pietra angolare della religione cristiana senza cui tutto l’edificio non può reggere.

 

IL CAPRO PER AZAZEL

 

“Cistifellea, e lei?”

“Cistifellea anch’io.”

Nel salottino della televisione non si poteva stare: tutto quel bizzarro serraglio – chi aggrappato ad un’asta da fleboclisi, chi accovacciato sulla sedia a rotelle, chi con dei tubicini ficcati nel naso, chi con una sacca mezza piena di urina legata ad una coscia – a strepitare davanti all’apparecchio che trasmetteva una partita dei campionati mondiali di calcio. Chiasso e caldo.

“Credevo peggio, le dico la verità. Mi avevano fatto una paura…”

“Se devo essere sincero, io un poco ho sofferto. I primi due giorni ho sofferto.”

“Voi uomini siete dei fifoni. Fate tanto i gradassi, i galletti, e poi, quando si tratta di tirar fuori le…”

Dal salottino esplose un boato. Giacomo ringraziò la sorte che avesse mandato il goal così tempestivamente a proposito, giusto giusto per interrompere la frase.

“Io sono stata operata lunedì.”

“Sì, ho visto… – Giacomo sperò che la signora non s’accorgesse che stava arrossendo – Sì, voglio dire…” Ormai la frase era partita.

“Ha visto che?”

“Be’, sì, voglio dire… Io ero nella barella di fianco alla sua davanti alle sale operatorie.” Giacomo era in un bagno di sudore.

“Guarda un po’: non l’avevo notata.”

“Oh, be’, ero tutto coperto…”

“Io sono stata operata dal professore.”

“No, io no: io ero nella sala operatoria di fronte. Mi ha operato il dottor Starnazza.”

“Il dottor Starnazza? Che razza di nome!”

“Sì, sì… Però dicono sia bravo lo stesso… Mi scusi, signora, non la disturbo più… Mi scusi: torno in camera… Con permesso…”

“Ma no, resti! Resti ancora un po’ a far due chiacchiere. Mi faccia compagnia! Qui non si parla d’altro che di calcio. A lei non interessa, vero, il calcio?”

“No… No… Io non…”

Due chiacchiere? Che cosa poteva mai aver da dire, lui, con quella signora? Giacomo non si era mai trovato a suo agio con le donne. Le donne belle, poi…

“Guardi qua: – fece improvvisamente lei – un buchetto da niente. – E si aprì la vestaglia a mostrare la piccola ferita – Pensi che a mia madre, una quindicina d’anni fa, per la stessa operazione fecero un taglio grande così,” e spalancò le braccia per mostrare le dimensioni che intendeva, mentre la vestaglia si slacciava completamente.

Le carotidi di Giacomo sembravano il batacchio della campana, mentre la signora, senza fretta, si ricomponeva.

“Lei è sposato?”

“Come dice?… Ah, sì, sì… lunedì nella sala di fronte…”

“No, dicevo: lei è sposato?”

“Io? Sì. Ah, scusi, no, no, io no… Io non potrei… Non posso…” Ma che cosa c’entrava questo con l’operazione? Lì si doveva parlare solo di malattie, e senza addentrarsi in dimostrazioni anatomiche, possibilmente.

“Ah, capisco…”

“Be’, se permette, io tornerei a letto.”

Senza riuscire a raddrizzarsi completamente, un po’ ingobbito, Giacomo si alzò, accennò ad una specie d’inchino quanto mai goffo e s’incamminò per il corridoio. Il cuore batteva forte e la schiena era madida di sudore. Faceva caldo. Del resto, a luglio… Non si poteva stare a letto. Aria ci voleva. Lì tenevano sempre le finestre chiuse. Aria.

 

“Ecco qua. E’ tutto a posto. Le ho già fissato la visita di controllo per il quattordici pomeriggio alle sette. Ci vediamo allora in ambulatorio.”

“Grazie, dottore.”

Giacomo andò al suo armadietto e si rivestì. Salutò i compagni di camera, prese la  borsa di plastica con la pubblicità della ferramenta e s’incamminò verso l’uscita. La pancia doleva un po’ ma gli uomini, i galletti… Giacomo arrossì.

Casa sua era un forno. Era restata chiusa più d’una settimana e non si respirava. Spalancò le finestre. I ragazzi giocavano a calcio nel campetto contro la chiesa.

“Sì, sono tornato un quarto d’ora fa. Tutto bene. Grazie per avermi sostituito.” Giacomo riagganciò il telefono.

 

Nei dieci giorni che seguirono, la pancia si rimise più o meno in ordine. La dieta che gli avevano prescritta era piuttosto severa, ma questo non costituiva un problema. Le sue abitudini alimentari erano sempre state frugali: verdura cruda, carne in scatola, un po’ di frutta che gli portavano. Quei calcoli alla cistifellea erano di origine famigliare: a suo padre erano stati asportati vent’anni prima con un taglio grande così…

Con buon anticipo sull’ora dell’appuntamento, Giacomo si presentò all’ambulatorio. Nell’anticamera non c’era nessuno: neanche un’infermiera. Sul tavolinetto trovò una rivista sportiva spiegazzata risalente a diversi mesi prima. La prese e s’immerse nella lettura di un articolo sui campionati mondiali allora futuri ed ora in via di conclusione.

Si aprì la porta.

“Oh, chi si vede! Buon giorno!”

La sua compagna di sala operatoria era lì. Bellissima. Doveva immaginarlo: stesso giorno allora, stesso giorno adesso. Giacomo cercò di nascondere la rivista ficcandola sotto un giornale sulla sedia accanto e si alzò.

“Stia comodo!”

La signora gli prese la mano e la strinse con un vigore che non ci si aspetta da una donna.

“Non ci siamo nemmeno presentati: Silvia Finzi.”

“Piacere: Rossi… Giacomo Rossi.”

E adesso, che cosa dire? Cercare di sorridere sarebbe stato considerato sufficiente?

“Finzi!” L’infermiera, entrata da chissà dove, aprì la porta dell’ambulatorio e fece entrare la signora. Grazie al cielo.

Passò qualche minuto e la donna uscì.

“Tutto bene. Il dottore dice che va tutto bene.”

Giacomo non sapeva che cosa lei si aspettasse ora. “Congratulazioni,” fu quanto gli venne fuori. Ma perché tardavano a chiamarlo? Non c’era che lui. La signora aveva già fatto. Perché non si sbrigavano là dentro?

“Rossi!”

Giacomo si alzò di scatto, sorrise ed entrò nell’ambulatorio.

Quando uscì, la signora era ancora lì seduta.

“Allora, com’è andata?”

“Bene, grazie. Il dottore ha detto che va bene. Grazie.”

Uscirono insieme.

“Da che parte va?”

“Io… A casa.”

“Ha la macchina?”

“No… Io prenderei l’autobus. L’autobus arriva proprio… quasi vicino a…”

“Ma quale autobus! L’accompagno.”

“Oh, no…No, signora, la prego, non si disturbi: l’autobus passa proprio qui vicino e non devo nemmeno cambiare. Poi sono due passi. Ho l’abbonamento…”

“Sciocchezze! Mica la porto in spalla. Andiamo, salga.”

“Non… Non deve disturbarsi…”

“Su, mi dica dove abita.”

“Non vorrei costringerla a deviare dalla sua strada…”

“Mi dica dove abita!”

“Alla chiesa degl’Innocenti. Sa dov’è?”

“Gl’Innocenti? Sì, certo.”

Il silenzio improvvisamente caduto era mille volte peggio della conversazione. Toccava a lui dire qualcosa? E che cosa? Saranno tutti in vacanza, ma che traffico lento a quell’ora! Tutti rossi i semafori!

“Ecco là la chiesa. Qual è casa sua?”

“Mi lasci pure qui. Qui va bene. Troppo gentile.”

“Ma no, andiamo! Qual è casa sua?”

“Là… Questa.”

“Ma questa è la chiesa. Abita in chiesa?”

“In canonica.”

“In canonica? Lei è…”

“Sono il parroco degl’Innocenti.”

“Il parroco!” La signora scoppiò a ridere.

“Mi scusi…”

“Mi scusi? Di che? Mi scusi lei, piuttosto! Pensi che buffo: in tutta sincerità credevo che lei fosse un omosessuale!”

“Io…”

“Ma sì! Si ricorda quando le chiesi se era sposato? Lei mi rispose in un modo che… Mi scusi! – La risata era cristallina e i denti bianchissimi. – Neanch’io, sa, sono sposata. Lo sono stata: una volta, per poco, sono stata sposata. Giusto il tempo di partorire mia figlia e poi, via: tutto finito. Era finito prima di cominciare.”

“Mi dispiace… Io…” Giacomo fece per aprire la portiera.

“No, no, non si dispiaccia. Io ho avuto una vita tutto sommato felice, e anche adesso non mi lagno. Lei?”

“Io?”

“Sì: lei ha una vita felice?”

Giacomo diventò paonazzo.

“Mi scusi se glie l’ho chiesto. Sono invadente, vero?”

“Ma no… No… Io…”

“Com’è fare il prete?”

Ma che razza di domanda era quella! La signora lo guardava fisso. Evidentemente si aspettava una risposta. Com’è fare il prete? E chi lo sa? Fare il prete è guardare gli altri, fare per gli altri, vivere per gli altri, insegnare da esperienze mediate, giudicare per assolvere, santificare la biologia e la sociologia degli altri, parlare con dio degli altri, chiedere favori a dio per gli altri, interpretare dio per gli altri. Gli altri… E se gli altri, all’improvviso, sparissero? Che cosa resterebbe? Resterebbe un uomo che non è più un prete. Senza gli altri non esistono i preti. Resterebbe Giacomo. E chi lo conosce Giacomo? Che cosa c’è dentro Giacomo? Ce l’avrebbe, lui, il coraggio di guardare dentro Giacomo se Giacomo restasse l’unico membro del gregge, pecorella e pastore ad un tempo? Chi lo potrebbe curare? Chi lo potrebbe giudicare? Chi lo potrebbe assolvere? Ma poi, è possibile davvero un’assoluzione? Esistono peccati tra quelli del confessionale che Giacomo non abbia commesso? Non materialmente, si capisce. Con la mente, con l’inconscio, per la malia che c’è sempre nell’immedesimarsi nel peccatore che è tanto piccolo da umiliarsi di fronte al rappresentante di dio ma tanto grande da aver peccato. Perché non materialmente? Perché gli uomini fanno i gradassi e poi… Che sciocchezza! Una sciocchezza, sì, ma ci vuole coraggio a peccare? Sì ci vuole coraggio. Un coraggio perverso, forse, ma non è quello il modo, un modo, per affermare la propria esistenza? il proprio diritto ad essere un universo assoluto, con leggi proprie? L’infinitesima parte dell’universo è né più né meno un universo anch’esso e un universo dipende solo da se stesso. Io desidero peccare. Desidero, quindi sono. Sono un essere imperfetto perché desidero e se desidero è perché non ho, perché sono incompleto. Ma chi mi ha creato, per motivi che in verità ignoro, anche se… Chi mi ha creato mi ha voluto imperfetto e quindi… Soddisfare un desiderio è completarsi. Completo è sinonimo di perfetto. L’uomo non può esimersi dal peccare, pena l’incompletezza, l’imperfezione, l’entelechia abortita. Ma se ogni universo ha leggi proprie, allora non si può parlare oggettivamente di peccato. L’uomo è creato per peccare, qualunque cosa sia il peccato. Ma il prete? Può un prete peccare? E se non può peccare, allora il prete non è un uomo. Com’è fare il prete?

“Sa, oggi è il mio compleanno e io…” Ma che cosa mai gli era saltato in mente di dire?

“Il suo compleanno! Il quattordici luglio, presa della Bastiglia! Si festeggia!”

Giacomo fece appena in tempo a chiudere precipitosamente la portiera prima che l’automobile partisse lasciando stridere le gomme sull’asfalto rovente.

“Spero non abbia di meglio da fare. La porto ad un ristorante vegetariano che ha appena aperto una mia amica. Vuole? E’ poco fuori, verso la collina. Magari si sta un po’ più freschi.”

“Io… No, non si disturbi…”

“Festeggiamo la presa della Bastiglia! Da buoni vegetariani per forza.”

 

“Una vita strana, la mia, credo. Il giorno del mio diciottesimo compleanno mi sposai. Avevo una pancia!… I miei erano, e sono, ebrei praticanti. Io, invece… A me non importa. Lui aveva quarant’anni suonati. Architetto. Sa quei quarantenni fascinosi, vissuti, un po’ brizzolati, la camicia aperta, la macchina scoperta con il mangiadischi. Le parlo di un bel po’ di anni fa, naturalmente. Io ho quarantadue anni… Lei? Pensi che non le ho nemmeno chiesto quanti anni compie.”

“Cinquanta.”

“Auguri… Rito cattolico romano con gran dispetto della comunità ebraica. La bambina nacque dopo tre settimane. I miei non vennero neppure a vederla. Com’era ovvio il matrimonio non funzionò. Non poteva funzionare. Ci si accordò in fretta per l’annullamento. I miei ebrei non obiettarono: sanno essere pragmatici, al bisogno. La Chiesa è estremamente efficiente e fu una questione di pochi mesi, senza essere disturbati al di là di una deposizione già preparata all’Arcivescovado. Del resto un potere esercitato dai tempi di Costantino se non altro è garanzia di esperienza nel costruire una burocrazia perfetta. Bene, a diciannove anni scarsi ero da sola con mia figlia. Sola per scelta perché non volli tornare a casa dai miei. Da noi perdonare è un affare complicato. Soldi ce n’erano di famiglia e quella meteora di marito mi passò un assegno piuttosto cospicuo per anni, finché non pensò bene di morire lasciando alla bambina un bel patrimonio. Nessun problema materiale. Non mi sono risposata, no. Perché avrei dovuto farlo? Avrei potuto, potrei, ma perché? Assaggi questo purè di basilico: è squisito.”

Che storia aveva lui da raccontare? La sofferenza di una chiamata divina osteggiata? Una vita tempestosa risolta con l’abbraccio della Chiesa? La storia drammatica di una vocazione sulla via di Damasco? Macché! Quale via di Damasco? Che si sarebbe fatto prete l’aveva sempre saputo. Tutti l’avevano sempre saputo. Era deciso ab initio. Si era mai interrogato dentro, prima e dopo? Non si era, piuttosto, lasciato trasportare dalla corrente, dal fato, senza che gli sovvenisse di chiedersi se esistesse un’alternativa? Se veramente… Opporsi? A che? Perché? Al fratello maggiore la casa e il podere, a sua sorella la dote per il convento e per lui i soldi del seminario. Come cent’anni fa. Di più, forse: mille. In montagna usa ancora così. La borgata si chiama Casa Rossi. Non si può disperdere il patrimonio. Il patrimonio! Dio chiama a sé in un numero infinito di modi. Per lui aveva riservato il più sbrigativo e il meno romantico di tutti.

“L’anno scorso, meno di un anno fa, ho perso mia figlia… No, no, non s’impressioni: si è semplicemente sposata. Per me lei era l’unico scopo della vita. Ci crede che me ne sono accorta solo quando non me la sono trovata più tra i piedi? In Germania è finita ad abitare. Ha sposato un tedesco e… Sa che l’inverno prossimo sarò nonna? Un figlio è la cosa più naturale del mondo, eppure non c’è niente di più strano né di più assurdo. Si è mai chiesto perché fare figli? Magari c’illudiamo davvero di perpetuarci, di lanciarci contro il tempo. Una generazione, un’altra, un’altra ancora: dentro di noi portiamo ancora qualcosa di mille anni fa, di un milione di anni fa, dei nostri nonni cavernicoli, di Adamo, chissà, e passiamo il testimone di questa eredità a qualcuno con la speranza che a sua volta lo passi a qualcuno che lo passi ancora, e ancora, e ancora per un milione di anni, fino a… fino a quando? Prima o poi tutto finirà e della nostra eredità non resterà nulla. E allora? Domani o tra un milione di anni, che differenza fa? Tutto ciò che è meno dell’eternità è inutile. Vede quanto siamo stupidi! E vanitosi. Silvia for ever! Non è stupido? Com’è essere senza figli?”

“Io…”

“Ma no, Giacomo, possiamo darci del tu, vero?, no, Giacomo, scusami. Che sciocca invadente sono!”

“No… no, davvero…”

“Senti il tortino d’asparagi. Non è una bontà?” I denti bianchissimi. Il sorriso di cristallo.

 

Come si può dormire con un caldo simile? Giacomo si mise alla finestra. Aveva mangiato troppo. E non solo quello. L’incontinenza, comunque esercitata, è un peccato. Com’è essere prete? E non avere figli? Sarà che averli è strano e assurdo. E non averli? E’ contro natura. Nonna… Il testimone passato due volte. Com’è difficile tenere il pensiero concentrato, sviscerare davvero un argomento… Il caldo ti distrae. L’estate è un dormiveglia che ti distorce l’anima. O che te la spoglia. E’ l’estate la stagione più crudele… Dio non giudica i fatti: giudica le intenzioni. La colpa è dentro di noi, non c’è nulla fuori. A dio non si nasconde nulla. Già il pensare di tentare di nascondere è peccato. Un peccato ingenuo, se un aggettivo simile può qualificare un peccato senza essere tautologicamente insito nel concetto stesso. E’ peccato nascondere qualcosa a noi stessi? Giacomo era terrorizzato: se avesse ammesso a se stesso di aver peccato in quella maniera, sarebbe stata la fine, avrebbe perso il freno. Magari si poteva ancora recuperare, far finta di niente, riprendere subito il rito della vita di tutti i giorni e ritornare puliti. Non c’indurre in tentazione. Com’è terribilmente umana quella frase! Dio mio, Eli, perché mi metti alla prova? La mia anima è piccola e debole, è una barchetta nella tempesta, quando una sola ondata, la più minuscola, basterebbe per sommergerla. Non posso essere un eroe, io. Non puoi costruire un nano e chiedergli di essere un gigante.

D’estate l’alba viene presto. Gli storni sugli alberi del viale ti assordano e se non dormi già non ce la farai a prendere sonno.

 

I ragazzi cominciarono ad arrivare al campetto da calcio a mattina inoltrata. “Don Giacomo! – lo chiamarono – non viene a fare l’arbitro?” Un bambinetto lo prese per una mano e gli mise nell’altra il pallone.

All’inizio della partita non poche decisioni furono contestate. “Don Giacomo: occhiali!” gridavano ridendo le quattro o cinque ragazze che facevano da spettatrici sedute sulla panchina. La testa non voleva saperne di star tranquilla. Poco a poco, però, correndo, accaldandosi, sudando, discutendo con i giocatori ben più animatamente di quanto la portata dell’argomento richiedesse, Giacomo riuscì a prestare attenzione alla partita, a concentrarsi, quasi; e allora soffiava nel fischietto, si sbracciava.

La campana rintoccò.

“Basta, ragazzi: tutti a messa!” disse il prete interrompendo il gioco.

I bambini corsero alla fontanella e i primi cominciarono ad entrare in chiesa.

“Arbitro venduto! Si dice così, vero?”

Era lì. Era Lei. Quei denti. Quel sorriso.

“Passavo di qui e mi sono detta: guarda un po’, mi pare di conoscere l’arbitro.”

Come si può dir messa in quelle condizioni? Lui non era mai stato atterrato sulla via per Damasco. Dio non aveva ritenuto opportuno folgorarlo: non ce n’era bisogno. Il piccolo Giacomo era ovviamente un prete fin dalla Creazione, era la microscopica rotella dell’ingranaggio, il trascurabile portavoce dei dettami divini più banali, era la laringe ottusa di dio. Da lui non si chiedeva altro che la più piatta delle routine, tanto lui non aveva un’individualità, tanto lui non aveva desideri, esigenze, volontà al di fuori dell’ubbidienza, se volere ciò che vuole un altro è definibile come volontà. Giacomo esisteva perché esistevano gli altri. Era uno strumento di servizio e come tale non aveva problemi di sorta. Ma ora chi si prendeva gioco di lui facendolo cadere sulla via che viene da Damasco? Lui non era attrezzato per questo. Gli venne in mente Satana: Satana nelle vesti di Silvia la giudea. Da sempre la donna è la scintilla sulfurea che innesca l’incendio del peccato, della perdizione. La donna… Maiuscola o minuscola la di di donna? La donna in generale o quella donna? Allora il suo era un problema di sesso? No, no! Di sesso no! Che c’entra?

“Lo sai che non mi ricordavo più come fosse una messa cattolica? Era dal mio matrimonio, credo, che non ne vedevo una.”

Perché era rimasta? Perché era entrata in chiesa? Suo dovere istituzionale era condurla sulla retta via, convertirla. L’occasione…

“Lei è diventata cattolica, credo…”

“Tecnicamente sì. Per sposarmi in chiesa ho dovuto. Poi la cosa è stata utilissima per l’annullamento.”

“Dunque potrebbe…”

“Giacomo, ma non avevamo deciso di darci del tu?”

Giacomo, il prete, si rese conto di non aver mai capito sul serio le confessioni, le migliaia di confessioni che aveva ascoltato in tutti i suoi anni di sacerdozio. Per lui la tentazione colpevole poteva essere quella di dare una risposta brusca, di non dire tutta la verità fino ai particolari più minuziosi e meno convenienti, di trovare una scusa traballante per evitare qualcosa di sgradevole. E per queste tentazioni cui aveva qualche volta ceduto si era battuto il petto, facendone ogni volta una piccola tragedia. In realtà non si era mai reso conto di che cosa significasse davvero essere tentati, vedere dispiegarsi davanti a sé il peccato e intuire che peccare è meraviglioso, che peccare è libertà. Adamo era un poveraccio sprovveduto che si mangiava una mela passatale sottobanco da quella monellaccia di sua moglie. Lucifero voleva fare le scarpe al superiore: una vicenda aziendale tutto sommato ordinaria. Gesù viene portato sul pinnacolo del tempio e cercano di rifilargli roba che era già sua. Ma che cosa c’è in verità sotto quelle storielle? Che cosa c’è al di là della stupida ingenuità di quelle favole cui Giacomo aveva sempre prestato acriticamente fede alla lettera? La tentazione vera è commisurata alla capienza dell’anima: quando è piena è piena e non esiste altro al di là del pieno. Di più: ogni anima è vulnerabile, penetrabile in una maniera che le è peculiare. Basta conoscerne la chiave, il segreto. Quanti peccati del confessionale Giacomo aveva commessi? A differenza di quanto aveva sempre dato per scontato, Giacomo era un uomo come ogni altro uomo e l’uomo ha dentro di sé un messaggio, una volontà inarrestabile, che lo accomuna ad ogni essere vivente, giù fino alle amebe o più in basso fino a qualunque vegetale. Non esiste né alto né basso: a ben guardare, l’essere vivente è costretto per sua stessa natura ad essere il vertice dell’universo, del proprio universo; è costretto ad essere universo e ad escludere quanto non è sé. E’ costretto a sopravvivere ad oltranza per lottare contro la sua essenza per natura effimera, arrivando all’ingenuità patetica di riprodursi. Riprodursi!

“Giacomo, dimmi la verità: non ti fa piacere vedermi?”

“Vede… io…”

“Senti, se non vuoi…”

Se non vuoi che cosa? Che cosa poteva volere o non volere lui? E ciò che voleva era… Una parte di lui lo voleva, una parte nuova. O arcanamente vecchia ma sconosciuta fino ad allora. Com’era la storia dei due cavalli di Platone? Giacomo, a cinquant’anni, con un’esperienza smisurata accumulata sui pentimenti veri o presunti degli altri che lui aveva sempre meccanicamente assolti per la modica spesa di tre Pateravegloria, si trovava d’improvviso auriga di un carro ingovernabile trainato da due cavalli in lotta tra loro. Che cosa conosceva, lui, della vita? Com’è essere prete? Com’è avere cinquant’anni e non poter tornare indietro? Indietro per cambiare tutto. Il corpo è effimero. L’anima no. E allora riprodursi non serve più per… Ma allora perché quell’istinto che, come una spora, resiste a tutto e può ricomparire, vitalissimo, in ogni momento?

 

La messa durava sempre meno. Le prediche erano deboli e poco convinte. Dio, dammi un segno! Prete o uomo? Quanto mi è permesso essere corpo? No, no, che c’entra il corpo?

 

D’estate la città assume un aspetto curioso che può anche essere piacevole. Vuota, permette di camminare in mezzo alla strada, di passare con il semaforo rosso, di passeggiare senza pensare troppo a dove si sta andando. Giacomo, che non era mai stato un grande camminatore, camminava senza pensare troppo a dove stava andando. Capitò davanti ad un cancello e si fermò a guardare. Si fermò finché Silvia non uscì.

“Giacomo!”

“Io… Buon giorno… Passavo…”

“Stavo uscendo per fare una passeggiata anch’io. Andiamo insieme?”

“No… be’, io…”

“Ma sì, hai ragione: con questo caldo è meglio aspettare un po’.” E lo prese sotto braccio tirandoselo dentro al cancello, nel giardino, in casa.

Silvia occupava quasi tutto il divano al cui angolo Giacomo stava seduto su una natica sola. Non era mai entrato in una casa come un uomo, cioè non in qualità di prete, se uomo e prete si escludono a vicenda. Quel bicchiere in mano con quella bevanda rossa che gli si rimescolava nel cervello… Giacomo beveva solo il vino dell’offertorio. E molto annacquato.

“Abitare da sola dopo tanti anni è strano. In ogni angolo è appiccicato un ricordo: qui Micol si alzò in piedi per la prima volta, qui Micol mise le dita nella presa elettrica, qui facevamo i compiti insieme, qui c’era un quadro che si è portata via… Vedi com’è grande questa casa? Vieni, te la mostro.”

Entrarono in ogni stanza: la cucina, la camera di Micol, lo studio, la stanza da letto di Silvia…

“Hai visto? E’ grande per me.”

 

Se ogni anima, ogni uomo, è un universo a sé, perché tutti questi universi si assomigliano tanto?

Il caldo appiccicoso, le zanzare, la luce baluginante bluastra dei televisori nelle finestre di fronte. Com’era grande quella casa! La sua, invece…

 

Era primo pomeriggio quando Giacomo prese la decisione. Aspettò un’ora più urbana e poi, a piedi, adagio per non arrivare sudato, percorse tutta la strada fino al cancello, fino alla casa troppo grande per una persona sola. Chiuse gli occhi appena un attimo, ma non esitò a suonare il campanello.

“Giacomo!”

“Io… Silvia…”

“Scusa, Giacomo, al momento sono occupata. Mi perdoni, vero? Ti telefono domani, o dopo, magari. Ciao.”

Silvia rientrò in fretta.

Per andare alla fermata dell’autobus Giacomo girò intorno alla casa. Nel giardino un uomo che gli parve brizzolato, con la camicia aperta, teneva un braccio intorno alla vita di Silvia e rideva. Sulla strada, altrimenti vuota, era parcheggiata un’automobile scoperta.

Dal punto di vista tecnico il peccato era stato commesso e la storia è incancellabile. Dio giudica le intenzioni e il non averla consumata materialmente non rende la colpa più lieve: è ininfluente. Esistono attenuanti al tribunale divino? La misericordia ha mille mani: ce ne sarà una per Giacomo? Ma la misericordia non è un diritto e a quella non ci si può appellare. Come il capro per Azazel, Giacomo si era caricato di tutti i peccati, tutti quelli che aveva invidiato senza saperlo o senza confessarlo a se stesso e quello, terribile, che aveva commesso da solo e che lo dannava. A differenza del capro per Azazel, lui era inutile.

 

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parideparis
8 anni fa

Bellissimo e ironicoIl racconto, nella sua brevità, è strepitoso. L’ironia, a volte amara, a volte, come in questo caso, più leggera, è il tratto comune di questi racconti. L’ironia è la capacità di guardare le cose con distacco e comprensione allo stesso tempo e per questo è un’arte difficile, che richiede saggezza.Questi racconti aggiungono un motivo d’interesse a questo blog. RISPOSTA Inutile dire che lei solletica la vanità che cerco in tutti i modi di soffocare. Per ciò che riguarda l’interesse del blog, ho paura che le cose non stiano come lei, ottimisticamente, mi scrive. Gl’ingressi, infatti, calano vistosamente. Per… Leggi il resto »

Barbara
7 anni fa

Bellissimo
Nuovamente complimenti

RISPOSTA

Grazie. Pensi a quante scocciature in meno, e non solo per me, se avessi fatto lo scrittore.

gelu
7 anni fa

letterato
Un altro godibilissimo racconto. Grazie!

RISPOSTA

Conn quello che sta accadendo ora per impedire A ME PERSONALMENTE la ricerca sulle leucemie, farei meglio a cambiare mestiere.

Barbara
7 anni fa

Non per noi
Sicuramente avrebbe avuto meno scocciatura lei.Ma a noi piace il Dottor Montanari scocciatore nonché scrittore
😆
PS:mi sa che devo fare anch’io il corso emoticon

RISPOSTA

Mi iscriva al corso.