I commenti fuori tema saranno cestinati
Forse qualcuno ricorderà il processo penale di primo grado celebrato ad Adria qualche anno fa contro la centrale termoelettrica ad oli pesanti di Porto Tolle. Nell’occasione l’Enel, proprietaria dell’impianto, fu condannata per il disastro ambientale che la gestione dell’impianto stesso aveva provocato.
Passò del tempo e l’Enel decise di ricorrere contro quella sentenza. “Strano – si sarebbe potuto pensare: – se si va in galera per qualche furtarello, un disastro come quello combinato avrebbe meritato ben altra punizione che qualche milione di Euro per il danneggiamento del territorio e qualche mese di reclusione per i responsabili, come il giudice, fin troppo mite, aveva sentenziato. E, allora, se, in fondo, all’Enel è andata di lusso, perché ricorrere?”
La risposta è banale: perché l’Enel conosce alla perfezione i meccanismi della giustizia in Italia, un tempo culla del diritto.
Così si è andati in secondo grado, la sostanza dell’accusa è rimasta, il giudice ha confermato che
la centrale ha funzionato illecitamente e ha inquinato, ma le pene sono state quasi cancellate. Insomma, un buffetto sulla guancia ed è finita lì. Nemmeno un “vedi di non farlo più.”
In questo paese, e magari anche altrove (io non ho nozioni di diritto comparato), si può commettere un reato anche tanto grave e di lunga gittata come quello di devastare irreversibilmente un ambiente unico quale il Parco del Delta del Po e con quattro soldi va a posto tutto. Con quattro soldi che l’Enel, nella circostanza, ha elargito fuori del tribunale ai danneggiati. Tutto regolare, per carità.
Ma la cosa non era finita lì: un altro procedimento era partito, perché quell’inquinamento aveva, come è ovvio, danneggiato la salute di un po’ di abitanti della zona. Del resto, se un inquinamento è innocuo, qualcuno spieghi che inquinamento è.
Se nel processo di primo grado di cui sopra si chiese la mia consulenza con mia moglie in qualità di ausiliaria, in quello che si andava allestendo per il danno alla salute con tanto di morti fu chiesta la consulenza di mia moglie e l’ausiliario ero io. Allora esaminammo in laboratorio un po’ di biopsie di cancri di cui gli abitanti del luogo erano stati vittime (chissà perché si parla sempre e solo di cancro, quando le malattie da inquinamento particolato sono una lunga lista e il cancro non sta affatto in testa) e in quei reperti ci trovammo, senza sorpresa, le polveri inquinanti che avevamo individuato nell’ambiente e che provenivano dalla combustione di oli pesanti.
Se la sorpresa scientifica non c’era stata, ci fu, invece, quella della richiesta di archiviazione proposta addirittura da quella stessa procura della repubblica che aveva dimostrato come dell’inquinamento fosse responsabile l’Enel. Strano? Per me sì. Le modalità, poi, furono molto italiche: per quell’atto nessuno interpellò mia moglie o me. Anzi, ci si guardò bene dall’informarci su che cosa si stava facendo quatti quatti, e si affidarono le motivazioni “scientifiche” con cui la procura si autosconfessava a periti che di nanopatologie e delle metodiche usate in quel campo non avevano la benché minima conoscenza, come è facilmente rilevabile leggendo il documento con cognizione di causa. Addirittura si attribuirono al professor Lorenzo Tomatis, il maggiore oncologo italiano morto nel frattempo, opinioni che mai si sarebbe sognato di esprimere, stante la sua statura scientifica.
Io non entrerò ora nel merito di quella richiesta di archiviazione, non controbatterò alle enormità scientifiche che la costellano se non per rilevare, tra tutta quella stravagante collezione, il ridicolo di sostenere che ciò che abbiamo trovato nei cancri viene dal taglio dei campioni, esempio lampante di assoluta incompetenza in materia, e non darò la mia risposta al perché si è fatto tutto questo e lo si è fatto in quel modo. Riporterò tutto, invece, in un libro e sarò curioso di vedere le reazioni fra una decina di anni quando ciò che scrivo ora sarà un’ovvietà scientifica anche per i procuratori della repubblica, perché la scienza si può distorcere e imbavagliare per un po’ ma poi, alla lunga, è come la pipì e la tosse: salta fuori.
Nel frattempo sarà bene che la giustizia italica acquisisca un po’ di logica o, come si usa dire per gli arbitri di calcio, un po’ di uniformità di giudizio. Se le porcherie che quell’impianto sputava sono innocue non si doveva condannare l’Enel né in primo né in secondo grado. Se quella condanna confermata è giusta, la richiesta d’archiviazione grida vendetta.
Intanto l’Enel, ormai sul velluto, trasformerà a carbone la centrale. Chi ha idea di che cosa questo significhi per ambiente e salute non ha bisogno di commenti. Tra qualche anno, magari quando qualcuno si meraviglierà nel leggere il libro che ho in programma e si chiederà come mai si siano sostenuti certi argomementi in un documento quale una richiesta d’archiviazione che, di fatto, lascia campo libero alla possibilità d’inquinare ancora, la mia curiosità di ricercatore mi porterà a dare un’occhiata a che cosa ci sarà nei tessuti malati di allora. Nessuno di coloro che hanno venduto la salute per quattro soldi venga a chiedermi di difenderlo se là dentro, in quelle biopsie, non sarà tutto pulito: la mia sarà solo ricerca su cavie umane.
Immagine da: http://adria.blogolandia.it/files/2009/01/p7160473.JPG