Pubblico con un certo stupore ma volentieri questo articoletto di Mario Tozzi. Lo stupore è dovuto al fatto che Tozzi fu per due tornate il testimonial di Hera, la multiutility emiliano-romagnola degl'inceneritori. Il fatto di farlo volentieri è la speranza che Tozzi sia caduto sulla via di Damasco. (Stefano Montanari)
Sembra incredibile che qualcuno, nell'Italia di oggi, si opponga ai cambiamenti di abitudini e ai costi che eventualmente bisogna sostenere di fronte a emergenze di carattere ambientale come quelle relative all'energia o ai rifiuti. E sembra incredibile che ciò accada in realtà metropolitane avanzate come Torino, dove, con lungimiranza e accortezza, si è passati dal 20 a oltre il 40% di raccolta differenziata dal 2003 a oggi.
È appena il caso di ricordare che riciclare e recuperare rifiuti permette di consumare minori quantità di combustibile e produce meno inquinamento. Con il tempo tale problema è destinato ad aggravarsi, visto che, con l'esaurimento dei giacimenti più ricchi, si passa a sfruttare quelli il cui tenore è più basso e quindi si producono sempre maggiori quantità di scorie. In molte nazioni europee la percentuale di rifiuti riciclata arriva a oltre il 40%, un ottimo risultato se comparato a quello italiano di uno striminzito 24%. È ovvio che, se si raddoppia la vita media di un prodotto, automaticamente si dimezzano i consumi di energia, i rifiuti, l'inquinamento e l'esaurimento delle materie prime. Se poi il riciclaggio è fondamentale nel caso dei metalli, ancora di più lo è nel caso dei rifiuti umidi.
Se non allontanassimo tutta quella massa di potenziali nutrienti organici dal ciclo naturale potremo fare a meno delle 23 milioni e mezzo di tonnellate di fertilizzanti chimici gettati ogni anno nelle nostre campagne. Se viene praticata la separazione del materiale organico dagli altri rifiuti si può preparare il compostaggio, da riutilizzare in agricoltura come concime. Eppure sembra che queste considerazioni non siano sufficienti a riflettere sul fatto che il riciclaggio deve avere necessariamente alla base una buona raccolta differenziata, che questa va condotta anche porta a porta, e che queste operazioni hanno un costo, tollerabile soprattutto quando si passa da tassa a tariffa e, dunque, quando si paga in base a quanto effettivamente si butta. La raccolta differenziata ha un costo che qualche volta può essere maggiore rispetto al cassonetto, ma consente di non essere sommersi dalle discariche o avvelenati dai fumi dell'incenerimento su scala industriale. Oltre a garantire una migliore qualità della vita e un ritmo più armonico dell'uomo nel contesto di un pianeta in cui resta l'unico animale a produrre materiali che non possono essere riassorbiti naturalmente nel ciclo della biosfera. Per non parlare di un altro vantaggio diffuso: per ogni milione di tonnellate di rifiuti si creano 80 posti di lavoro, per esempio, con l'incenerimento e ben 1.600 con la raccolta differenziata e il riciclaggio. Tutto questo però ha senso se ci comincia a ragionare in termini di valori (la tutela dell'ambiente e della salute) e non di prezzi (il costo delle operazioni ambientali virtuose). E se si fa riferimento a quei movimenti culturali che fanno del raggiungimento dell'obiettivo rifiuti-zero uno dei risultati maggiormente auspicabili per le società moderne. Ma non è questo il Paese che si domanda se sia giusto far pagare alle industrie la crisi climatica causata, in ultima analisi, dalle industrie stesse? Così facendo quei costi li pagheremo tutti noi, ma di questo, curiosamente, i cittadini non si lamentano mai.