I commenti fuori tema saranno cestinati
Le stiamo davvero provando tutte.
C’è ancora chi non si vuole arrendere e s’impegna a tenere aperto questo laboratorio che pare dar sempre più fastidio (aspettate che passino le elezioni). L’ultimo tentativo l’ha fatto Mario Lagi, un ragazzo di 22 anni di Roccasecca, studente di Lettere, che ha scritto un romanzo imperniato sulle canzoni di Vasco Rossi, mio conterraneo.
Mario mi ha chiesto di scriverne la prefazione, cosa che ho fatto, e si è impegnato a devolvere una parte dei diritti d’autore alla ricerca sulle nanopatologie.
Il romanzo si chiama “Vivere una favola", l’editore è Mondostudio Edizioni, 13 Euro è il prezzo di copertina. Chi vuole, può ordinarlo direttamente mandando una mail all’editore ([email protected]). Mario Lagi si farà conoscere come scrittore e qualche soldo andrà a tenere accesa quella esile fiammellina che arde sotto la nostra ricerca.
Di seguito, la mia prefazione:
"Io sono nato nel 1949 e, dunque, ho qualcosa di più dei cinquantasei anni che si trovano nella prima pagina di questo libro.
Sono vecchio. Vecchio nel senso della biologia umana. Un lampo nella padella, come dicono gl’inglesi, nella biologia dell’universo.
Alla mia età l’amore diventa qualcosa di molto diverso, anche se di quello delle canzoni e del libro di Mario Lagi che sulle canzoni corre, quello del milione di baci dell’ultima riga, resta indelebile il profumo. Se alla mia età si alza la testa per un attimo ci si accorge, e ci si sorprende, di essere scivolati, avanzando impercettibilmente, in un bozzolo universale, se un bozzolo, piccolo e stretto com’è, può racchiudere il concetto più incomprensibilmente grande che siamo capaci di pronunciare e però mai di capire: l’universo.
La mia generazione, che poi è la stessa del mio conterraneo Vasco Rossi, non può far finta di niente: è lei, la nostra generazione, ad avere impugnato l’arma che può dare il colpo di grazia al mondo e a tenere il dito teso sul grilletto. Siamo noi, i ragazzi del 68, quelli che ascoltavano le prime canzoni di Vasco gracchiate a transistor attraverso quelle che si chiamavano allora “radio libere”. Chissà se Vasco si ricorda di Massimo Dammacco, chitarrista, di Marco Dieci, gentile quanto preparato musicista, o di Carlo Savigni, fondatore, voce e anima di Modena Radio City…
In quella radio feci qualcosa anch’io: musica country americana degli anni della Depressione e musica popolare inglese di qualche secolo addietro. Piaceva solo a me. Poi si metteva un nastrino, non so se regolare o pirata, di Vasco e l’ascolto andava alle stelle.
Siamo noi, Vasco, che abbiamo soffiato sul castello di carte, e lo abbiamo fatto credendo di soffiare sul cemento armato. Noi abbiamo fatto un atto di fede assurdo e creduto che il mondo, in piedi imperterrito da miliardi di anni e di cui noi siamo inquilini da ventimila secoli, resistesse a tutto, ai nostri insulti capricciosi di bambini viziati che giocano con un fucile carico, così come aveva sempre fatto prima.
E, invece, no: il mondo è fragile come la più fragile delle casette dei Tre Porcellini. E il Lupo Mannaro siamo noi, noi che non mangeremo il porcellino perché siamo lupo e porcellino insieme, carnefici e vittime, cannibali di noi stessi.
Ormai da anni io sto conducendo delle ricerche sul cancro della Terra, un cancro che è più virulento della guerra, del disastro economico in cui ci stiamo calando o di qualunque malattia presa da sola. Le scoperte di mia moglie, Antonietta Gatti, sono inequivocabili: le polveri sottili, sottilissime, che noi, gli apprendisti stregoni, stiamo producendo scriteriatamente e con lena crescente sono fonte di malattie terribili e perfino dell’attacco al genoma umano, vale a dire del libretto d’istruzioni secondo cui un essere umano è costruito e funziona. Vasco, Mario, ascoltatemi: noi rischiamo di non essere più noi nelle generazioni che verranno e ciò che ne sortirà non sarà nulla di buono.
Io lavoro su queste scoperte dedicandomici anima e corpo, e l’ho fatto e lo faccio fino alla rovina economica, fino all’esaurimento fisico. Non importa: questo è l’amore dei miei sessant’anni.
Ma le ricerche costano quattrini, quelle ricerche che stanno già salvando da una morte orribile qualcuno e che stanno già cominciando a minare alla radice la follia di politici che, per intascare quattro soldi, non esitano a devastare l’ambiente, un ambiente in cui siamo costretti a vivere tutti senza possibilità di fuga, una sorta di vaschetta dei pesci rossi. Costano quattrini. Tanti. Tanti quanti io stesso non avrei mai potuto immaginare.
E allora, in mancanza del dovuto sostegno istituzionale, anzi, a causa del boicottaggio di chi dovrebbe preoccuparsi solo del bene comune, questi denari vanno raccolti dalla gente. Vanno raccolti da chi rinuncia ad una serata in pizzeria o in discoteca, vanno raccolti da chi fa a meno di qualche spicciolo che si ritrova in tasca. Una vergogna? Sì: una vergogna.
È così che Mario Lagi, al termine della sua fatica letteraria, ha deciso di donare parte dei proventi alla nostra ricerca, la ricerca su quella disciplina scientifica che si chiama nanopatologia.
A lui un grazie commosso e l’augurio a tutti, a Mario, a Vasco, a chi sta leggendo questo libro e, soprattutto, a chi verrà dopo di noi, di tornare a vivere in una favola senza lupi."
Non so come finirà la cosa: se tu avrai successo come scrittore, se il laboratorio riuscirà a restare, bene o male, in linea di galleggiamento. In ogni caso, comunque si concluda questa mia avventura che non ripeterei per tutto l'oro del mondo, una cosa bella c'è stata: aver conosciuto persone grandi come te. Il mondo non è morto.