È con grande interesse che leggo, purtroppo con ritardo solo ora, l’articoletto pubblicato su Il Corriere della Sera
Ora sappiamo che i pesci soffrono se sono costretti a convivere con un po’ di nanoparticelle lasciate cadere nella loro vaschetta, e a mettercene a parte è la Purdue University nello stato americano dell’Indiana.
Non ditelo a nessuno, ma noi queste cose le avevamo viste e documentate fin dal lontano 1997, non nei pesci ma nell’uomo. Non con particelle fatte apposta ma con particelle prodotte involontariamente, il che, aspettiamo che qualcuno che conta lo scopra, non fa differenza. I ricercatori americani si sono addirittura accorti che queste polveri si accumulano nel grasso. Beh, anche questo per noi è storia un po’ vecchiotta anche se la nostra cavia era l’uomo e non il pesce.
Aspettiamo con ansia che, magari fra qualche anno, questi scoprano le nanopatologie.
Quando, oltre una decina di anni fa, mia moglie (perché fu lei da sola) fece la scoperta secondo cui le micro e nanopolveri inorganiche insolubili nell’acqua e nei grassi che entrano nell’organismo vengono in parte sequestrate e sono patogene, e, grazie a questa scoperta, si poté guarire un paziente ammalato da oltre otto anni di una collezione di mali apparentemente non correlabili tra loro, cominciarono i guai. Fu, e resta, una lunga serie di attacchi, di mobbing, d’irrisioni, di esclusioni e di tutte quelle forme di lotta che un’accademia in via di putrefazione, una politica corsara e un business inteso come rapina continuata che non esclude l’assassinio di massa, sono capaci di allestire contro chi non accetta di esserne complice.
Particolarmente comica
fu la reazione dell’accademia quando si chiesero venti milioni di Lire (c’erano ancora le Lire) per proseguire gli studi sulla scoperta: la cosa non può essere vera perché non è citata in letteratura. Il che è un sintomo chiaro di come da noi non esista la consuetudine alla ricerca e, a maggior ragione, alla scoperta.
È così che dopo un decennio ti arrivano gli americani, con tutta la luminosità che noi provincialotti attribuiamo loro, con una scoperta che è il primo passo per arrivare dove arrivammo noi nel ‘97.
Per carità, nessuno voglia pensare che io intenda in qualche modo sminuire il loro lavoro, perché non è affatto così. In America si fa ancora ricerca, la si fa con una certa larghezza di mezzi, anche se dei quattrini veri dispongono solo gli scienziati e i tecnici che lavorano per l’industria, e con squadre di persone quasi sempre molto in gamba, non di rado profughe da nazioni in sfacelo come la nostra ex-prodiana ed ora berlusconiana Italietta.
Quello che vorrei dire senza nulla pretendere è che noi siamo abituati a lavorare con quattro soldi (scotch, sputo e bestemmie, dicono scherzosamente alcuni addetti ai lavori) e non è poi così raro che arriviamo con molto anticipo a toccare terra su arcipelaghi, ma a volte sono continenti, sconosciuti. Pezzenti come siamo e strangolati da università in cui regna l’interesse personale, dal nepotismo in su, o in giù, se preferite, se si osa porsi appena fuori del coro e si turbano gli affarucci di chi può è la morte civile. È così che arrivano gli altri, spesso gli americani, che sono un po’ più svegli di noi, riscoprono ciò che per noi è ormai assodato e lo sfruttano come si deve, addirittura rivendendocelo a caro prezzo non appena lo hanno impacchettato in forma commerciale.
Ma da noi la ricerca è considerata inutile, mentre la cultura è addirittura vista come un danno. Non si giustificherebbe altrimenti il crollo verticale della nostra istruzione pubblica, con le università ormai in mano ai predoni. La spiegazione è ovvia: la conoscenza è un’arma micidiale contro le scelte bi-partizan che ci stanno sprofondando nelle sabbie mobili: inceneritori, TAV, MOSE, Ponte sullo Stretto ed ora l’ultimo attentato: il nucleare. E, allora, si elimini il male alla radice creando una generazione d’ignoranti, ignoranti come quel neoingegnere che c'informa, in perfetta buona fede, su come, bruciando i rifiuti, si trasformi la materia in energia come dice Einstein (!), ignoranti come quei luminari che affermano (a pagamento) che da un inceneritore esce solo vapore d’acqua e un po’ di anidride carbonica, inquinando come quattro auto a metano (o un frullatore?), ignoranti come quel consulente di pubblico ministero che fa archiviare un processo per inquinamento pur disponendo di prove lampanti.
Che fare? La soluzione più facile è andarsene, ma, almeno per ora, io non lo farò, anche se si cerca in ogni modo di farmi chiudere tutto.
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