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Rule, Britannia!

I commenti fuori tema saranno cestinati

Io ci ho provato e mi sono pure illuso, ma adesso getto la spugna: amici britannici, io non vi capisco.

Molti anni fa, quando gli Anni Sessanta finivano di ruggire e gli Anni Settanta, per noi meno ruggenti e più crepitanti, subentravano loro, io passavo le estati in Inghilterra, in un college della London University per imparare la vostra lingua, ridicolizzata per la sua assurdità da Bernard Shaw – non inglese, direte voi, ma certo anglofono –  eppure indispensabile per vivere da protagonista o presunto tale in un mondo prospettato come grondante speranza.

Già allora, pur nella mia giovanile ammirazione per voi come popolo, non potevo non accorgermi discretamente di qualche falla nella vostra civiltà. E non parlo solo dell’assenza del bidet che obbliga culture differenti dalla vostra ad acrobazie post-fisiologiche o delle presenze olfattivamente maestose di certe ascelle nella metropolitana in tempo d’estate (solo chi è sporco si lava, diceva il nostro principe De Curtis, in arte Totò). Parlo di una certa inadeguatezza culturale che serpeggia non solo tra le classi meno fortunate e che sorprende se si osserva la percentuale di lettori di libri sui mezzi pubblici di trasporto.

Mi pare che voi britannici tendiate a ricordare come il vostro sia diventato, restandolo per qualche tempo, l’impero più vasto che il Pianeta abbia conosciuto ma, forse per un’istruzione indirizzata altrove, non ricordiate come lo sia diventato e che cosa da questo impero sia scaturito. Senza voler insegnare nulla a nessuno, il vostro, come tutti gl’imperi di questo mondo, è stato conquistato con la violenza, una violenza esercitata per forza di cose nei confronti di chi era militarmente e tecnologicamente meno attrezzato di voi. Non credo vi sia difficile accettare il concetto secondo cui un uomo è fatto di carne, ossa e recettori nervosi senza differenze tra l’appartenenza a popoli eletti e quella a popoli altrimenti classificati, e che dolore e umiliazione fanno male in ugual misura. Bene, voi avete inflitto pena e privazione a più o meno un quarto del mondo di cui vi siete goduto il bottino.

Lungi da me il farvene una colpa: la mentalità di allora prevedeva anche questo. Mi piacerebbe, però, che ve ne ricordaste.

Oggi voi fate parte di una comunità di stati e di questa appartenenza godete i frutti in termini di quattrini che gli altri soci

versano per il vostro paese. Non ci ho fatto il conto, ma non sono pochi. Mi rendo conto che il dover rinunciare a qualcosa in termini di prestigio, per opinabile che l’idea sia, possa anche disturbare, ma nessuno vi ha costretti. Come i genovesi, navigatori e pragmatici quanto voi, ci avete visto il vostro interesse.

Una delle regole fondanti di questa comunità è quella della libera circolazione delle persone e del conseguente diritto di prestare la loro opera ovunque in quell’ambito territoriale senza discriminazione possibile. Di questa regola diversi vostri compatrioti si sono valsi e si valgono anche qui da noi senza che nessuno abbia a che ridire.

Ma, un po’ ad imitazione dei maiali del vostro Orwell, voi pretendete di essere “più uguali” e volete ciò che da noi si esprime come “la botte piena e la moglie ubriaca”. Si fa un appalto pubblico, questo appalto è vinto da una società italiana e, leggi alla mano, quella società non solo ha il diritto ma ha il dovere contrattuale di svolgere quel determinato lavoro con le modalità pattuite.

A questo punto non c’è discussione possibile.

Invece la discussione, per impossibile, insostenibile e addirittura, consentitemelo, poco dignitosa che sia, esiste. Da giorni alcune decine di lavoratori comunitari, casualmente italiani e portoghesi, sono assediati all’interno di una nave perché la loro incolumità è minacciata. Nessuno di loro è un clandestino: li avete chiamati voi giudicando l’offerta dell’azienda per la quale lavorano la più conveniente per il vostro paese. Nessuno di loro riceve un penny in meno di quello che è il salario britannico e, dunque, nessuna concorrenza sleale.

Che ne direste se nel resto del mondo si decidesse di riservare analogo trattamento ai vostri compatrioti e alle vostre aziende? Pensateci un attimo e vedete se non è il caso di provare un po’ di vergogna per un atto di arroganza indegno di un popolo qualunque. Men che meno i britannici.