Il settimanale L’Espresso esce con un paio d’articoli “choc” sul business campano dei rifiuti. Mi sono permesso la licenza delle virgolette perché, almeno nei termini generali, quelle cose le sapevamo tutti, ben compresi tanti campani che ora strillano e si disperano perché la loro terra, la Campania Felix, è stata ridotta ad un immondezzaio senza ritorno. Sì: senza ritorno possibile perché gran parte di quelle porcherie con cui è stato diligentemente impregnato ed imbottito il suolo fino a profondità inimmaginate (non ho scritto inimmaginabili) non sono bonificabili. Scusate se sono pedante e se sottolineo: ho scritto “non sono bonificabili.” L’ho scritto perché non esiste alcuna tecnologia possibile per togliere quei veleni né, per questo, esistono tecnologie in arrivo e, dunque, quando qualcuno proporrà azioni su acqua e terra lo farà esclusivamente per dirottare altro denaro pubblico, sempre che ne resti, nella cassa comune di politica e malavita.
Lo scempio va avanti da decenni (ho scritto “va avanti” e non “è andato avanti”, perché lo scempio continua imperterrito) con la collusione di quei contadini campani che prostituiscono la propria terra e sono sempre pronti a piagnucolare poi giustificazioni a dir poco squallide, dei politici, locali e non, che su quel crimine immondo incassano cifre da capogiro, degli enti di controllo che sono con tutta evidenza molto ben disposti verso i generosi criminali, della magistratura che ben si guarda dall’affondare il colpo, limitandosi a valutare singoli episodi e perdendo di vista il panorama, e perfino dei laboratori che eseguono (dovrebbero eseguire) le indagini, laboratori che sono disponibili
a far risultare qualunque cosa faccia piacere a chi paga o a chi potrebbe rendere loro visita accompagnato da un mitra.
Che fare? Al di là dell’ovvio, vale a dire di finirla oggi stesso con gli sversamenti, dal punto di vista tecnico, l’ho detto, da fare non c’è gran che, se non togliere da lì l’immondizia superficiale e portarla altrove. Dunque, spostare il problema da un’altra parte. Tutto quanto è finito capillarmente in profondità e, magari, ha avvelenato le falde acquifere, non si toglierà più e resterà dov’è nei secoli, a dispetto delle sciocchezze che non di rado si sentono echeggiare nei media o nelle aule frequentate dai cosiddetti politici.
Se il problema tecnico è insolubile, quello umano lo è quasi altrettanto. Come fare a spiegare ai proprietari dei terreni che lasciare che di notte arrivino i camion dei veleni è un fatto che non può avere scusanti di sorta ed è un crimine di gravità pari a quello di una strage perpetuata nelle generazioni future? Tengo famiglia… Fino a che si continuerà ad assolvere questi mascalzoni incolpando genericamente gl’industriali del Nord (banditi da incenerire subito se non altro per la loro viltà) e si dipingeranno i campani sempre e solo come vittime, fingendone una non correità, più o meno grave che sia, non risolveremo nulla. Qui mi aspetto una piccola valanga di proteste perché ormai l’ipocrisia, il rifiuto di vedere con oggettività i fatti, la retorica trombonesca sono diventati un’istituzione, ma a me non importa nulla: io non devo risultare simpatico, nessuno mi ha a libro paga e questo mi rende libero di dire ciò che reputo sia giusto dire e del resto me ne infischio.
E c’è la politica da sradicare. Fino a che i rifiuti, i diepietreschi inceneritori, le discariche clandestine legalizzate e tutte le infamie che conosciamo benissimo continueranno ad essere una fonte di guadagno per quella che noi italiani, nella nostra sublime ignoranza, chiamiamo politica, non ne usciremo. E non ne usciremo fino a che continueremo ad avere tra di noi un ente come l’ARPA, un ente di controllo che non si accorge delle diossine campane o di quelle di Pietrasanta (tra un po’ qualcuno dovrà per forza accorgersi di quelle, ben superiori per quantità, di Taranto), che non è capace di scoprire da dove vengano i veleni di Nonantola (Modena), che si trastulla con il cromo esavalente, che offre risultati di analisi mai eseguite (vedi rogo De Longhi), che è entusiasta dell’asfalto fatto di ceneri tossiche, che canta la sua perenne ninnananna a chi, invece, paga per essere protetto.
Infine c’è la magistratura che non capisce la gravità di avvelenare l'acqua nella vasca dei pesci rossi da cui noi, pesci rossi, non possiamo sfuggire. Chi avesse avuto modo di leggere il documento con cui si chiede l’archiviazione del procedimento penale contro l’ENEL, accusata inizialmente di aver provocato tumori nella popolazione del Delta del Po, avrebbe di che meditare. Al di là di qualche sospetto che potrebbe anche nascere ma che io respingo per prudenza, le ultime pagine di quel documento sono qualcosa che grida vendetta al cospetto del ragionamento scientifico e che nel prossimo futuro sarà sicuramente proposto quale esempio d’incompetenza. Malauguratamente, non si tratta di un caso isolato e il rischio che chi devasta l’ambiente, ambiente di cui l’uomo è parte integrante, la faccia franca venendo assolto per pura incapacità di chi viene ritenuto all’altezza di prestare consulenze è fortissima.
Insomma, se non recupereremo le chiavi di casa, se continueremo a portare con il cappello in mano il nostro consenso a chi, pur cambiando di continuo travestimento, resta sotto sotto lo stesso truffatore che da decenni si prende gioco di noi e se, peggio ancora, non riusciremo a capire che certi pifferai magici saranno alla lunga ben più devastanti di chi ci rapina ora, non avremo scampo.
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