Sono di ritorno da Ischia, non per vacanza, ma per una scuola di biomateriali. Le lezioni si sono tenute, come ogni anno, in uno splendido albergo termale costruito in un’enorme giardino dove ad alberi secolari si alternano piscine e fontane. In questo assaggino di paradiso terrestre vengono ad imparare alcune decine di ragazzi non solo italiani, e qualcuno viene ad imparare, sì, ma pure a riferire delle sue ricerche. Studenti ed insegnanti insieme, non di rado concentrati nella stessa persona, e ognuno riceve dall’altro nella maniera più naturale. Non stupirà più di tanto se dico che nessuno di quei ragazzi porta un cognome illustre o vanta conoscenze “che contano”. Se si trovano lì è solo perché sono in grado di capire, di recepire gli stimoli e di stimolare a loro volta. Dunque, niente padri o padrini ma solo una banale nobiltà di cervello. Nello stesso albergo c’erano altri ragazzi, tutti più o meno della stessa età dei primi. Erano i giovani di un’associazione chiamata Rotaract, i cuccioli del Rotary Club, quella versione edulcoratissma di una specie di tenera massoneria e ancor più edulcorata, ingenua e fisicamente inoffensiva di alcuni degli atteggiamenti tipici di coppola e lupara. Niente d’illegale, per carità, ma giusto una sorta di mutuo soccorso tra gente di buon ceto: gente come si deve, insomma.
Nella pausa meridiana delle lezioni e verso sera, quando la scuola si prendeva una pausa o dichiarava chiusa la giornata, i ragazzi dei biomateriali andavano alle piscine. Lì c’erano già, e da un pezzo, i loro coetanei. Pur quasi nudi com’erano, nessuno avrebbe avuto difficoltà a distinguerli. Prima di entrare in acqua, i primi si facevano la doccia ed indossavano una cuffia di gomma, così come prescriveva un cartello sistemato in bella mostra. I secondi si tuffavano (proprio sotto la prescrizione “vietato tuffarsi”) tutti belli sudaticci e con le chiome irte di brillantina libere da ogni prigionia. Da una parte, ragazzi che nuotavano o si godevano tranquillamente l’acqua conversando sottovoce. Dall’altra, grida e schizzi, e, addirittura, un ragazzotto che, con spirito generosamente cavalleresco, faceva il pedicure ad una collega rotaractiana al momento e rotariana in pectore, liberando le scorie che turbavano l’estetica del piedino fatato nelle calde acque vulcaniche della piscina termale. Poi, risaliti all’asciutto, eccoli accendersi una sigaretta ristoratrice all’interno dalla piscina coperta (vietato fumare? e con ciò?), con i mozziconi, del resto ormai inutili, abbandonati dove capitava. Anche di notte, a cena consumata, chiunque avrebbe potuto tirare una linea di distinzione. C’era chi, fatte quattro chiacchiere discrete, se ne andava a letto per essere fresco alle lezioni del mattino dopo, e c’era chi, essendosi parinianamente alzato giusto giusto per pranzo, si dava ai garruli trastulli nelle piscine ormai chiuse, scorrazzava con circense allegria per i corridoi (le fanciulle in un delizioso ticchettio di tacchi rigorosamente firmati) e concedeva agli ospiti dell’albergo, senza originalità addormentati quando erano appena, magari, le due del mattino, accesso alle loro conversazioni o all’audio democraticamente tenuto alla portata di chiunque di trasmissioni TV cui pochi, data l’ora, hanno di solito occasione di accedere. Ritornando indietro di un po’, mi sono ritornate alla mente alcune immagini del trentennio abbondante trascorso nelle sale operatorie qua e là per l’Italia. Accadeva che qualche volta, ad intervento in corso, il primario entrasse, e giustamente, a controllare che cosa combinassero i suoi sottoposti. Abbassando lo sguardo, ogni tanto si sarebbe potuto constatare che questi luminari passeggiavano tranquillamente indossando le scarpe, non proprio tecnicamente sterili, con cui passeggiavano in città e qualcuno, addirittura, non se la sentisse di spegnere la sigaretta. (Ho visto addirittura operare con il sigaro acceso). Che c’entrano queste cose tra loro? Beh, c’entrano. Raggiunta una determinata posizione, e a volta nemmeno raggiunta ma ricevuta in eredità per diritto di nascita, se il cervello non è abbastanza di polso accade che qualcuno scivoli nella visione di se stesso come un “diverso”. In senso positivo, va da sé. Così, nessuna regola può valere altro che quella medievale che stabiliva “quod placuit principi legis habet vigorem”: ciò che è piaciuto al principe ha vigore di legge. E allora, chi principe non è si deve sorbire i piedi e le ascelle dei ragazzi del Rotaract e i loro ingombranti sollazzi, così come, in sala operatoria, germi d’ogni genere si debbono inchinare alla distratta noncuranza del primario e il paziente dalla pancia spalancata è tenuto a respirare come un tributo dovuto il mezzo toscano fumante. Sono un vecchio brontolone? Sì, e con ciò? Se a questi atteggiamenti non mi adatto è perché non riesco a rinunciare alla ragionevolezza e all’educazione, e non riesco a reprimere il disagio quando sono confrontato con situazioni di disuguaglianza. E poi, l’essere vecchio m’infila un tarlo nella testa il cui ingresso è facilitato da una lunga esperienza: e se i ragazzotti di buona famiglia del Rotaract, a vent’anni da qui, diventassero i capi dei coetanei di ottimo cervello ma di nascita non dichiarata dei biomateriali? Io cose simili le ho viste tante volte: tante volte oggi il comando si eredita. I meriti? La cultura? L'intelligenza? La capacità? L'educazione? Cercate altrove. E allora,che fare? Credo che ognuno di noi, di noi soverchiante maggioranza senza santi in paradiso, intendo, dovrebbe smetterla con il fatalismo imbelle che lo porta a subire facendo il gioco della minoranza rapinatrice impadronitasi di diritti che non ha e che assume atteggiamenti di fatto illegali. Sì, ho preso esempi magari piccoli, ma è da un seme che nasce una pianta e da lì un bosco. Piano piano, con il nostro permesso a capo chino, di fatto senza nemmeno bisogno di chiederlo quel permesso, e semplicemente passandoci sui piedi, una classe dirigente usurpatrice e capace d'altro che di dirigere si è seduta sul trono del nostro mondo. E se le mostrassimo la porta?