Era fin troppo prevedibile che sarebbe finita così.
Spogliati di tutta la retorica assassina che per decenni ha nascosto con miele avvelenato gli orrori di Napoli, diciamocelo senza ipocrisie: Napoli è la città dolente del terzo canto dell’Inferno dantesco, una città in cui chi entra lascia ogni speranza.
Napoli è stata scientemente scelta
per costituire un esempio: si fa produrre ai cittadini immondizia a velocità crescente, si approfitta del loro non voler guardare oltre la punta delle proprie scarpe (mi aspetto i soliti insulti dei “medici pietosi”, ma non me ne importa un fico) e li si lascia liberi e impuniti di abbandonare tutte le loro porcherie sui marciapiedi, di lasciarle cadere dalla finestra, d’invadere le strade quando i marciapiedi non hanno più un centimetro disponibile. Anzi, si continua a soffiare nel trombone della retorica più ipocrita. Per essere più efficaci bisogna che l’amministrazione pubblica sia efficientemente inefficiente e, dunque, deve avere continuità. Allora si comprano i voti regalando stipendi a nullafacenti e concedendo appalti a ditte di guappi che fingono di fare il lavoro che l’amministrazione pubblica non finge nemmeno più di fare. Ci si guarda bene dall’insegnare che cosa significa inquinamento, quali sono i prodotti da non comprare, di che cosa si può fare a meno, come si fa la raccolta differenziata e perché si deve controllare che ciò che si differenzia abbia una meta virtuosa.
Si va avanti così per anni. Napoli, una città che non è mai stata linda, diventa ogni giorno di più un immondezzaio repellente ma pare che nessuno si accorga di nulla. Nessuno insegna ai bambini che le cartacce non si buttano per strada e sui napoletani si continua a sbrodolare una retorica di regime che riscuote applausi ovunque. Applausi perché quella retorica era e resta funzionale al perpetuarsi di una situazione che portava e porta pacchi di quattrini alla malavita e alla politicuzza certo non solo locale, due entità ormai impossibili da districare e da distinguere. E chi non applaude è un razzista.
Intorno a Napoli e in parecchie zone della Campania arrivano ogni notte carovane di camion dal ricco Nord, quello che “non vorremo mica fare la fine di Napoli!”. In quei camion viaggiano veleni che ucciderebbero un toro con la punta di un cucchiaino. Da quei camion i veleni si scaricano sui prati della Campania Felix, quella regione baciata da Dio che ha l’acqua a un palmo dal suolo. I veleni fanno il loro mestiere: avvelenano l’acqua e le campagne. La gente comincia a stare male e nessuno le dà ascolto. Anzi, se non si tace arrivano le minacce. Ma la gente ha visto per decenni e non ha fatto niente perché tutto questo non avvenisse. “Bisogna pur mangiare,” e la pagnotta viene scambiata con un cancro o con un essere malformato.
Quando Napoli è cotta a puntino, si finge di fare qualcosa. Si finge di fare qualcosa perché il copione prescrive che tutti percepiscano l’allarme. Si manda l’Esercito. A fare che resta tutto da spiegare. I vari politicuzzi si palleggiano le responsabilità. Le responsabilità ce le hanno tutti ma nessuno paga né pagherà mai e tutti lo sanno. L’impunità fa parte del copione. Intanto i camion continuano ad arrivare esattamente come si è fatto per anni, i proprietari dei terreni ricevono i loro quattro soldi e in città i rifiuti continuano a cadere dalle finestre.
Berlusconi racconta una delle sue barzellette: “Pulirò Napoli in cinque giorni!” Come le altre, anche questa non fa ridere.
Intanto s’invocano gl’inceneritori, anzi: i “termovalorizzatori”. Esattamente una delle cose che si volevano. “Non vorremo mica fare la fine di Napoli!” I soliti noti si sfregano le mani: “Missione compiuta!”
A furor di popolo si elegge un sindaco outsider. La malavita lascia fare divertita. Lui, inesperto di quella che da noi si chiama politica, casca nel tranello: “Pulirò Napoli in cinque giorni!” E così la fossa è scavata. Dal girone infernale di Napoli non si esce.
Inutile continuare a raccontarcela: la situazione è disperata, e l’aggettivo significa etimologicamente che non c’è speranza. Non oggi, non nelle condizioni in cui si continua a restare impantanati.
La malattia è oggettivamente gravissima perché si tratta di cambiare i cervelli, e questa è l’impresa più difficile del mondo. Fino a che i napoletani non daranno il colpo di reni e non accetteranno di capire, non ci sarà speranza. La cosa curiosa è che intorno a Napoli ci sono comunità che hanno capito perfettamente e ce ne sono perfino in città, ma il tessuto patologico pare essere troppo incancrenito per lasciare spazio a quello sano. Napoli sembra non avere omeostasi, la capacità di autoguarigione che hanno tutti gli organismi. Ma chi cambierà quei cervelli? Le istituzioni, se anche lo volessero, non ne avrebbero le capacità, siano queste economiche o siano queste culturali, e i napoletani “io speriamo che me la cavo”. Così, se anche si vuole navigare, si naviga a vista, s’inverte la rotta ogni due colpi di vento, s’imbarca acqua.
A questo punto io non ho idea di che cosa si proporrà o magari si farà per superare l’acuzie – un’acuzie cronica, se una cosa del genere può esistere – ma, se si vuole sperare di avere un futuro, non c’è che da rimboccarsi le maniche da parte di TUTTI, liberarsi del malaffare che si è insinuato dovunque e studiare. Studiare, però, con dei buoni maestri.
Chi ha voglia di leggersi il comunicato numero 56 del 13 luglio scorso del Comune di Napoli vedrà che la Commissione Ambiente ha “auspicato, per ridurre la mole dei rifiuti del 30%, l’eliminazione delle bottiglie di plastica, proponendo l’utilizzo dei cartoni tipo tetra-pack che sono totalmente riciclabili.”
Ecco: così non si arriva da nessuna parte.
Napoli non è solo dei napoletani: è di tutti. E la prima grazia che possiamo fare per il bene di tutti è smetterla con quella retorica nauseante e con quegli applausi criminali che hanno ridotto una città che non ha uguali ad un immondezzaio schifoso che ci fa vergognare davanti al mondo. E dobbiamo essere tutti uniti, con i napoletani in testa, a liberarci di quel mostro infernale che è la politica malavitosa. Questo a cominciare da chi dalla malavita riceve uno stipendio.
Lungo? Doloroso? Molte cure efficaci lo sono, e se si vuole guarire davvero non c’è altra strada.
Per finire, risparmiatemi lo squallore di dover specificare che ci sono tanti napoletani diversi da ciò che è il napoletano inteso come comunità. Questo è un sito per persone oneste e intelligenti.
Tutto veroGia’, Napoli e’ considerata un rumentaio da decenni e nel tempo nessuno ha mai fatto nulla di concreto per cambiare le cose.Per peggiorarle si…purtroppo.La mentalita’ del napoletano “tipo” e’ tale da favorire certe situazioni ma nutro ancora qualche speranza sulle generazioni future.Vero e’che vedendo Napoli piu’ di una volta mi sono immaginato di essere un paziente a cui tentano di salvare un arto in cancrena…se per miracolo ci si riesce, gioia e gaudio ma se si vede che non ce la si fa e tutto il resto e’ minacciato…la soluzione e’ chiara.Possiamo pero’ noi, popolo italiano, lasciare che una… Leggi il resto »
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