http://www.youtube.com/watch?v=iKRNIBaS-gM
Nel suo apologo tramandatoci da Tito Livio, Menenio Agrippa assimila la società umana ad un altrettanto umano organismo. Spingendoci appena un po’ più in là nella metafora, non potremo non osservare come anche il corpo sociale si ammali e tra le patologie comuni ci stia quella dell’idiozia. Organi o, meglio, organelli nei quali gl’idioti si annidano in concentrazione più o meno alta e con effetti variabili che vanno dall’irrilevante al fastidioso sono i classici e sempre citati bar, gli stadi di calcio, la sezione commenti di un sacco di blog da quello di Beppe Grillo in giù, e si potrebbe continuare in un elenco se non infinito almeno lunghissimo. A volte l’idiozia sconfina nella pazzia e pare che la frazione dell’organismo restata per ora, ma per quanto ancora non è dato sapere, più o meno sana fatichi ad isolare le cellule patologiche. A riprova, è di pochi giorni fa l’inserzione curata dalla ASL 7 di Torino sul giornale Secondamano alla sezione “babysitting e lavori domestici” volta a trovare una famiglia disposta a prendersi un matto in casa per 1.000 Euro al mese. Lasciando perdere ogni considerazione possibile sullo sfacelo delle istituzioni di cui siamo giulivi e spesso consenzienti protagonisti, a questo punto ci si potrebbe chiedere come si riconosca un idiota e quando l’idiota abbia varcato la soglia diventando classificabile come matto. Ad esempio, dove si colloca il ministro Bersani? Sano? Idiota? Matto? Certo, se non si valutassero tutte le motivazioni che lo hanno spinto a recitare la parte obiettivamente squallida di cui si è reso protagonista, la diagnosi non lascerebbe scampo. Ma se si disponesse di tutti i dati “clinici”, ecco che, probabilmente, la diagnosi, pur restando infausta, cambierebbe radicalmente: il ministro i suoi motivi ce li ha, eccome. Magari non proprio confessabili apertamente, ma ce li ha e, se ci togliamo per un attimo le fette di prosciutto dagli occhi, ecco che quei motivi sono visibili a tutti. Però, al di là della valutazione della sua moralità e del suo quoziente intellettivo di cui non ho traccia e che, comunque, non paiono elementi importanti quando si attribuiscono cariche di governo, il buon Bersani di cultura tecnica non ne ha, di cultura sanitaria nemmeno, di educazione ai diritti e ai doveri della democrazia non ne parliamo neppure e, quanto alla visione dello stato presente del Paese relazionato alla direzione presa ed al futuro che attende quel popolo che lui, insieme con altri suoi simili, è stato spiritosamente chiamato a governare, siamo con ogni evidenza allo zero assoluto. E allora, ecco che la bersanata rientra nella più perfetta normalità di una patologia, se mi è consentita questa specie di ossimoro. Una normalità certo bizzarra ma del tutto funzionale allo scopo da raggiungere, visto che, forte di una nota trasversalità d’intenti, il ministro e la sua amatissima poltrona non rischiano nulla. Ora, per motivi di esemplificazione didattica, vorrei prendere un caso certamente triste ma del tutto comprensibile nel quadro descritto. Si tratta di qualcosa di minimo, se non altro per le dimensioni del personaggio in gioco, ma, comunque, utile per capire. A Forlì è nato l’Istituto Oncologico Romagnolo (IOR) per lo Studio e la Cura dei Tumori sotto la direzione scientifica (scientifico è un aggettivo che da noi non si nega a nessuno) di un tale Dino Amadori. Medico, autore di una miriade di articoli pubblicati in riviste del suo
settore, nessuno dei quali farà storia ma, comunque, accettabili nella routine; nei fatti il nostro personaggio non si è mai distinto per null’altro che per essere un meritevole burocrate della medicina. Adesso, a settant’anni suonati, il Nostro se ne esce con una breve intervista pubblicata in cronaca locale da Il Resto del Carlino, nella quale sguaina la pur modesta spadina in difesa niente meno che di Bersani. Sì, avete letto bene: un medico dalla parte di Bersani! Nell’esternazione, l’Amadori sostiene la tesi secondo cui i medici, tecnicamente colleghi suoi, contrari all’incenerimento dei rifiuti farebbero allarmismo. Chiunque abbia un minimo di cultura e di capacità di ragionamento sereno non può esimersi dall’accorgersi che è fin troppo evidente come il personaggio non abbia la più pallida idea di che cosa stia dicendo, di come ignori non solo la chimica e la fisica, ma ben poco lo abbiano informato sulla medicina del XXI secolo che sta galoppando. Di fatto, un incompetente. Non soddisfatto di un tonfo così ridicolo, il Nostro continua, dall’alto della sua seggiolina, chiedendo che si vada a verificare il curriculum dei medici che pure si sono espressi in scienza e coscienza, come recita il loro antico codice deontologico di cui, ahimé, all’Amadori pare non essere pervenuta notizia. Insomma, una sorta d’italianissimo “lei non sa chi sono io” molto alla Totò e per nulla da scienziato che lo mette a rischio che qualcuno vada a controllare non tanto il suo curriculum – e qui verrebbe da sorridere teneramente – ma la sua cultura. Poi, sempre più affondando nelle sabbie mobili di sua produzione, il direttore “scientifico” afferma che la reazione dei medici è superficiale e che occorrono studi per poter stabilire che sputare centinaia di migliaia di tonnellate di gas e polveri tossiche da un camino fa male alla salute, per finire in un trionfo: “Nemmeno un’auto che passa fa bene. Ma rispetto a una sigaretta fumata l’inceneritore fa 10 volte meno male.” (Vedi pdf.) Giunti fin qui, non credo occorra commentare gran che. È vero, stiamo parlando di uno “scienziato” che è quello che è, ma è preoccupante che un laureato in medicina, per di più investito di una carica, qualunque cosa questa carica possa valere, non abbia idea di come funzioni un ragionamento scientifico e arrivi a sparare insensatezze di questo calibro. Stando a lui, bisognerebbe mettere sotto inchiesta la legge di conservazione della massa (vogliamo il curriculum di quell’allarmista di Lavoisier Antoine, che manco era chimico ma avvocato!), il fatto che un inceneritore emetta più immondizia di quanto non ne sia stata immessa e questa immondizia sia infinitamente più tossica di quella d’origine, e il fatto che molte delle polveri non siano biodegradabili, accumulandosi per questo nell’ambiente senza possibilità di ritorno. Come, poi, il Nostro abbia calcolato la nocività relativa di un inceneritore resta confinato al mistero di una scienza del tutto personale. Da ultimo, il dottor Amadori non si rende conto della zappata sui piedi che si è dato: se, accettando l’assurdo, occorrono studi per stabilire la nocività di un inceneritore o la sua innocuità, nelle more l’inceneritore non si può fare, perché, facendolo, s’infrange il principio di precauzione che in Europa è legge e si commette un reato le cui conseguenze, limitandoci a quelle economiche immediate, saranno pagate da tutti i contribuenti. Ma questo per Amadori Dino, medico e non avvocato come Lavoisier Antoine l’allarmista, è troppo difficile da capire. Una piccola pagina nera della medicina di casa nostra, insomma, solo mitigata dalla statura di chi questa pagina ha scritto, inaspettato complice per quel ministro che al presidente del consiglio, con un ennesimo insulto ai suoi amministrati, non è neppure venuto in mente di accompagnare alla porta come si sarebbe fatto senza nemmeno discuterne in qualsiasi paese non da operetta qual è il nostro.