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legambiente: wanted dead or alive (meglio dead)

Sorpresa? Nessuna. Ormai da anni l’Italia del crepuscolo è un paese virtuale, dove i fatti non hanno alcuna importanza e ciò che conta è il suono che esce dalla bocca, e, se questo suono è uno strepito, meglio così: la chiacchiera, insomma, senza bisogno di giustificazione. Basta incollare un paio di alucce di cartone, sbilenche quanto si vuole, alla banda Bassotti e questi malfattori diventano ipso facto uno stormo di Cherubini. È così che il ministro della giustizia di giustizia blatera senza manco sapere dove questa stia di casa, la ministra della salute di salute (meglio se non andandoci alle radici) si occupa, e di striscio, quando proprio non sa più dove sbattere la testa, il ministro dell’ambiente, pur teneramente impegnato in soliloqui, lascia che i suoi uomini sparsi qua e là su quell’ambiente operino devastazioni e poi li bacia e li abbraccia pure, l’ARPA non ha problemi di sorta a sparare fandonie insostenibili truccando addirittura dati che non esistono (sì, insisto sulla vergogna di Treviso che non può non valere la messa in liquidazione dell’ente) o minimizza se i suoi tecnici sono implicati in taroccamenti di dati che esistono o, meglio, esisterebbero, e così si potrebbe continuare per pagine intere. Da noi la faccia che si mostra non corrisponde a nulla. Su questo filone di verità da “così è (se vi pare)” si è innestato da un po’ il WWF che continua a tenersi l’incredibile Mario Tozzi, testimonial prezzolato della piromania di regime, all’interno di quello che gabella per un comitato scientifico; ma al primo posto, surclassando ogni altro concorrente, da anni si erge, e va acquisendo sempre maggiore faccia tosta, visto che la gente beve di tutto, Legambiente. Elencare le bestemmie

contro quell’ambiente di cui questi personaggi guidati dall’ineffabile Realacci Ermete (wanted) sono responsabili supererebbe l’elenco di Leporello, ma basti ricordare il loro appoggio al (per ora, ma Torino sta arrivando) più fulgido e costoso monumento all’imbecillità italiota, quello che domina la città di Brescia, il sì e il no alla costruzione di nuovi inceneritori dettati solo da opportunismo occasionale, il sì ad impianti eolici condizionato al pagamento di qualche decina di migliaia di Euro, la sponsorizzazione a premi attribuiti a chi sull’ambiente passa come Attila sui prati, e via di questo passo, per avere un’idea del campionario a disposizione. Ultimamente Realacci Ermete è sbarcato a Bolzano e qui ha toccato il vertice di cui è capace: “L’ambiente è una delle ragioni più importanti per fondare il Partito Democratico.” Qui, certamente, viene difficile dargli torto. Basta considerare da che punto di vista si osserva il problema, però. Lui, deputato dell’Ulivo, sa benissimo che cosa significhi il business che si ricava devastando l’ambiente e di certo non vuole vederselo scappare dalle mani. Mica per lui: per il bene di tutti. Il suo compagnuccio Bersani Pierluigi (wanted) ci ha già fornito un sapido antipasto del menu che si sta cucinando apposta per noi, non facendosi scrupolo di compiere un’azione che in qualunque paese improntato ad un vivere civile (non tema, onorevole ministro, l’Italia è esclusa e lei potrà continuare ad imperversare) gli avrebbe fruttato la perdita immediata della carica politica oltre all’espulsione dal partito. Nella mia città, Modena, il presidente della provincia (prossimo feudo del PD così caro a Legambiente), tale Sabattini Emilio (wanted pure lui ma da assolvere per non aver compreso il fatto), non ha voluto perdere un colpo di questa nobile tenzone tra chi la spara più grossa ed è arrivato ad affermare che i medici non hanno alcuna competenza sulla salute. Ma Realacci non si è fermato qui: acqua santa entusiasticamente aspersa sul tunnel del Brennero e un abbraccio commosso agl’inceneritori: non sono loro il problema: il problema è invece la malagestione dei rifiuti. Una gestione sana, allora? Ma nemmeno a parlarne! Che ci verrebbe in tasca a noi? E così anche Veltroni Walter (wanted) esce beatificato nella sua semina di “termovalorizzatori”, il nuovo albero degli zecchini, e Marrazzo Piero (wanted), l’incredibile governatore del Lazio, potrà eseguire con la sua testina a misura televisiva ora cinta da aureola i voleri del suo signore prossimo venturo. Il trucco è vecchio, eppure da noi funziona ancora e bene. Basta infilare la parola magica “ambiente” nel nome della banda ed ecco che nell’immaginazione popolare questa associazione, non importa se delinquenziale, assume l’aspetto di paladina dell’ambiente. Che, poi, questo non risponda ai fatti non ha alcuna importanza: noi non stiamo a perderci in simili sottigliezze. In questi ultimi tre anni abbondanti in cui io ho percorso l’Italia in lungo e in largo confrontandomi con situazioni che spesso sono tragiche e che qualche volta hanno pure un’amara venatura comica, Legambiente l’ho trovata invischiata in tali situazioni con una frequenza che, prima dell’inizio del mio peregrinare, non avrei mai immaginato. Ma l’ho trovata esattamente dall’altra parte della barricata, con personaggi spediti in missione alle mie conferenze per contestare – scivolando miseramente sugli specchi fino a penosi tonfi per terra – i dati che fornivo. Ma è ovvio: da che parte può stare un’associazione che altro non è se non il chiavistello per i politicanti ai quali noi italiani abbiamo, con stolta pigrizia, lasciato campo libero? Un chiavistello che permette a questi mascalzoni non solo di penetrare in quella stanza del tesoro che è l’ambiente ma di farlo perfino con tutti gli onori? Naturalmente non bisogna destare sospetti e allora, come fa qualsiasi infiltrato, si scelgono circostanze per battersi, magari chiassosamente, contro i propri mandanti ma, va da sé, d’accordo con loro, e così il gioco è fatto in barba agl’ignari sostenitori di cui si sorprende la candida buonafede. Una proposta? Certo: chi ha a cuore l’ambiente e non se la sente di offrire complicità a questa sistematica e lucrosa devastazione, restituisca la tessera.

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