I commenti fuori tema saranno cestinati
Introduzione di Stefano Montanari e post di Antonietta Gatti
Da qualche giorno ricevo mail che, sollecitando la mia opinione, mi segnalano un servizio giornalistico comparso su RAINews24 (http://www.rainews24.rai.it/it/canale-tv.php?id=13561) a proposito di ferite misteriose rilevate a Gaza e dintorni.
Guardato il servizio, sono stato stupito dalla sua superficialità e, me lo si permetta, dall’incoscienza con cui si rifilano le notizie in pasto ad un pubblico in grande maggioranza inesperto riguardo l’argomento trattato. Oggi “l’ha detto la TV” è un po’ quello che nel Medio Evo era l’“ipse dixit” post-aristotelico e chi dispone della TV come cattedra o come pulpito non sempre resiste alla tentazione di usare per i comodi suoi ciò che si trova per le mani.
Nel caso in questione sono state mostrate ferite “misteriose” e altrettanto “misteriosi” frammenti fatti risalire, a sorpresa, a “misteriose” armi chimiche.
Naturalmente io commento senza aver avuto materiale da analizzare, ma la leggerezza con cui si è maneggiata l’informazione è evidentissima.
Credo sia logico e prudente, affrontando argomenti di tanta delicatezza, per prima cosa capire di che cosa si tratti, poi procedere con i piedi di piombo e sulla base di dati che abbiano un margine d’incertezza che sia il minore possibile. Prendere, come pare si sia fatto, pochi reperti in modo che mi limiterò a definire non professionale – e questo perché chi lo ha fatto non ha evidentemente la minima nozione di come queste cose vadano fatte – ed esaminarli senza l’esperienza e le conoscenze dovute si risolve nella creazione dell’ennesima bufala di cui, davvero, non abbiamo bisogno.
Con questo non voglio assolutamente sostenere che
gl’Israeliani non dispongano di armi micidiali e mai usate in precedenza. Non lo sostengo perché non lo so. Ciò che dico è che quello che si è fatto in quel servizio TV non è probante e nemmeno onesto. Dunque, invito preventivamente chi mi legge a non cadere nel ridicolo accusandomi di voler nascondere la verità (enormità del genere le lascio volentieri a coloro che mi accusano bizzarramente – nessuno mi ha mai spiegato il perché – di non voler far sapere la verità sulle scie chimiche) ma a capire che non è sparando a casaccio che si arriva ad una conclusione. Anzi, il rischio è di fare come si fece a suo tempo con l’uranio impoverito, quando, grazie all’azione sconsiderata di “attivisti” e di giornalisti in cerca di un po’ di visibilità, la verità vera tardò anni a farsi luce. Questo con grave detrimento degl’interessi delle vittime.
Per ciò che riguarda Gaza, un servizio come quello di RAINews24 è scientificamente smontabile con una facilità irrisoria, e questo spoglia di ogni credibilità chi ha usato quel materiale per battersi, certo con le migliori intenzioni del mondo, allo scopo di ripristinare un briciolo di umanità in quelle terre martoriate. Dunque, si è fatto un pessimo servizio a chi non se la passa certo bene.
Di seguito pubblico alcune considerazioni di mia moglie, la dottoressa Antonietta Gatti. Non è un “lei non sa chi sono io”, atteggiamento che non ci è mai appartenuto, ma noi di questi problemi ci occupiamo da anni, abbiamo esaminato centinaia di casi, lavoriamo, tra l’altro, con l’Osservatorio Militare Italiano (che non è un ente di stato o dell’esercito), e abbiamo scoperto più di qualcosa che ora è stato accettato universalmente perché impossibile da confutare, evidenze alla mano. (SM)
Era l’anno 2000 quando qualche giornalista trovò che nei Balcani gli Americani avevano sparato una grande quantità di bombe all’Uranio impoverito, ed era anche l’anno in cui alcuni dei nostri soldati cominciarono ad ammalarsi. Fu lì che il governo italiano istituì la prima commissione sull’argomento presieduta dal prof. Mandelli.
A quel tempo l’Uranio impoverito era indicato come l’unico responsabile di tutte le patologie dei militari che tornavano dalla loro missione “di pace”, dalla leucemia ai linfomi ad altri cancri assortiti.
Quando, però, accettando per ipotesi di lavoro la tesi dell’Uranio assassino, chiedevi di spiegare il meccanismo d’azione che innescava le patologie, tutti si dileguavano. Quello doveva essere un atto di fede e basta.
Come è possibile – mi chiedevo – che un materiale a così bassa radioattività, tutto sommato tanto diluito nell’ambiente, provochi patologie diverse e tutte di origine ignota? Se la radioattività era la responsabile, che ne doveva essere di chi era stato impiegato nella costruzione di quelle armi? Perché quelli non si ammalavano? Perché nessuno dei soldati malati mostrava i sintomi tipici di chi è esposto alle radiazioni (es. il sanguinamento delle mucose)? Perché nei campioni bioptici di quei soldati io non trovavo traccia di radioattività ma ci trovavo tutt’altro, cioè frammento metallici micro e nanodimensionati? Sull’argomento ho scritto articoli, ho scritto un libro, ho relazionato a congressi internazionali, ho informato politici stranieri, ho trattato in qualità di consulente della commissione senatoriale per due legislature e, alla fine, la verità che sostenevo in base a dati sperimentali di prima mano è saltata fuori in tutta la sua logica e in tutta la sua evidenza.
Ora la RAI ha portato alla ribalta un caso bellico “inspiegabile” e lo ha fatto, temo, usando tecniche giornalistiche fatte apposta per allestire uno scoop. A Gaza qualcuno ha preso da un muro dei frammenti con ogni probabilità provenienti da esplosioni e quei campioni sono stati analizzati da una seconda persona, con i risultati interpretati da una terza.
Quel che ne è venuto fuori è un “caso misterioso” che, in qualche modo, fa audience.
E’ quanto mai probabile che a Gaza siano state usate armi nuove: i tipi di amputazioni rilevati sono un fatto reale ed indiscutibile. Ma da lì a correlare tre frammenti presi da un muro e dire che quella è la traccia dell’arma misteriosa, addirittura un’arma chimica non convenzionale, è, a dir poco, arrampicarsi sugli specchi.
Quando uno scienziato campiona, usa precauzioni ad hoc. In quel caso specifico, almeno guanti per non inquinare il frammento. Poi, sempre in circostanze del genere, lo scienziato acquisisce un campione di muro (o più di uno) per controllare sue eventuali tracce sul detrito che va ad esaminare. Mette tutto in buste pulite, separate e le sigilla.
Quando poi si fa l’analisi, qualunque metodologia si adotti, occorre sapere un po’ di materiali per non incorrere in errori.
Giusto per fare un esempio, il campione con le fibre mostrato nel servizio è, a mio avviso, un banale composito a base di carbonio (ma io non ho avuto campioni da analizzare e sono costretta a farmi bastare quel po’ che è stato reso pubblico.) La mia racchetta da tennis può essere fatta così, come pure un casco da motociclismo, come pure alcuni parafanghi di automobili e tanti altro oggetti di uso sempre più comune. Lo si capisce da come sono disposte le fibre a 90°. (http://www3.ntu.edu.sg/mae/Admin/divisions/AE/AE/images/ACLab_clip_image002_0008.jpg,
http://www.scielo.br/img/revistas/mr/v9n2/29604f1.jpg) Materiali più resistenti hanno un’ulteriore disposizione a 45°. Il marker a 100 micron è una conferma del microdimensionamento e non nano del detrito.
(http://images.google.it/imgres?imgurl=http://www.tech.plym.ac.uk/sme/mats324/Figures/JS_debond.jpg&imgrefurl=http://www.tech.plym.ac.uk/sme/MATS324/MATS324A4%2520fracture.htm&usg=__w5c-M3cIz7EQRQ73N0CDX7HsPcY=&h=945&w=1260&sz=141&hl=it&start=186&sig2=vHLW-kfeKHFuWWbAiwkPgA&tbnid=eiIRyJhGeRaLuM:&tbnh=113&tbnw=150&prev=/images%3Fq%3Dfiber%2Bstructure%2B%2Bcomposite%2Bmicroscopy%26gbv%3D2%26ndsp%3D20%26hl%3Dit%26sa%3DN%26start%3D180&ei=bhY1SuurNIzE_QbRvL3KBw)
Questa immagine illustra un detrito sempre con fibre disposte a 90 °, ma più raffinate. Il marker è 50 micron. Anche gli elmetti dei soldati fatti di fibre di kevlar hanno questa morfologia (http://images.google.it/imgres?imgurl=http://www.doitpoms.ac.uk/miclib/micrographs/small/000621.jpg&imgrefurl=http://www.doitpoms.ac.uk/miclib/compositions.php%3Fid%3D193&usg=__QXtYgO-Rxzt7uTXjlcO2Wkglzzg=&h=100&w=100&sz=11&hl=it&start=3&sig2=Q0GRC9ZcgyRcxw6Xxydg6g&tbnid=gbea0CgqJ7wV8M:&tbnh=82&tbnw=82&prev=/images%3Fq%3Dcomposite%2Bkevlar%2B%2Bfiber%2Bmicroscopy%26gbv%3D2%26hl%3Dit&ei=4BM1So5qxLH8Bo2enMwH).
I nanotubi di carbone sono tutta un’altra cosa e ci sono almeno 4 ordini di grandezza di differenza.
(http://images.google.it/imgres?imgurl=http://www.eurekalert.org/multimedia/pub/web/10229_web.jpg&imgrefurl=http://www.eurekalert.org/multimedia/pub/10229.php%3Ffrom%3D123075&usg=__uvQ-CI2VCRGANTyZbZ-ETQDiFrs=&h=280&w=400&sz=34&hl=it&start=5&sig2=USpTwlNcARrsF1atPUISwA&tbnid=Ub6P8ndm3g52JM:&tbnh=87&tbnw=124&prev=/images%3Fq%3Dcarbon%2Bnanotube%2Bmicroscopy%26gbv%3D2%26hl%3Dit%26sa%3DG&ei=Axc1)
Il primo campione potrebbe anche essere l’involucro di una bomba. Ma a Gaza c’è la guerra e non c’è altra abbondanza se non di bombe.
Un altro campione è di ferro con zolfo: detrito abbastanza normale anche da noi che nulla abbiamo a che vedere con la guerra combattuta sul campo. In genere le esplosioni disintegrano qualsiasi manufatto (motociclette, auto, parafanghi, elmetti, ecc.) e possono produrre schegge del tipo mostrato.
Un altro spettro di calcio e fosforo potrebbe essere qualsiasi cosa: dicalcio-fosfato, tricalcio-fosfato, octocalcio-fosfato, idrossiapatite. Ognuno di questi potrebbe avere un’origine naturale diversa. Compresa l’idrossiapatite che potrebbe essere un pezzo d’osso. In questo caso un’analisi più approfondita del rapporto calcio/fosforo (doverosa) potrebbe dare qualche indicazione meno imprecisa.
Purtroppo, non avendo a disposizione un campione del muro su cui fare un confronto, non è possibile dare alcun risultato accettabile dalla comunità scientifica.
E poi, mancano le indagini bioptiche che devono essere fatte come si deve e a quel punto non ci si può improvvisare.
Questo non significa affatto negare l’uso di armi innovative né negare la crudeltà e l’orrore della guerra che si sta combattendo a Gaza: significa solo che i campioni presi (in malo modo) non dimostrano gli assunti a cui è arrivato il servizio giornalistico.
Ciò che posso dire per quel po’ che è stato mostrato è che, sicuramente, le vittime sono state colpite da una nuvola densa composta di detriti micrometrici “infuocati” che viene creata rasoterra e viaggia compatta con un fronte pressorio importante per i primi metri.
Quelli sono i detriti da cercare, possibilmente non dentro un muro.
Per finire, un campione bioptico di un sottocute di quel paziente che si vede nel filmato con varie macchie scure potrebbe essere molto più significativo ed utile se davvero si vuole avviare un’indagine seria e non innescare semplicemente un’altra leggenda metropolitana.
Immagine da: http://www.profilodonna.com/premi/edizioni/2006/premiate/img/Antonietta-Gatti.jpg