Illustrissimo signor Presidente,
Le probabilità che Lei legga queste note sono di fatto zero, ma, a scanso di equivoci, mi scuso preventivamente per la franchezza con cui mi rivolgerò alla Sua augusta persona. Dopotutto, secondo la filosofia della politica, Lei è il primo dei nostri servitori e a un servitore si parla chiaro.
Per otto volte, in passato, ho avuto modo di ascoltare i Suoi discorsi di fine d’anno e per otto volte
li ho trovati stucchevolmente insulsi. Ieri sera, no: ieri sera Lei è entrato a reti televisive unificate nelle case di milioni d’italiani distogliendoli dai quiz, dalle televendite, dalle lezioni di cucina, dalle risse di Sgarbi, dal vociare inestricabile dei processi calcistici, dalle marchette di presentazione di film e libri, dalle gare vagamente cretine tra ragazzotti. Lei è entrato per intrattenerci tutti con il Suo ultimo discorso al popolo: 1200 secondi senza sgarrare di un attimo per comunicare quello che io mi aspettavo essere una sorta di rendiconto e di testamento morale. Ed è stato proprio così.
Per 1200 secondi Lei ha fotografato con ammirevole oggettività l’essenza del Suo mandato virgola qualcosa: l’idea, peraltro corretta, che gl’italiani costituiscano un popolo d’idioti.
Se Lei avrà la pazienza di rivedersi, provi a buttare giù due righe nelle quali riassume il Suo discorso. Si accorgerà che non è facile estrarvi qualcosa che non fosse ampiamente e da tempo conosciuto, qualcosa che contenga qualche indicazione di rotta utile per questa nave senza nocchiero in gran tempesta al di là del nulla che chiunque, anche molto distratto, avrebbe potuto pronunciare e con molta meno pompa, qualcosa che avesse un pur vago interesse. Ciò che Lei si è premurato di dirci è che, per motivi anche condivisibili, ne ha piene le scatole del Suo mandato e, di conseguenza, di noi, un sentimento che, almeno da parte mia, ricambio di cuore.
Io La ricordo poco ai tempi dell’invasione sovietica dell’Ungheria: ero un bambino allora alle prime classi elementari. Ricordo, però, per averlo conosciuto di persona, un giovane ingegnere magiaro sfuggito per caso all’impiccagione in piazza, sorte che toccò ai suoi compagni di studio. E ricordo, forse non direttamente ma per essermi documentato, che Lei applaudiva entusiasta i carri armati di Mosca. Ricordo, invece, perfettamente il Suo atteggiamento quando gli stessi carri armati scorrazzavano per Praga.
Naturalmente non mi aspettavo che Lei spiegasse quelle Sue antiche e ormai inumate prese di posizione ma, forse ingenuamente, mi aspettavo che Lei dicesse due parole sulla P2, sui documenti mafiosi fatti distruggere, sul “malinteso” con l’India, su Taranto, sulla Terra dei Fuochi, sui resti putridi delle nostre università, sulla valanga di tasse che i nostri “statisti” mai eletti legittimamente da nessuno come è stato per Lei, del resto, hanno genialmente inventato per mettere una pezza alle voragini dalla loro stessa genia spalancate tra incapacità e rapina. Invece, niente, se si eccettua la retorica dolciastra delle nostre eccellenze che esistono ma che non cambiano di un millimetro la sorte di questo paese e il beffardo “ragazzi, massacratevi, spremete ancora di più i vostri esausti borsellini: fatelo per il nostro salotto che può contare su liquidazioni a sette zeri e su pensioni con cui, da nababbi, ci faremo quattro risate di voi.”. E questo è stato il capolavoro. Lei, illustrissimo Presidente di tutti gl’italiani, si è congedato prendendosi gioco di noi dopo essere entrato a casa nostra e guardandoci diretti negli occhi travestito da incredibile saggio. Tra poco Lei siederà comodamente tra i senatori a vita, un’istituzione tanto antica quanto mostruosa, e concluderà la Sua vita (il Signore Glie la allunghi per tanti anni ancora) accompagnato dal plauso ipocrita di chi sta portando, tra bava e bastonate, questo popolo bovinamente consenziente alla rovina.
Grazie, signor Presidente: se c’era bisogno di una radiografia freddamente impietosa del Suo mandato con l’elastico e dell’Italia, con la Sua aria fritta e con i Suoi silenzi, ieri sera Lei ce l’ha regalata.
Stefano Montanari
EfficaceCome al solito efficace e condivisibile, ma il prossimo sarà meglio? RISPOSTA La speranza è l’ultima dea ma temo che chiunque s’insedi su quella poltrona si troverà prigioniero di un sistema labirintico da cui si può uscire solo avendo il coraggio e la forza di abbattere i muri. Se posso pensare che, idealmente, il coraggio qualcuno lo possa anche avere (chi, non saprei dire), temo che la forza necessaria non appartenga a nessuno e a nessuno possa appartenere. L’Italia è destinata a restare sempre più staccata dal resto del mondo avanzato, preda appetitosa di corruzione, d’ignoranza con presunzione al seguito,… Leggi il resto »