Maurizio Gasparri, lo straordinario statista che il mondo c’invidia e che il popolo italiano ha preteso s’insediasse in senato a presiedere il gruppo del Popolo della Libertà, me lo fece notare con il garbo che lo contraddistingue: alle elezioni voi (PER IL BENE COMUNE, n.d.A.) avete avuto zero e, dunque, valete zero. Ineccepibile.
Nella realtà numerica dei fatti, 120.000 italiani hanno preferito PER IL BENE COMUNE in quello che, molto abilmente, era stato spacciato per un referendum: volete Berlusconi o volete Veltroni? Volete Barabba o volete Barabba?
Nell’allestimento della farsa non era stata lasciata alternativa e, bisogna ammetterlo, il canovaccio ha riscosso un successo clamoroso, tanto che adesso il duo Pappa e Ciccia fa il bello e il cattivo tempo in perfetta armonia. Per ora è solo il tempo cattivo e nuvole sempre più nere si addensano ad un orizzonte fin troppo vicino, ma la speranza è l’ultima a morire.
120.000 persone sono la popolazione di una città di provincia un po’ più grande di Bergamo: come Sassari o come Monza. Nulla in termini di consistenza a livello elettorale. E, di fatto, PER IL BENE COMUNE non è arrivato nemmeno ad un terzo dei consensi necessari per ottenere la forma di finanziamento ai partiti chiamata “rimborso elettorale”.
È così che non c’è più un centesimo,
finita la campagna elettorale dove ognuno si è pagato le spese proprie e dove Nando Rossi, che per coerenza ed onestà aveva abbandonato ogni possibilità di sedere indisturbato in parlamento, non ha più ricevuto lo stipendio con cui pagava le spese di sede, di segreteria e di un minimo di pubblicità. Questo per la felicità di Gasparri, della Santanché (pure lei senza poltrona ma generosamente finanziata dai voti nostalgici ricevuti), di Vespa e di tutti i personaggi e di tutti i figuranti in processione sul sempre più rottamabile ma apparentemente indistruttibile palcoscenico di ciò che ci ostiniamo a chiamare politica italiana.
Strano, potrebbe pensare un osservatore del tutto esterno. Dopotutto, prendendosi la briga di fare una disamina serena delle varie posizioni, PER IL BENE COMUNE è l’unico soggetto politico al passo con i tempi, l’unico che s’impegna su basi scientifiche, quasi l’unico (e mi dispiace per Marco Travaglio che si è lasciato trascinare da un entusiasmo non proprio giustificabile per Italia dei Valori) a non avere pregiudicati nell’organico, l’unico ad avere titolo per occupare l’immensa voragine lasciata dai Verdi in quanto partito difensore dell’ambiente, l’unico ad avere altrettanto titolo per occupare l’altrettanto preoccupante voragine lasciata dal partito di Di Pietro in tema di legalità. E si potrebbe continuare.
Insomma, potrebbe pensare l’osservatore, impossibile pensare che PER IL BENE COMUNE possa riscuotere lo zero di cui diceva lo statista Gasparri. Che possa avere una frazione dei voti incassati da Cuffaro.
E invece è così.
A questo punto noi che agl’ideali di PER IL BENE COMUNE abbiamo creduto e crediamo fortissimamente, se non altro perché non vogliamo vergognarci di noi stessi al cospetto di tutte le altre nazioni del mondo e, soprattutto, confrontandoci con i nostri figli, e che per quegl’ideali abbiamo lavorato anima e corpo siamo in difficoltà.
Inutile menare il can per l’aia: se non riusciremo in qualche modo a finanziarci per mantenere una sede non importa quanto modesta, un minimo di personale indispensabile insieme con un minimo di capacità di spostamento e di comunicazione non avremo altra scelta che chiudere tutto.
Rabbia, tristezza, pensieri inconcludenti come quelli che a noi basterebbe ciò che introita un calciatore italiano di vaglia in una settimana o il presidente del consiglio in due giorni per campare un anno. A che serve? Bisogna essere realisti ed operativi senza piangersi addosso. Non serve. Anzi, peggiora le cose.
Noi abbiamo un’enorme fortuna: i nostri 120.000 sono consensi di persone di cultura, comunque la s’intenda, sopra la media, di persone che hanno votato in coscienza e senza cascare nel banale ma efficacissimo tranello della pubblicità veltrusconiana o nello squallore delinquenziale del voto di scambio, di persone che già da ora stanno diffondendo le idee con la forza inattaccabile della convinzione, della logica e dell’onestà. Già oggi siamo molti di più di quanti non fossimo solo ad aprile. Lo vedo dai messaggi che mi arrivano, da chi mi telefona, da chi mi ferma per strada. Ognuno di noi è un seme che scoppia dalla voglia di germogliare e ne ha l’energia potenziale.
Allora, forza! Chi ha voglia d’impegnarsi, chi rifiuta di viaggiare a sbafo, chi ne ha le capacità si faccia avanti con delle idee. Magari cerchiamo di sfruttare il buono che la tecnologia ci mette a disposizione per quattro soldi o, addirittura, gratis: Internet, per esempio, con cui ci stiamo già cimentando in contrasto con i manifesti pubblicitari che hanno tappezzato in primavera l’Italia e il cui costo unitario equivaleva a due stipendi mensili di un italiano normale o in contrasto con TV, radio e giornali che ci tengono alla larga. E da Internet potrebbero venire anche opportunità d’introitare i fondi indispensabili. E chissà quante altre possibilità esistono.
Così, chi ha delle idee le esprima: progetti chiari e concisi che possano essere messi in pratica in fretta e disponibilità a discuterli. No perditempo.