Blog

Il futuro lo leggi in India

Probabilmente siamo in troppi ad affollare questo pianeta. Troppi uomini, intendo, e ognuno di noi pretende ciò che la Natura non può concedere.

Sono tornato ieri sera dall’India dove ho incontrato qualche “potente”, ho tenuto una conferenza scientifica e ho rilasciato interviste a giornali e televisioni. La città che mi ha ospitato è Delhi, un luogo che, per molti versi, rappresenta una sorta di profezia per ciò che ci aspetta.

 

Non tanto perché io creda che a tempi brevi vivremo per strada dormendo dove si trova riparo e nutrendoci di quanto capita a tiro, ma perché l’ambiente che si trova oggi laggiù, a 6.000 chilometri da qui, è quanto stiamo preparando con ostinazione suicida, con il nostro voltare le spalle a tutto quanto ci passa sotto il naso con evidenza prepotente e volendo a tutti i costi credere alle bizzarrie di quella squadretta di venditori di morte che ha nella sua formazione politici, funzionari di enti di protezione ambientale, professori, giornalisti, finti ecologisti e imprenditori vari.

A Nuova Delhi – ufficilamente poco più di 13 milioni di abitanti, ma forse i milioni sono 20 – ci sono 43 gradi, il cielo è sereno ma non lo si vede. Sopra la testa si chiude una volta bianchiccia e già a poche centinaia di metri di distanza gli edifici sono sfocati fino a scomparire. È nebbia, ma non quella vera. L’umidità non ha mai superato il 10% e la caligine è nient’altro che particolato sospeso. Nessuno vede l’alba e così il tramonto: il disco lattiginoso del sole scompare ancora alto dietro una striscia nera.

La centralina che avevamo piazzato a marzo in Connaught Place (http://maps.google.it/maps?hl=it&q=connaught%20place%20new%20delhi&um=1&ie=UTF-8&sa=N&tab=wl) segnava concentrazioni di PM10 – per quel che può valere quella misura – abbondantemente superiori ai 400 microgrammi per normal metro cubo. Eppure lì non è Delhi ma New Delhi, la parte verde e curata, la parte dove c’è il parlamento insieme con le abitazioni chic, e Connaught Place è uno spazio erboso enorme. Nessuno stupore: in alcune occasioni, leggendo i dati via Internet dall’Italia, avevamo trovato valori che superavano quota 700.

In India non si va tanto per il sottile: il limite di concentrazione per le PM10 tollerato laggiù per legge è la bellezza di 100 microgrammi per normal metro cubo (da noi è 40 ed è già demenziale), anche se uno dei maggiori quotidiani nazionali ha “informato” i suoi lettori che il limite è 200. Giornalisti ignoranti o in malafede come da noi o no, anche i 200 della bugia sono perennemente sfondati. Quindi, tanto valeva raccontarla giusta.

Delhi ha una quarantina di postazioni ufficiali per il controllo dell’inquinamento, una delle quali ci è stata fatta visitare. Pur emessi da una strumentazione che, per essere molto buoni, è definibile come dilettantesca, i dati sono terrificanti.

Da antico maratoneta non potevo non pensare che il prossimo ottobre a Delhi ci saranno i Giochi del Commonwealth e che ci sarà chi correrà i 42 chilometri. Che cosa si troverà in quei polmoni è tutto da immaginare, eppure non sarà niente rispetto a ciò che dai polmoni sarà finito per sempre in tutti gli organi.

Ma se Delhi è una profezia, la quotidianità ubiqua di questa distruzione è nei pozzi petroliferi che continuano imperterriti a distruggere fette importanti di pianeta così come fanno le innumerevoli petroliere che si spezzano o quelle che ogni giorno lavano le cisterne con acqua marina, ributtando tutto in mare. Quando si tratta d’inquinamento da fonti fossili, mai si affronta davvero questo argomento, esattamente come se non esistesse o come se la responsabilità non cadesse sull’abuso di quel tipo di sorgente d’energia. Un paio di lacrime di quei rompiscatole degli ambientalisti e si ritorna in tutta fretta ad avvelenare.

Il mare inquinato, ho detto, in cui muoiono milioni di tonnellate di esseri viventi, esseri che garantiscono l’equilibrio ecologico della Terra, esseri senza i quali, ad esempio, l’anidride carbonica non può più essere fissata in modo efficiente e sufficiente, ma esiste anche l’acqua dolce. Di quella ce n’è pochissima: il 3% di tutta quella totale, ma di questa solo un terzo è più o meno disponibile, perché l’altra sta nei ghiacciai.

Bene, quel poco che c’è noi lo sporchiamo irreversibilmente come stiamo già facendo con la più grande falda del mondo situata in Brasile dopo aver già rovinato l’altra enorme negli USA.

E da noi? Beh, nel nostro piccolo, tra pesticidi, percolato dalle discariche che non sappiamo costruire, veleni seppelliti con la complicità dei controllori designati, cave di ghiaia, tunnel montani e quant’altro, anche noi diamo una bella lezione all’acqua.

Insomma, con lena crescente abbiamo preso di mira il Pianeta attorniandolo da ogni parte senza lasciargli scampo. I campioni di questa guerra volta a segare il ramo su cui stiamo a cavalcioni li conosciamo, sappiamo che sono degli assassini, sappiamo che il genocidio che stanno mettendo in atto sarà mille volte peggiore di quelli degli armeni, degli ebrei e degli oppositori di Stalin messi insieme perché promette di essere davvero la “soluzione finale”.

Sappiamo tutto, eppure continuiamo a ballare.

Qualcuno m’illustri il piano di evacuazione.

Articolo successivo