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I nodi al pettine

Quando ero un bambino si andava dal droghiere, si prendeva ciò di cui si aveva bisogno, e non si pagava. Sembrava tutto gratis. Lui, però, il droghiere, annotava e poi, ogni tre o quattro mesi presentava discretamente il conto. Un conto minuzioso in cui non si era dimenticato di niente e che nessuno avrebbe mai pensato sarebbe stato così salato. Si controllava. Non c’erano errori. 

È inevitabile: droghiere o no, prima o poi i debiti si pagano, i nodi vengono al pettine e, per una certa malizia della sorte, pare che ora il pettine si stia incagliando dovunque gli facciamo percorrere il cranio. 

Guardando alla cosa pubblica, da qualunque parte ci voltiamo c’è un intoppo. Basta prendere a caso. 

Alitalia: dopo decenni di una gestione malsana, da un vertice pagato fino alla stravaganza giù fino agli addetti di terra assunti non è chiaro in base a quale razionale, adesso ci troviamo a dover fronteggiare, e a farlo tutti, una situazione che ognuno di noi avrebbe potuto prevedere chissà quanto tempo fa. 

Ferrovie e viabilità in generale? Beh, chiunque abbia la disgrazia di doversi spostare lungo la

Penisola o, magari peggio, sia un pendolare, non ha certo bisogno che gl’illustri i treni che arrivano se ne hanno voglia, che sono dei letamai e che si trascinano lungo una rete ferma a cent’anni fa. Le stazioni? L’altro ieri ero a Fano: non un tabellone che indichi i movimenti, non un annuncio sui ritardi (mai l’eccezione da noi), non una macchinetta per annullare i biglietti che funzioni. L’unica che scatta non lascia impronta. Il rimedio proposto? La TAV!

E le strade? Sembrano percorsi per allenarsi fisicamente e psicologicamente alla guerra: dalle indicazioni che sono quiz ai semafori traditori ai limiti di velocità demenziali fatti apposta per appioppare multe a buche e lavori in corso che si tramandano di padre in figlio. Certo, dove ci sono dei lavori che pagherà Pantalone, si fanno capitolati che nessuno nemmeno si sogna di rispettare (e chi se ne cura?), ciò che ne risulta è una costruzione di qualità infima, e da qui la perpetuazione dell’impiego di ditte appaltatrici e subappaltatrici con tutto ciò che ne consegue anche in termini di fertilizzante per la malavita. Chiunque rientri da un viaggio da un paese civile non può evitare il mal di stomaco. 

Le università? Quelle sono i centri dove si deve formare la futura classe dirigente, ma nepotismo e corruzione dilaganti hanno generato inevitabilmente una classe di formatori incapace. Da noi sta accadendo ciò che accadde in Cina ai tempi della cosiddetta Rivoluzione Culturale quando i professori vennero mandati a zappare e i contadini, non di rado analfabeti, sedevano in cattedra insegnando a medici e ingegneri. Quando ci si accorse del disastro, si fu costretti a richiamare non solo i vecchi insegnanti, ma, addirittura, i laureati che sapevano quanto chi li aveva istruiti. Chi assista alle esternazioni televisive dei nostri professori, chi faccia da spettatore ad un dibattito tecnico, chi legga certi articoli non può chiudere gli occhi: noi, depredati di una classe intellettuale al di là di rare eccezioni degna di questo nome, siamo destinati alla retrocessione in un mondo di serie B. Anzi, leggendo tante classifiche, pare proprio che rischiamo la serie C.

L’ambiente? Lo abbiamo devastato grazie a politici dediti esclusivamente alla rapina e, siamo onesti, da molte situazioni sarà tecnicamente impossibile riprenderci. 

La salute? Un bene primario che non può essere tolto a nessuno, ci dicono. I fatti? Prenotate una mammografia e vedrete. Chiedete un impianto di protesi d’anca. Una banale radiografia. Tornate malati da una “missione di pace”.  Chiedete, poi, che vi spieghino che cos’è la prevenzione e vedrete che vi diranno che questa consiste in un minuzioso rituale secondo cui ognuno si deve sottoporre ad una miriade di controlli, deve essere vaccinato contro le malattie più disparate e, magari, deve curarsi precocemente di malattie che non è affatto detto abbia, ma non si può mai sapere. Che cosa significa in realtà questa “prevenzione”? Soldi. Tanti. Dalle tasche di tutti a quelle già gonfie di pochissimi. La prevenzione non è quella: la prevenzione consiste nel mettere in pratica misure che non mi facciano ammalare. Io non voglio che mi dicano che un certo parametro pescato nel mio sangue indichi che rischio il cancro e che posso cominciare ora a curarmi: non voglio che il cancro mi venga! E per arrivare a questo bisogna attuare quella che si chiama prevenzione primaria. Ma questo significa tanto, tanto denaro risparmiato per la società e, se si risparmia denaro, non ci si può mangiare sopra. Non fare un inceneritore o non far bruciare porcherie ad un cementificio è prevenzione primaria. Dunque… 

Lo sappiamo: potrei continuare per pagine e pagine solo con l’elenco nudo e crudo dei nodi. E tutto questo, così tipicamente italiano, si sta inserendo in un contesto globalizzato che prelude ad una crisi economica per la quale sarà difficile trovare paragoni. Motivi ce ne sono tanti, e uno di questi è l’aver creato ingenuamente una società costruita su criteri che cozzano contro la scienza elementare.  

Da un po’ di anni a questa parte, l’economia gravita intorno all’energia (che in grandissima parte sprechiamo) e questa energia è ricavata da fonti destinate all’ovvio esaurimento: il petrolio davanti a tutti, ma anche i gas naturali, il carbone e l’uranio. Sembra impossibile che l’Uomo con la U maiuscola sia così scriteriato da progettare un mondo fondato su qualcosa che tutti sappiamo per certo essere destinato a non esistere più, visto che nessuna di quelle fonti potrà rinnovarsi. Siamo stati scriteriati e ora il droghiere presenta il conto. Chi possiede quelle fonti si è già arricchito oltre ogni misura e per un po’ ingrasserà ancora di più fino a scoppiare. Ma anche loro, o i loro figli, si ritroveranno un bel giorno con i forzieri desolatamente vuoti. 

Che fare? Al termine delle mie conferenze, spesso mi si pone la domanda e ci si arrabbia se la risposta è: “Non c’è niente da fare,” per certi guai che abbiamo combinato (vedi sottosuolo campano), o “Bisogna smettere di vivere da bambini viziati e rimboccarci le maniche,” per molti altri. No, la risposta che si vuole non è la verità: sono le solite illusioni dei pifferai magici che con le loro ricette, applicate da decenni e regolarmente fallite, tanto che siamo dove siamo, promettono ciò che è palesemente impossibile. Stupidi? Tutt’altro: dal loro punto di vista, che è quello dei delinquenti abituali, è tutto perfetto, sicuri come sono, per annosa esperienza, che quanto si chiede sono sogni e basta. E sarà così: i consensi arriveranno a pioggia e le poltrone di comando continueranno ad ospitare gli stessi personaggi che ci stanno portando all’inguaribilità. 

Che fare? Io una proposta ce l’ho: vogliamo cominciare con il mandare a casa questa classe politica fallimentare le cui spire ci stanno soffocando, sperando non sia tardi? L’occasione c’è.