Parecchi anni fa fu eseguito da Kurt Seelmann un esperimento la cui crudeltà è almeno pari al suo interesse. Si presero dei cani e li si mise in una scatola aperta il cui fondo era costituito da una griglia metallica attraverso la quale, improvvisamente, si faceva passare una corrente elettrica. Ovviamente i cani, percependo il dolore, balzavano fuori. L’esperimento veniva ripetuto più volte e poi si cambiava protocollo: stessa scatola, stessa situazione, ma stavolta con i cani immobilizzati e, dunque, costretti a subire la scossa elettrica ogni volta che si mandava corrente, guaendo per il dolore ma senza possibilità di fuga. Terzo atto: gli stessi cani erano sistemati nella situazione primitiva, vale a dire nella scatola senza alcuna costrizione. Però, questa volta, al passaggio della corrente i due terzi dei cani non tentavano nemmeno di scappare: se ne stavano lì a guaire, convinti che questo fosse un destino ineluttabile. “Oimé, quanto somiglia al tuo costume il mio!” avrebbe detto Leopardi. Eh, sì, bisogna ammetterlo: noi siamo ben più fessi di quei due terzi di cani, e almeno per due motivi. Il primo è che, magari in maniera decisamente autoreferenziale ma non potendo far altro, noi ci definiamo come esseri intellettualmente superiori ad ogni altro sulla Terra, e il secondo è che chi tra noi subisce fatalisticamente quando sarebbe facilissimo evitare di subire costituisce non troppo di rado di gran lunga più dei due terzi della nostra umana famiglia. Basta pensare a quanto accade
in Russia. Un popolo che ha subito vessazioni atroci e secolari da parte del regime zarista, che è passato attraverso una sanguinosa rivoluzione, che ha subito un altro settantennio d’infamie da parte di un regime che aveva null’altro che sostituito l’aguzzino ma che era sostanzialmente restato immutato, ora è convinto, anzi, è stato addestrato ad essere convinto, che il suo destino sia quello di vivere in uno stato di dittatura. Così, ecco che quei fatali due terzi sono corsi a dare il proprio “da” al nuovo tiranno Putin, un personaggio in tutto e per tutto psichiatricamente identico a tutti i tiranni del mondo: ubriaco di potere, assetato di lussi (visto il suo aereo personale?) e perfino con le deprimenti manie di esibizionismo fisico che non furono estranee ai vari Mussolini o Mao e che non risparmiano neppure quel buffo dittatore “vorrei ma non posso” che si annida nel cervello di Berlusconi. Più in piccolo, ma non per questo in maniera meno pericolosa, e questo perché in modo meno vistoso, lo stesso condizionamento si pratica a livello anche di una sola comunità. Lasciatemi prendere ad esempio la città in cui abito: Modena. Qui, da anni, si sta maneggiando per raddoppiare l’inceneritore, più o meno come si fa dovunque nel nostro squallido italico teatrino. Soldi, potere, cariche da distribuire sono le vere ragioni per cui un’idiozia criminale come quella di bruciare rifiuti viene perpetrata su e giù per lo Stivale. Naturalmente, né io lo posso escludere, possono esistere anche casi in cui l’idiozia criminale è perpetrata in perfetta buona fede, per pura ignoranza, e, magari, Modena è proprio uno di questi punti di eccezionalità, ma, sia come sia, il fatto è che pure a Modena i politici non intendono essere disturbati nei loro girotondi intorno al fuoco. Anche qui, i soliti trucchi, le solite farse, le solite bugie, i soliti “scienziati” prostituiti, i soliti sberleffi verso coloro di cui lorsignori dovrebbero fare gl’interessi: niente di nuovo, insomma. Finché il TAR non ha deciso che quel raddoppio è illegittimo. Lo sapevamo tutti. Ci voleva il TAR? Evidentemente, sì. Però il TAR non basterà, almeno stando a quel personaggio imbarazzante da descrivere che è l’assessore all’ambiente della Provincia, sicuro, e probabilmente a ragione, che del TAR loro, la casta pur piccina della provincia, se ne possono bellamente infischiare. Me ne frego!, insomma, se l’esclamazione può ricordare qualcosa e qualcuno del passato. Cambia il colore delle camicie, ma la sostanza resta immutata. Però il punto non sta qui. Qualche sera fa io ero ospite dei Belli Carichi, i tifosi educati del Modena calcio, e con alcuni commensali il discorso cadde sulla sentenza del TAR e sulle beffarde (ma probabilmente realistiche) certezze dell’assessore. Questi miei vicini di tavola, che pure l’inceneritore mai e poi mai l’avrebbero voluto e che della decisione del tribunale avrebbero dovuto rallegrarsi, erano in realtà tristissime. “Non c’è niente da fare, – mi dicevano. – Ormai i soldi sottobanco li hanno presi e a Roma, a Bologna o chissà dove, ci sarà sempre qualcuno disponibile a fare il miracolo: la legge ad hoc, la deroga, la proroga (già ce n’è una in corso), il trucco, la scappatoia, in definitiva, per fregarci e per rapinarci ancora una volta e per calpestare a nostra salute.” Rassegnati come i poveri cani, insomma. Eppure, saltar fuori dalla scatola non è difficile. Intanto non esiste alcuna prova che soldi sottobanco esistano, almeno in questo caso, né che, esistessero, siano stati consegnati. Poi, cari concittadini, quei personaggi stanno lì solo perché lo vogliamo noi e, dunque, dar loro gli otto giorni è non solo indispensabile, ma del tutto possibile. Se impareremo tutti a rifiutare il ricatto del lavoro che ci viene offerto saltando la fila, a rifiutare il piccolo privilegio promesso e, magari, ottenuto prevaricando il prossimo, a recuperare la nostra dignità di cittadini rifiutando l’avvilente divisa del suddito, se cominceremo ad usare con cosciente serenità, liberamente e senza condizionamenti lo strumento più potente che abbiamo, cioè il cervello, se penseremo in modo saggio al mondo – e non parlo solo dell’ambiente inteso in senso ecologico – che stiamo restituendo ai nostri figli, ecco che ci ritroveremo ipso facto in mano la chiave per rientrare a casa nostra. Dunque, ragazzi di Modena (con una sentenza a favore in saccoccia), di Campi Bisenzio (un plebiscito contro l’inceneritore), di Ferrara (un altro plebiscito contro la centrale a turbogas), di Gualdo Cattaneo (tutti contro la folle centrale e biomasse) e chiunque si è espresso per riprendersi ciò che è suo, adesso è ora di spiccare quel balzo, un balzo che, in fondo è come la prima impronta dell’uomo sulla Luna: un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità.