È arrivata la notizia: Fabio Riva, ultimo signore dell’ILVA, è stato estradato dalla Gran Bretagna e lo si è consegnato alla giustizia italiana.
La premessa indispensabile a quello che scriverò è che non è assolutamente mia intenzione
avere la buffa pretesa di sostituirmi agli organi cui competono i giudizi, e le mie sono solo considerazioni sospese di un uomo qualunque. E l’altra premessa è che non riesco nemmeno a trovare antipatico il personaggio: semplicemente riconosco in lui, come in tutti gli altri mostriciattoli dall’anima deforme che hanno calcato la stessa scena, la cultura e la morale tipiche di questo paese bizzarro già nella sua forma geografica. Ingordigia, arroganza, ignoranza, ipocrisia, menzogna, stupidità senza confini… Sono tutti ingredienti indispensabili a che la farsa terribile sia rappresentata e si possa perpetuare.
Non credo esistano dubbi: Taranto è una specie di gironcino infernale dove i dannati possono essere anime che nemmeno hanno avuto il tempo di peccare. Mi riferisco, per esempio, ai bambini che nascono già con “qualcosa nel cappello” ma, contrariamente al verso di una vecchia canzone di De Gregori, non hanno nemmeno la possibilità di essere convinti che si tratti di un portafortuna. È un cancro e basta. La loro fortuna è che se ne andranno in fretta nel manzoniano ed auspicabile “più spirabil aere”. La nostra poco invidiabile sorte, e, ancor di più, poco invidiabile nel caso particolare, quella dei tarantini, è che si dovrà convivere come in un ergastolo con una feccia tanto ignobile quanto riverita di politici e funzionari idioti e corrotti, e con una feccia non migliore di professori mascalzoni, ottusi ed ignoranti.
Ma, al di là dei cancri che, giusto detto tra parentesi, secondo tale professor Giorgio Assennato, luminare indigeno dell’ARPA, sono dovuti al viziaccio dei tarantini di fumare, la zona ospita anche altre patologie con una densità quanto meno insolita. Tra queste l’endometriosi, una malattia che colpisce il sesso femminile contraendo la quale si osserva il tessuto tipico della parete interna dell’utero crescere altrove, dalle ovaie al peritoneo all’intestino e, a volte, anche nella vescica senza escludere altri organi. Il tutto con dolori che possono essere invalidanti, sanguinamenti periodici, infiammazioni, crescita di tessuto cicatriziale e impossibilità di procreare. Qualcosa che a me ricorda tanto ciò che che ho visto nelle compagne dei militari reduci da zone di guerra, ma sicuramente io ho la mente distorta e non ho la fortuna dell’ipocrisia. Di questa patologia, non so perché, non ricordo di aver sentito parlare come di un problema particolare. In fondo, che importa? Si tratta solo di donnette isteriche nemiche del progresso che non capiscono nemmeno che il lavoro è un bene primario davanti al quale schiattare attanagliati dal dolore è il minimo sacrificio che si possa fare. E qui vorrei sentire che cosa hanno da dire i nostri ottocenteschi sindacati che certo saprebbero zittirmi con la loro saggezza e la loro cultura.
Io a Taranto ci andai nel 2008 e feci un giretto intorno all’ILVA. La sera tenni una conferenza davanti ad una cinquantina forse scarsa di persone nel corso della quale dissi ciò che, poi, saltò fuori qualche anno più tardi. Niente di trascendentale: chiunque con un minimo di esperienza avrebbe potuto dire ciò che dissi io dopo aver visto il poco che io aivevo visto. Un poco che sarebbe stato ampiamente sufficiente perché un magistrato con un briciolo di cultura e d’intelligenza facesse chiudere quella fonderia. La reazione? Quella solita: il nulla se si eccettua qualche sorrisetto all’indirizzo del solito “allarmista”.
In quel momento il bubbone non era ancora scoppiato, ma eravamo vicini al limite e lo scoppio, peraltro sproporzionatamente piccino rispetto alla realtà dei fatti, non tardò molto. Diversi personaggi ne risultarono coinvolti, lo statista Nichi Vendola tra loro, e, come vuole la prassi italiota, non successe nulla. Nessuno di loro, politici, tecnici o professori che fossero, fu cacciato a pedate nel sedere come sarebbe dovuto accadere in una società che ambisce all’aggettivo di civile. Nessuno di loro pagò. Nessuno di loro vide la propria carriera turbata. Nemmeno i geni politici che avevano fondato l’acciaieria di stato con criteri decrepiti per poi liberarsene di fatto senza condizioni. Nemmeno i birichini che avevano avvolto morti, malattie e danni patrimoniali in un sudario che prevedeva di ridicolizzare chi altro non faceva se non fotografare obiettivamente una situazione su cui solo un imbecille, un pazzo, un criminale o chi riunisce in sé tutte queste caratteristiche può negare.
Il nostro è un paese che ha tanti elementi di unicità, uno tra i quali è l’avere 21.000 leggi dello stato, 21.000 leggi delle regioni e 63.000 deroghe. Più o meno. Da noi esiste una collezione di regole che consentono qualunque cosa, che si possono altrettanto bene adattare ad ogni situazione e al suo opposto, che consentono qualunque interpretazione, che nascono già pronte per accogliere l’accettabilità di ogni cavillo, anche il più demenziale. Da noi l’amministrazione della giustizia procede alla velocità di un vecchio bradipo ma è pure capace di retrocedere per ripartire dalla casella zero. Ed è capace d’imbalsamare ogni situazione fidando nella scarsa memoria e nello sfinimento di chi paga i conti. Ma la giustizia può essere giusta solo se è tempestiva. Altrimenti è una tragedia ridicola.
Nessuno pagherà, ho detto, ma forse il signor Fabio sarà sgridato. Magari, chissà, lo chiuderanno per un po’ in una cella. Poi salterà sicuramente fuori una regoletta scovata in qualche codicillo mai abrogato che gli permetterà di finire quatto quatto in qualche isola caraibica contornato dalle premure di uno stuolo di servitori a pagare il cui stipendio sarà il risultato di quanto il signor Fabio combinò nello Stivale. Allora, e non passerà tanto tempo, mi rallegrerò con lui così come mi sono già rallegrato con i tanti uomini di stato e con i tanti scienziati di plastica che hanno promosso quella sorta di mostruoso luna park. Uno fra i tanti luna park di questa Disneyland allucinante. Nessuno tra i morti tornerà in vita. Nessuno tra i malati guarirà. Nessun terreno sarà restituito alla sua integrità e aria e acqua resteranno intrise di veleno. Nessuno riavrà ciò che gli è stato tolto con la violenza ipocrita che costituisce un segno particolare della nostra beffarda società dove chi si oppone all’arroganza diventa ipso fatto colpevole di crimini vergognosi per i quali va prima di tutto deriso. Però giustizia sarà fatta, perbacco!
politica malataTaranto è soltanto uno dei tantissimi, troppi esempi di politica malata. Tutti sapevano ma nessuno ha mosso un dito. Sapevano i politicanti, gli amministratori. Troppi gli interessi in gioco. Guai ad uscire dalla buia grotta. Non è mai troppo tardi vale in moltissimi casi, ma quando si muore a causa dell’ingorgidia e a causa di una classe dirigente disonesta non vale. RISPOSTA Ahimè, è vero: Taranto è solo uno dei mille esempi possibili. Basterebbe spostarsi nel profondo Nord, a Trieste, per trovare una situazione che ha ben poco da invidiare a quella dell’ILVA. E non passa giorno senza che… Leggi il resto »