L’ho ripetuto non saprei dire quante volte: ci sono circostanze in cui essere profeti è di una facilità sorprendente. Basta non avere preconcetti, magari non avere interessi di denaro, e guardare le cose con gli occhi di un bambino.
Ormai un decennio fa, forse di più, qualcuno mi mandò un po’ di materiale descrittivo a proposito
dei filtri antiparticolato, quegli aggeggi che, inventati dalla Peugeot-Citroën a fine Novecento e poi ripresi da diverse altre aziende con le modifiche necessarie per motivi di brevetto, stavano per diventare obbligatori dopo gl’insuccessi di certi prodotti anti-inquinamento da applicare post vendita. Con la sua missiva il mittente mi chiedeva un parere.
Lette quelle descrizioni, mi parve assurdo che non si vietasse la messa in commercio di un dispositivo del genere, un dispositivo che ad altro non mirava se non ad aggirare la legge facendolo, per di più, in modo quanto mai goffo e scoperto. Per di più era tanto inevitabile quanto evidente che il risultato del processo di “filtrazione” sarebbe stato l’immissione in atmosfera di sostanze, in particolare, ma non solo, polveri molto fini, quanto mai insidiose per la salute. Cercando d’indagare un po’ più a fondo, scrissi alla Regione Emilia Romagna che pareva sostenere la bontà dello strumento, e lo feci per avere ragguagli nel caso ci fosse qualcosa che mi fosse sfuggito. Come risposta ricevetti un elegante dépliant pubblicitario.
Non so se fui più sorpreso o più deluso quanto mi s’informò che – mi pare fosse il 2011 – le automobili Diesel uscite dalla fabbrica dovevano in forza di legge essere dotate dell’apparato. Anche volendo lasciare da parte i cattivi pensieri, era comunque difficile capacitarsi del perché tecnici e tecnocrati che, bene o male, per una scuola ci dovevano per forza essere transitati avessero non solo approvato ma addirittura reso obbligatorio un aggeggio così ingenuamente stravagante il cui solo scopo, peraltro palese, era quello di uccellare le centraline di controllo della qualità dell’aria. A questo si aggiungeva una serie di problemi legati al maggior consumo di carburante, ai continui malfunzionamenti che costringevano a soste in officina frequenti e costose e al fatto che, a fine vita, non si sapesse che fare di quell’oggetto pesante e ingombrante. Insomma, un rifiuto dannoso oltre ad essere dannoso già quando rifiuto non era ancora.
Nel frattempo mi capitò di fare qualche analisi, peraltro non approfondita, su un dispositivo totalmente diverso per concezione che pareva funzionare davvero sfruttando meglio il carburante e limitando la quantità d’inquinanti ma – vedi un po’ com’è bizzarro il mondo – per quello non esisteva omologazione da parte dei burosauri che decidevano a loro capriccio apparentemente esenti dal gravame di essere controllati e altrettanto apparentemente esenti dalla seccatura di dover rispondere a chicchessia del loro operato. A rendere la vicenda grottescamente buffa c’era il fatto che, a quanto mi veniva riportato, nessuno aveva mai fatto sul serio le prove tecniche necessarie per ottenere il placet alla messa in commercio dei filtri antiparticolato, filtri che, oltretutto, avrebbero dovuto essere ragionevolmente privi di rischi per ambiente e salute. Ma, almeno in certi salotti e quando le circostanze sono incastrate al modo giusto, gli atti di fede contano molto più della volgarità delle prove provate.
Da anni sono in rapporti di stima, spero ricambiata, con la dottoressa Elisabetta Massini, sostituto procuratore della Repubblica a Terni. Le telefonai e le illustrai il problema, facendole anche presente le voci non proprio tranquillizzanti che correvano sul fine vita dei filtri. La dottoressa s’interessò subito della vicenda ma, a quanto ne so, non ebbe certo la strada spianata davanti a sé. Comunque, nella primavera del 2014 gli atti furono trasmessi, ignoro per quale acrobazia necessaria, al pubblico Ministero di Roma Giorgio Orano che ricomparirà più avanti nella storia. Aggiungo che del problema si parlò anche in Senato (Legislatura 17ª – Aula – vedi resoconto stenografico della seduta n. 439 del 29/04/2015 http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=Resaula&leg=17&id=00913520&part=doc_dc-allegatob_ab-sezionetit_i:1-atto_301890&parse=no&stampa=si&toc=no). Nessuno sarà sorpreso se la cosa non ebbe seguito.
Partecipando a un servizio televisivo, mi capitò pure di andare al JRC di Ispra, un immane centro di ricerca della Commissione Europea, dove quei filtri erano “controllati e analizzati”. È solo per pietà umana che mi fermo qui e non mi addentro sui “controlli” e sulle “analisi” né menziono le spiegazioni impacciate dei funzionari. Ma mi capitò pure di essere chiamato presso l’ARPA Lombardia a Milano per spiegare ai supertecnici il filtro antiparticolato. Se, a lezione terminata, non fui cacciato a pedate fu solo per miracolo: far vedere l’evidenza era stato come togliere le mutande a una santa. Insomma, il filtro era burocraticamente sacro e anche il Principio di Conservazione della Massa, pur riportato persino nei libri del liceo e pilastro della scienza da oltre due secoli, era un’infame bestemmia. Le foto al microscopio elettronico che mostravano con cruda evidenza l’inquinamento, poi, erano pornografia pura.
Inutile dire che le riviste del settore automobilistico, quelle che vivono di pubblicità, mi attaccarono impietosamente. Pure inutile sottolineare che negli attacchi non ci fu nessuna contestazione scientifica ma solo l’accusa non circostanziata di blasfemia, senza naturalmente menzionare il fatto che la blasfemia era nei riguardi di quanto di più sacro c’è al mondo: il denaro.
Poi , a qualche anno di distanza, un po’ di materiale mio arrivò alla Procura della Repubblica di Torino e, senza spiegazione di cui io sia stato messo a conoscenza, a quanto ne so si spense lì. Dopo qualche tempo andai alla Procura della Repubblica di Roma dove illustrai al già ricordato dott. Orano come funzionano i filtri e perché sono deleteri a salute e ambiente. Risultato: zero. Il solito, invalicabile muro di gomma. Sempre a quanto so, ma potrei non essere informato correttamente, del mio colloquio con Orano non restano nemmeno tracce scritte. In fondo e di fatto, però, a me la cosa interessava solo come cittadino che, volente o nolente, era costretto a respirarsi le porcherie volute da una burocrazia i cui intenti sono spiegabili solo ricorrendo a cattivi pensieri. Ma, come disse nella sua infinita saggezza un ente pubblico posto davanti a un fatto pesantissimo d’inquinamento tenuto come al solito nascosto, di qualcosa dobbiamo pur morire. Così, modificando un po’ Orazio senza turbarne la metrica, dulce et decorum est pro nummis mori: è dolce e onorevole morire per i quattrini. Quelli altrui, ça va sans dire, come avviene da che consorzio umano organizzato esiste. La sola cosa che potei fare e che feci fu, sfiorati i 400.000 km con la mia vecchia auto Diesel, sostituirla con una a benzina.
Poi d’improvviso, dopo anni, l’Istituto superiore di sanità si sveglia dal torpore abituale e afferma che il filtro non fa tanto bene. Anzi… A che cosa si debba l’esternazione, per timida che fosse, chi l’abbia sollecitata e perché, e quali controlli abbia fatto l’Istituto, se mai ne ha fatti, non sono in grado di dire. Comunque sia, non so se sull’onda di quell’affermazione o per altri motivi, non molto dopo, sempre tenendo conto dei tempi di reazione che sogliono essere la normalità da noi, la Procura di Roma esce con un documento con cui, pur pastrocchiando un po’ con la scienza e con la tecnica, contesta ai funzionari ministeriali una serie di apparenti irregolarità, dalle omologazioni svelte e facili per qualcuno al muro di gomma con mancata omologazione per altri, fino ad una rappresentazione della realtà non in linea con la realtà stessa. Sia chiaro: nessuno è ufficialmente colpevole fino al giudizio definitivo. Sia altrettanto chiaro: la scienza ragiona diversamente e in campo scientifico, quello vero o non quello gabellato per tale, le chiacchiere stanno a zero.
Sia come sia, ora è probabile che qualcuno dovrà rispondere a un giudice spiegando e giustificando ciò che a me, sulla scorta solo di conoscenze scientifiche ignote ai magistrati e non delle sottigliezze del buon vivere della burocrazia com’è praticata, pareva al di là dell’assurdo già diversi anni or sono.
Ma su questo chiedo venia. L’ho detto: io conosco solo la logica tutt’altro che simpaticamente elastica della scienza e quella “interpretabile” e lavorabile come la vecchia cera Pongo delle scartoffie è troppo complicata e raffinata per me. Dunque, potrei tranquillamente sbagliare e scoprire che nessuno uscirà con il permesso di ammalarsi se i timbri, le firme e la ceralacca si dimostreranno essere al loro posto. E allora nessuno, in ossequio al bon ton dei salottini buoni, avrà l’ardire truffaldino di raccontare che, respirando l’aria di montagna che esce da quegli aggeggi miracolosi, non sta tanto bene.
Con tutto il rispetto dovuto, constato che oggi il business dei filtri antiparticolato fa girare una vertigine di miliardi e temo che i fatti, pur provati da conoscenze scientifiche ormai acquisite da oltre un paio di secoli e sostenuti da ovvietà analitiche oltre che razionali, dovranno cedere il passo alla sacralità del denaro. Spingendomi a fare l’indovino e con tutto quanto c’è di aleatorio nel tentare la profezia, azzardo che i consulenti tecnici del magistrato chiamato a giudicare potrebbero chiudere un occhio, che i funzionari coinvolti nella vicenda usciranno bianchi e puliti come Calimero Pulcino Nero dopo il passaggio nel detersivo e con tante scuse, che la ditta che fu svillaneggiata per anni sarà tacitata concedendole finalmente l’omologazione più che dovuta per i suoi prodotti e che i filtri antiparticolato continueranno senza scosse a sputare in atmosfera milioni di tonnellate di veleni solo biologicamente micidiali, per quel che conta la biologia, ma finalmente scagionati per motivi d’interesse sociale. Insomma, anche la biologia, la fisica, la chimica e la natura stessa si dovranno inchinare alle decisioni superiori e alle esigenze di chi conta.
Naturalmente, a parte il poco che riguarda l’omologazione per la ditta fino ad ora bastonata, per il resto spero di sbagliare.
FAP: di qualcosa dovremo pur morireBuon giorno Professore, io da anni sostengo, come Lei, lka medesima teoria sui FAP. Ho seguito ieri sera la trasmissione sulle IENE. Deve sapere che gli stessi concetti ebbi ad esprimerli quando, Ministro dei trasporti, era l’ On. le Bianchi. Ebbene, e posso dimostrarlo, collaborai con il segretario del Ministro, per la stesura del protocollo che avrebbe permesso l’ omologazione, di tali dispositivi, anche ad aziende non ” automobilistiche “. Ho fatto tutto ciò in quanto, io stesso, ho inventato, e brevettato, un sistema che riesce ad abbattere gli inquinanti presenti nei fumi ( PM… Leggi il resto »
FAP: di qualcosa dovremo morire.
Mi scusi per il secodo intervento: a proposito della Ditta da Lei citata e bistratata, deve sapere, Egr, Professore, che insieme a loro ho fatto delle prove su un Ducato Euro 0 ( zero ): ebbene i nostri dispositivi, installati congiuntamente su tale veicolo, hanno dimostrato che il livello di omologazione per tale veicolo sarebbe stato Eur 3 o 4 senza presenza di polveri frazionate !!! Alla faccia dei ben pensanti
RISPOSTA
Io non ho citato nessuna ditta. Il mio è un lavoro tecnico e scientifico e non ho nulla a che vedere con aziende produttrici.