Gentilissima dottoressa Sammartino,
Premetto subito le mie scuse, confessandole che non leggo le sue elucubrazioni. Questo sia per mancanza di tempo sia per il ricordo di una certa fatica provata un tempo, quando ancora m’illudevo di capire, nel seguire la sua logica e il suo Italiano (quei qual è con l’apostrofo e altre licenze mi provocavano aritmie sconsigliabili ad una certa età) sia per la mia incapacità di condividere quel suo approccio insolito e personale alla scienza e all’etica che dovrebbe esserle propria.
Accade, però, di tanto in tanto, che qualcuno mi sottoponga stralci dei suoi scritti credendo, con questo, di suscitare la mia ilarità.
Stamani sono stato indotto a leggere qualche riga di un suo verboso messaggio pubblicato da Il Ponente nel quale dice, tra le altre bizzarrie, che la dottoressa Gatti non solo non avrebbe usato, chissà perché, l’ESEM per le ricerche ma che perfino non ne comprenderebbe l’uso. Il che è piuttosto strano, se non altro considerando come il costruttore dell’apparecchio l’abbia invitata più volte in Olanda per sottoporle il prototipo per alcune valutazioni, e perché le tecniche ESEM che noi impieghiamo, peraltro validate da un progetto europeo, sono di sua invenzione.
Sempre confessandole l’incompletezza quasi totale della mia lettura, non posso non notare che lei non ha avuto modo d’informarsi su che cosa significhi essere coordinatore di un progetto,
mancanza, del resto, comprensibile, non avendo lei esperienza di ricerca definibile tale. Sappia, allora, che essere coordinatore vuol dire avere ideato il progetto, aver scelto i compagni di ricerca in un ambito di qualità, aver superato una selezione feroce tra competitori in genere di altissima levatura scientifica, aver discusso in più sedi quel progetto nei minimi dettagli con le autorità europee e aver diretto in prima persona tutta l’attività per poi trarne le conclusioni scientifiche. Insomma, una cosa non proprio di tutto riposo e d’impegno intellettuale non irrilevante.
Va da sé che la competizione è aperta a tutti e, se anche lei vorrà cimentarsi con idee sue, sarà sicuramente la benvenuta. Dopotutto, è così che si afferma il proprio valore prescindendo dal pur confortante discorrere tra amici.
Passando ad altro, la prego di credermi se le dico di non sentirmela di ridicolizzarla come da più parti mi viene sollecitato. Per questo, temo, bastano e avanzano le sue numerose comparsate sotto le più disparate mentite spoglie di cui l’impersonificazione di Daniela, l’handicappata, è solo uno dei troppi esempi possibili, dal dottor Bianchini di un tempo alla Nana Ignorante fino ad altri personaggi di cui confesso di aver perso la memoria. Che cosa pensi di questi suoi comportamenti il rettore della sua università è cosa che ignoro, ma devo dirle che io, fossi nei suoi non invidiabili panni, ne sarei a dir poco imbarazzato. Non intendo ridicolizzarla: per lei provo tutta la simpatia umana che non si può non provare al cospetto di un perdente cronico, di una persona la cui anima è una voragine di solitudine, d’invidia e di odio per il mondo, di qualcuno incapace di accettarsi per quello che è.
Al di là di passarle, se mi posso permettere, il consiglio che dava a tutti noi il prof. Luigi Di Bella, quello di non avvicinare mai troppo i confini della nostra cultura, men che mai di oltrepassarli, se non si vuole cadere nelle trappole più banali, l’unica cosa che mi sento di dirle è di farsi coraggio: se saprà recuperare un senso di umiltà e di dignità, se saprà abbandonare quella sua ansia così controproducente di visibilità a tutti i costi, potrà addirittura diventare in qualche modo utile al consorzio umano.
Suo,
Stefano Montanari
Gentilissima signora Rossi,
La frase d’esordio per lei potrebbe essere la copia conforme di quella che ho giusto dedicato alla dottoressa Sammartino: non la leggo e la prego di scusarmi.
So che questa mia missiva le farà piacere, fornendole materiale per mantenere accesa la fiammella della sua, confido interessantissima, rivista on-line, ma non faccia troppo conto in un seguito, se non altro perché non ho proprio tempo, soprattutto ora, impegnato come sono costretto ad essere per coprire la falla aperta dalla partenza del microscopio.
Anche in questa occasione, come per quanto accaduto riguardo la sua consulente scientifica, mi sono state sottoposte due o tre frasi recenti sue. La prima riguarda la nostra funzione di null’altro che “fotografi” per ciò che riguarda gli studi sui malati da uranio impoverito e nanoparticelle. Qui, regalandole il beneficio della buona fede, temo che le sia sfuggito il senso di ciò che dice. Faccia tutte le fotografie che vuole di tessuti patologici, ammesso che sappia dove, come e che cosa fotografare, ma, se non ha i mezzi culturali per interpretare le immagini, avrà perso il suo tempo. Fosse come descrive lei, certo il sottosegretario alla Difesa non si sarebbe preso la briga di scrivere una lettera al rettore di Urbino per tentare d’impedire il famoso “trasloco”, il capo di Stato Maggiore dell’Esercito non si sarebbe disturbato a telefonargli e il presidente dell’Osservatorio Militare, il maresciallo Leggiero da lei citato distorcendo il senso delle sue parole, non avrebbe telefonato al preside della facoltà di scienze sempre allo stesso scopo. E, fosse come le piace descrivere, nel corso di una delle conferenze stampa cui lei, naturalmente, ha come sempre prudentemente evitato di materializzarsi, il maresciallo Leggiero non avrebbe detto che quelle analisi per ora le sappiamo fare solo noi, cosa, del resto, provata e risaputa da anni dagli addetti ai lavori, compresa, guarda caso, proprio l’Università di Urbino che addetta ai lavori non è. Sappia che noi siamo più che disposti ad insegnare come si opera ma, credo lo capirà, dall’altra parte occorre la modestia di voler imparare.
Poi lei, dopo aver parlato di cure che noi non prestiamo (e ci mancherebbe anche questo!) scrive, e la cito verbatim: “…anche nel caso in cui [i militari] abbiano ricevuto una diagnosi di “nanopatologia” che – mi sembra corretto ricordarlo – non dispone al momento di alcun riconoscimento scientifico ufficiale.” Magari lei non ha aperto i giornali negli ultimi dieci mesi, ma se avrà la pazienza di leggere e di comprendere il Decreto del Presidente della Repubblica 3.3.2009 n. 37 vedrà che le cose non stanno così e che la sua presunta correttezza non sconfina dalla presunzione.
Da ultimo, e mi scuserà se non sono al corrente delle altre sue elucubrazioni, a proposito delle nostre indagini lei afferma che “il professor Coccioni, a suo tempo, mi ha garantito che lo stesso servizio verrà fornito ad Urbino senza problemi.” Mi permette di farmi un’amarissima risata? Ad Urbino non c’è un’anima che abbia la benché minima competenza sull’argomento e, se vuole controllare correttamente a differenza di come fa per abitudine attingendo alla sua personale fantasia e a quella dei suoi lettori, si scomodi una volta tanto, vada ad Urbino e veda con i suoi occhi. Nel caso in cui laggiù qualcuno sia tanto spericolatamente cialtrone da affermare una sua capacità al riguardo, la prego d’informarmi e di mettermi in contatto con lui. Sarà mia cura sottoporgli un certo numero di casi già studiati e vedremo come se la caverà. Resta il fatto che lo stesso preside della facoltà di scienze ha confermato quanto le ho detto circa la loro incapacità in quel tipo d’indagine al cospetto dei giornalisti e di altri testimoni presenti alla sua prima visita da noi.
Certo, non posso pretendere che lei abbia esperienza di scienza né, tanto meno, di quelle nanopatologie che lei chiude misteriosamente tra virgolette, e, ancora, del problema che coinvolge i militari e non solo loro, ma illudere qualcuno che ad Urbino possano operare come lei afferma significa accendere illusioni e mettere in seria difficoltà quei poveretti che già non se la passano bene. Tutto questo per interessi che non mi pare possano vantare nobiltà.
Per finire, non riuscendo ad avere successo con i miei ripetuti inviti a far visita al laboratorio (rimborso spese a piè di lista), anche a lei mi permetto di consigliare per iscritto di essere umile e, soprattutto, onesta, nella certezza che, in quel modo, non sbaglierà. Personalmente mi è capitato altre volte nel corso di una vita che trovo essere stata fin troppo lunga di venire attaccato ferocemente per poi assistere a patetici voltafaccia. Non è improbabile che questo accada pure con lei.
Suo,
Stefano Montanari