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Da Malagrotta a Vienna

Lunedì e martedì scorsi ho toccato due sedi di tappa del tour degli orrori lungo cui sto viaggiando da un paio d’ anni con la troupe del film “Sporchi da morire”: Malagrotta e Vienna.

Ad ovest di Roma, pochi chilometri oltre il Raccordo Anulare, sulla Via Aurelia, si trova quello che forse è il giacimento più grande d’Europa di sozzura. Niente di scandalosamente vistoso come nella Napoli senza pudore dell’emergenza: tutto accuratamente nascosto, in parte addirittura sotto una spianata di pannelli solari. Impossibile accedervi: le entrate possibili sono sbarrate, il che, se non depone a favore della trasparenza, dopotutto serve ad impedire che qualcuno penetri  in quella sorta di Malabolgia

dantesca e si riduca come l’Alessio Interminei del XVIII canto dell’Inferno

(E mentre ch'io là giù con l'occhio cerco,
vidi un col capo sì di merda lordo,
che non parëa s'era laico o cherco.)

Da lontano, però, dall’alto di una collina alla cui sommità c’è chi ha messo su casa, si può “godere” di una vista ampia, seppure abbondantemente censurata, che permette di apprezzare la vastità di un’opera che ha sepolto sottoterra lordura per decine di milioni di metri cubi. E su quella vastità, chiusa da lontano dalle torri fumanti di una raffineria, gli stormi fitti dei gabbiani, testimonianza inconfutabile di come non possa e non debba funzionare una discarica. Sì, perché in discarica, se non si vuole il disastro, non si può mettere nulla di putrescibile; ed è proprio quello, vale a dire cibo, che i gabbiani vanno cercando ed, evidentemente, trovando.

Quando abbiamo tentato di varcare il cancello del reparto dedicato ai rifiuti ospedalieri, siamo stati bloccati da un guardiano imbarazzato che ha, dapprima e un po’ grottescamente, tentato di negare quel tipo di destinazione dell’area, poi ci ha tenuti in attesa di un permesso che, manco a dirlo, non è arrivato.

Per me, per le ricerche che conduco e che si tenta d’impedirmi, sarebbe interessante dare un’occhiata al fegato di quei gabbiani o mettere sotto il microscopio un campione del percolato che, a quanto si favoleggia in zona, di tanto in tanto viene scaricato in un canale. Ma sarebbe anche interessante conteggiare quanto denaro sia finito là sotto.

Lasciata Roma, la sera siamo volati tutti a Vienna dove il mattino dopo ci aspettava l’inceneritore più bello del mondo, quello che rivaleggia con Brescia per i benefici che i suoi aerosol medicinali regalano a chi ha la fortuna di abitarvi intorno.

L’abbiamo ammirato da fuori. Friedrich Stowasser, architetto a suo dire difensore dell’ambiente sotto lo pseudonimo di  Friedensreich Hundertwasser qui ha dato il meglio di sé. L’avessero chiamato a suo tempo ad Auschwitz, chi soggiornava laggiù avrebbe ricavato la convinzione di trovarsi in un Club Méditerranée ante litteram.

L’abbiamo ammirato da dentro, accompagnati da una gentilissima addetta alle pubbliche relazioni e da un giovane ingegnere. Di questa visita dirò fra qualche giorno.

Per ora, a mero titolo di curiosità, voglio solo riferire di una breve conversazione un po’ fuori tema con chi mi accompagnava: “Ieri [lunedì] – mi dissero – abbiamo avuto la visita di un italiano che ci ha avvertito che non ci avrebbe dedicato più di un’ora, che per un po’ ha strepitato insensatezze e che, non appena un nostro tecnico gli ha rivolto una contro-obiezione, si è zittito.”

Inutile dire che non ho avuto bisogno di chiedere il nome del personaggio, anche se i miei accompagnatori, consultatisi tra loro perché al momento non se ne ricordavano, me lo hanno poi rivelato.