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Che cavolo mangiamo?

Anni fa, quando i nostri studi erano sgraditi soltanto a una manciata di accademici italioti che dall’inquinamento ricavavano qualche mancia, ci capitò di cucinare a casa nostra una ribollita in cui il cavolo risultò poi essere pieno di particelle non proprio benefiche per la salute. E quel cavolo era bio.

Piano piano cominciammo ad analizzare un po’ di alimenti, scoprendone una percentuale

non proprio tranquillizzante intrisa di polveri fini e ultrafini e gli alimenti per i bambini non erano certamente esclusi. La cosa più buffa fu scoprire che l’unico produttore di mortadella il cui prodotto era stato trovato esente da inquinamento di particelle d’acciaio proveniente dalle lame di lavorazione rifiutò di usare quel suo vantaggio a livello d’informazione per la clientela. La motivazione addotta, e certamente accettabile dal punto di vista di chi fa business e non altro, fu che, se i clienti, notoriamente considerati imbecilli e come tale trattati, vengono informati del problema magari da un grillo qualunque che non ci ha capito niente, non comprano più la mortadella, buona o non troppo buona che questa sia. Insomma, per non rovinare il mercato non si dice niente a nessuno e si mangino in tutta gaiezza i granelli d’acciaio.

 

Non molto tempo prima di morire Giorgio Celli, il compianto entomologo ed etologo che mi onorava della sua amicizia, mi disse che aveva fatto analizzare certe mele di aspetto bellissimo reclamizzate con insistenza ipnotizzante attraverso ogni mezzo e, da allora, non aveva più toccato una mela. Il suo interesse era a quel tempo confinato ai pesticidi e chi vuole qualche informazione ulteriore per capire meglio la decisione del Professore può leggere http://www.ruralpini.it/Commenti-2012.12-Mela-arrogante.htm.

A più riprese ho avuto incontri con produttori e distributori grandi e piccoli di biologico e, in un’occasione, di biodinamico. Come se questi recitassero l’identico canovaccio, dopo avermi chiesto una specie di benedizione per i loro prodotti si sono tutti dileguati non appena ho detto loro che avrei prima analizzato la loro mercanzia. In un caso una piccola produttrice reagì pure in maniera non del tutto urbana, come se io ne avessi offeso la credibilità, credibilità che con quella reazione andò inesorabilmente perduta. Giusto per informazione, biologico non significa prodotto biologico ma processo biologico nell’ottenimento di quel prodotto. Il che fa una certa differenza tutt’altro che trascurabile. In poche parole, è sufficiente limitarsi a seguire i passaggi pretesi dalla burocrazia e il marchio è assicurato. Nessuno controlla davvero ciò che ne esce in tutti (ho detto tutti) i suoi aspetti sanitari.

Ora mi arriva l’ultimo numero di Biolcalenda (http://www.labiolca.it/biolcalenda), un mensile sul quale scrivo regolarmente da anni e ci trovo un articolo interessantissimo firmato dal dottor Paolo Girotto, un veterinario che non tiene gli occhi velati dalle classiche fette di prosciutto. L’articolo meriterebbe di essere riportato fino all’ultima virgola, ma, invitando tutti a leggerlo per intero nelle pagine della rivista, mi limiterò a qualche citazione.

L’argomento è quello del cibo industriale per animali, in particolare per i cani, e, ancora in maggior dettaglio, in specie per i cani di grossa taglia. Dice Girotto che quel cibo, che lui aggettiva come “morto”, è fatto spesso di “scarti incommestibili” e che la lavorazione lo degenera ancor di più privandolo di ogni caratteristica nutritiva. Per renderlo accettabile alle povere bestie che mai mangerebbero quella porcheria lo si trucca con edulcoranti e altri prodotti chimici. La conseguenza comune – continua Girotto – è quella di far acquisire al cane problemi gravissimi specie agli arti inferiori con tanto di zoppicature, rotture di legamenti e fratture ossee. Per limitare gl’inconvenienti si cerca d’impedire ai cuccioli di percorrere scale, di correre e di saltare. Altro tormento per gli animali è quello delle “…dermatiti e piodermiti recidivanti con alopecia e perdita consistente di pelo, otiti acute da batteri e lieviti. Intossicazioni epatiche e gastriche croniche con cani trasformati in capre, tanto frequentemente vanno in cerca di erba per poi vomitare. Per non parlare delle dilatazioni-torsioni gastriche che colpiscono sempre più frequentemente cani alimentati con mangimi.” E, allora, via ad altro business con integratori e vitamine. Al di là dell’irritazione, la cosa che più mi ha lasciato perplesso nell’articolo è leggere come non pochi colleghi del dott. Girotto facciano finta di niente, questo analogamente a quanto avviene in campo medico umano. Del resto, quando produttori, enti di controllo (?) e medici costituiscono un’ignobile combriccola di avvelenatori a scopo di lucro, stupirsi se lo stesso schifo dilaga anche in campo veterinario non ha senso.