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Caro presidente

Egregio signor Presidente della Repubblica,

Non ho altra scelta che rivolgermi a lei anche se non ritengo che lei mi rappresenti in alcun modo, sistemato dov’è da un parlamento che nessuno ha mai eletto, e questo in spregio, tra l’altro, all’articolo 56 di quella carta costituzionale che pare nessuno conosca.

In ossequio alla retorica corrente che fa parte di quello che temo lei creda sia un dovere istituzionale, mi è capitato più volte di sentirla sostenere che si debba essere orgogliosi del nostro essere italiani ma, almeno a mio parere, l’orgoglio non solo non è un dovere ma è obbligo che abbia un fondamento.

Ora, anche se so di chiedere tanto, mi piacerebbe che lei mi spiegasse come posso io inorgoglirmi della nazionalità che per puro caso indosso.

Un paio di episodi, piccoli, se vuole, ma esplicativi. Anni fa al piccolo laboratorio di ricerca e di analisi nanopatologiche che, nonostante tutto, dirigo fu richiesto un lavoro piuttosto impegnativo dalla Procura della Repubblica di Mantova. Terminato l’impegno, presentato un voluminoso rapporto con l’approvazione della Procura, a diversi anni di distanza nessuno ha mai pensato a saldare il conto. Ma qualcuno ha pensato a riscuotere, e subito, tasse e IVA come se i quattrini che non vedremo mai fossero arrivati.

Incidente del tutto sovrapponibile  e di poco posteriore con la Procura della Repubblica di Terni che, proprio anche grazie al nostro lavoro, sequestrò l’inceneritore locale. I soldi? E chi li ha visti? Però le spese le abbiamo sostenute e le tasse le abbiamo pagate.

Ora la farsa del Ministero della Difesa. Molto di malavoglia ho accettato a suo tempo di partecipare insieme a qualche istituzione universitaria a un piccolo progetto di ricerca promosso da quell’ente. Di malavoglia perché già immaginavo che ci sarebbe stata la fregatura, ma a mia moglie, che vive solo per la ricerca, quella roba interessava, senza di noi il progetto non si sarebbe potuto fare e, dunque, ho firmato il contratto. Subito la partenza fu indicativa a suon di tasse preliminari, sconti e pacchi di documenti da presentare per certificare la nostra onestà come se da controllare fossimo noi. Poi i ritardi su tutto, a cominciare dalle risposte degl’impiegati di prassi “fuori stanza”, fino ai pagamenti delle rate abbondantemente sforati nei tempi rispetto a quanto stabilisce la legge (e scusi se rido quando scrivo la parola legge). E adesso il terzo atto: quello esilarante. Ad aprile scadono i termini (già fuori legge) del pagamento di una rata ma veniamo avvertiti che il dipartimento che ci aveva ordinato la ricerca è stato chiuso. Dunque, bisogna accreditare la fattura e rifarla, rimandandola al nuovo responsabile con i tempi che ripartono dalla casella zero del gioco dell’oca. Ieri l’ultimo colpo. I nostri attuali governanti, quelli che manco hanno avuto l’incomodo di presentarsi alle elezioni, decisero di portare l’IVA al 21% dal 20 che era. Mossa non certo geniale ma quei personaggi mica devono togliere gl’italiani dai guai. La conseguenza nel nostro caso? Eccola: mi telefona un funzionario che, candidamente, mi dice che i soldi in totale per noi sono quelli stabiliti all’inizio e, per questo, l’aumento dell’IVA lo paghiamo noi, il che si pone in stridente contrasto con il significato stesso dell’imposta oltre che con la correttezza. Ma che importa? Se accettiamo, bene, altrimenti ci sarà un contenzioso che noi vinceremo senza dubbio ma, stanti i tempi della nostra “giustizia” (perdoni le virgolette), i soldi che ci spettano li vedremo forse tra vent’anni quando avremo pagato montagne di quattrini alla banca per gl’interessi passivi. E, a proposito d’interessi, la legge (sempre quella cosa comica di prima) stabilisce che, superati certi termini per i pagamenti, lo stato deve pagare gl’interessi al proprio creditore. Le risparmio battute e gesti con mani e braccia. Ma, a coronare la farsetta di ieri, le riporto la giustificazione di un atto palesemente truffaldino: lo stato deve risparmiare. Giusto. E io? E se io, per risparmiare, rapinassi le banche o, molto più italianamente, evadessi le tasse come lo stato evade i propri doveri verso chi, poi, viene spremuto facendosi beffe dell’articolo 53 della Costituzione? Il concetto è identico e, se vale per lo stato, non può non valere anche per me. Questo in uno stato dove vigano democrazia e civiltà e non in una repubblica delle banane.

Non voglio continuare a tediarla anche se di episodi analoghi ne ho da riempire un volume ponderoso, ma lei abbia la grazia di spiegarmi perché io devo essere orgoglioso della mia sudditanza verso personaggi, appartenenti a vari gradi di una casta dalla faccia di bronzo, che, a parti rovesciate, finirebbero giustamente in galera.

Orgoglioso? Caro presidente, lei, da bravo politico di carriera, non ha probabilmente idea di che cosa significhi arrabattarsi per questioni di sopravvivenza, ma sappia che io, che quell’esperienza ce l’ho e la vivo, ad essere italiano provo solo vergogna e umiliazione.

Con ossequi,

Stefano Montanari

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Fabbri A.
12 anni fa

L’ESODATO –Ben detto Montanari, approvo ogni parola di quanto ha scritto e capisco molto bene lo sfogo che ci ha voluto qui rappresentare. Mi accomuno volentieri a lei nel sentirmi pochissimo orgoglioso di essere italiano e molto ma molto pieno di vergogna e rabbia per abitare in un Paese al limite della decenza. Peccato che il nostro caro presidente non abbia tempo da dedicarle, non solo per risponderle, ma nemmeno per venire a leggere quanto lei ha scritto e quindi noi che si pretende?!? Lui è in tutt’altre faccende affacendato e poi è prossimo al pensionamento e come tutta la… Leggi il resto »