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All’amica (speriamo) risanata

Gent.ma sig.ra Valeria,

Mi auguro vivamente che Lei, in ossequio all’etimologia del Suo nome, si sia liberata da quell’improvvisa indisposizione che Le ha impedito di partecipare alla conferenza stampa di ieri. Pensi che una nanoindagine compiuta personalmente era risultata in una previsione di malattia improvvisa a Suo carico 15 a 1, dove 1 ero io. Preveggenza da parte dei 15 e zero da parte mia.

Le confesso una mia leggera delusione che va perfino al di là di quella di non averla conosciuta di persona: mi sarei aspettato, infatti, che i miei severi censori che tanto a loro agio si trovano nel tribunale da Lei allestito cogliessero la palla al balzo per incontrarmi pubblicamente e cantarmele chiare. Mi aspettavo che i vari frequentatori senza nome del Suo giornale elettronico – che sono, poi, gli stessi che un po’ caninamente (so di parlare ad un’esperta) lasciano la loro traccia dovunque si conceda loro ospitalità – arrivassero, come si fa ad un processo o anche solo ad un contraddittorio, armati di documenti.

Invece, niente.

Peccato: avrebbero potuto controllare de visu i bilanci del laboratorio, avrebbero potuto tenere in mano la nostra letteratura scientifica recente, compreso il libro della NATO quasi fresco di stampa in cui mia moglie ed io figuriamo, unici italiani, tra gli autori. E avrebbe potuto sentire per l’ennesima volta perché è tecnicamente impossibile lavorare ad Urbino, questo pur riconoscendo la generosità con cui ci si disporrebbe ad ospitarci “almeno una volta la settimana”.

Ma avrebbe anche potuto incontrare i genitori del bambino che qualcuno ha ucciso

a Forlì, certo al di là delle sue intenzioni e con tutto il fastidio delle conseguenze di quell’atto. Loro, compostamente com’è costume di chi ha subito un’ingiustizia del destino troppo più grande di qualsiasi comprensione umana per poter essere metabolizzata, Le avrebbero sussurrato la loro opinione su chi ha parlato di speculazione da parte nostra, Le avrebbero detto delle analisi condotte a costo zero, viaggi compresi, Le avrebbero detto che il bambino è comunque esistito, esprimendole tutto il loro raccapriccio per chi viene ospitato nel Suo giornale a sostenere che, chissà, quella tragedia me la sono inventata io.

Ci fosse stata, avrebbe parlato con il presidente del comitato per l’ambiente di un comune confinante con Modena. Anche lì, analisi per un valore venale di 20.000 Euro sull’ambiente devastato da un inceneritore senza che nessuno sborsasse un centesimo. Ora quel comitato pretende lo stesso trattamento, la stessa disponibilità e la stessa competenza da Urbino.

Avrebbe sentito che ci sono donatori che rivogliono i loro quattrini perché, certo bestemmiando contro la giustizia delle carte bollate e del tribunale che non ha nemmeno bisogno di prove tanto è la certezza di cui gode, si sentono truffati.

E che dire del mitico “Gianni”, ahimé assente, che avrebbe potuto riabbracciare i compagni d’antan e sentire le loro opinioni sul suo operato prima, durante e dopo la sua (a me purtroppo sconosciuta) esperienza lavorativa presso il nostro laboratorio?

E avrebbe sentito il maresciallo Domenico Leggiero che rappresenta l’Osservatorio Militare Italiano. A suo parere, certo erroneo, noi siamo l’unico laboratorio a livello internazionale capace di fare le indagini sui soldati ammalati e, comunque, l’unico di cui sia certa la validità del risultato. Sempre a detta sua, senza le nostre analisi non sarebbe possibile per quegli ammalati, militari o civili che siano, lavoratori come gli altri e, comunque la pensi, esseri umani, vedersi riconosciuta la malattia per causa di servizio. Il che comporterebbe la rovina economica della loro famiglia, così com’è stato in tante, a mio umilissimo parere troppe, circostanze. Oltre 2.000 soldati, e parliamo solo degl’italiani, sono al momento potenziali fruitori delle analisi che noi così bizzarramente conduciamo, e questi resteranno senza possibilità di protezione. Civili? Nessuno sa dire quanti. Infine, per quanto riguarda il campo militare, avrebbe sentito il maresciallo Leggiero informare che il sottosegretario alla Difesa Giuseppe Cossiga ha inviato una lettera al rettore dell’Università di Urbino perché desista da un’azione come quella che Le è nota e che Lei appoggia con tanto entusiasmo.

Le dirò incidentalmente che, con mio orrore, ho sentito definire in termini non laudatori chi ha affermato che io non faccio ricerca, sostenendo che sono troppo impegnato in politica. In realtà, devo ammettere di aver dedicato più o meno una quindicina di giorni tra febbraio e inizio aprile 2008 ad una fallimentare campagna elettorale, e quei giorni sono stati senza dubbio fatali alle nanopatologie che, come giustamente Lei afferma in forza delle Sue ricerche personali e bacchettando gli scienziati di cui si serve la Comunità europea, neanche si è certi che esistano.

Nel corso della giornata, poi, avrebbe avuto modo di comprendere perché chi non ha strumenti culturali idonei diventa comico quando pretende di atteggiarsi non solo ad esperto ma, addirittura, a critico. Per non tediarla con troppi esempi, riporterò solo quello di una Sua consulente scientifica che ha citato un brano ricavato dal sito di un progetto europeo sull’interazione tra cellule e nanoparticelle. Se Lei avesse avuto informazione sufficiente o la pazienza per chiedere lumi, forse non avrebbe rischiato di screditare il Suo prestigioso giornale elettronico fidandosi della signora in questione la quale ignora allegramente di non aver capito nulla.

Ma non voglio annoiarla oltre. Le riconfermo il mio dispiacere per non averla potuta finalmente incontrare, così come non averlo potuto fare per i tanti giudici anonimi (avevo tenuto un posto per la Mercedes dell’”avvocato” a debita distanza dalla mia Skoda fantozziana) che, ne sono certo, avrebbero prodotto abbondante materiale documentale per ratificare la mia condanna, peraltro già scritta molto tempo fa quando diventò indispensabile per giustificare, almeno davanti a chi era disponibile, un’azione che, quanto meno dal punto di vista morale, forse contiene motivi di perplessità. Resta, ad ogni modo, aperta la possibilità di venirmi ad incontrare di persona così come fanno gli uomini.

Ora, però, con la vicenda del microscopio chiudo. Chi me lo sottrarrà o chi di questa sottrazione sarà in qualsiasi modo partecipe si assumerà ipso facto la responsabilità delle sue azioni godendo anche delle eventuali glorie.

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